SIRIA E IRAQ

Sinistre similitudini tra Siria e Iraq

Lezioni storiche che l’Occidente non vuole imparare

Di Patrick Cockburn (*); da: rebelion.org; 13.5.2013

 

Si sa che, dopo la I° Guerra Mondiale, Gran Bretagna e Francia crearono il moderno Medio Oriente dividendo quello che era stato l’Impero Ottomano. Le frontiere di nuovi Stati come l’Iraq e la Siria furono determinate in base agli interessi e alle necessità britannici e francesi. I desideri degli abitanti locali generalmente furono ignorati.

 

Oggi, per la prima volta in più di 90 anni, la sistemazione del dopoguerra nella regione si sta disfacendo. Le frontiere esterne non sono più le insuperabili barriere che furono fino a poco tempo fa, e non è poi così è complicato attraversare le linee divisorie interne come attraversare le frontiere internazionali.

 

Il governo siriano non controlla già più numerosi attraversamenti della frontiera verso la Turchia e l’Iraq, i ribelli siriani avanzano e si ritirano senza ostacoli attraverso le frontiere internazionali del paese, mentre i combattenti sciiti e sunniti del Libano combattono sempre più su fronti opposti all’interno della Siria.

Gli israeliani bombardano la Siria quando vogliono.

Naturalmente i movimenti di bande di guerriglieri nel mezzo di una guerra civile non significano necessariamente che lo Stato si stia disintegrando. Ma la permeabilità delle sue frontiere suggerisce che chiunque risulti il vincitore della guerra civile siriana governerà uno Stato debole, appena capace di difendersi.

 

Lo stesso processo ha luogo in Iraq. La cosiddetta linea di intervento che separa il territorio controllato dai kurdi nel nord dal resto del paese è sempre più una frontiera difesa, da entrambe le parti, da una forza armata. Lo scorso anno Bagdad fece infuriare i kurdi quando istituì il Comando di Operazioni Dijla (Tigris), che minacciava di imporre il controllo militare su aree che kurdi e arabi si stanno disputando.

Le linee divisorie in Iraq si sono complicate dopo il massacro di Hawaijah del 23 aprile, che ha causato la morte di almeno 44 arabi sunniti. Questo è successo dopo quattro mesi di manifestazioni sunnite, massicce ma pacifiche, contro le discriminazioni e le persecuzioni. Il risultato di questa frattura sempre più profonda tra i sunniti e il governo dominato dagli sciiti a Bagdad è che le truppe irachene in aree a maggioranza sunnita si comportano come un esercito di occupazione. Di notte abbandonano i posti avanzati isolati per potersi concentrare in posizioni difendibili. Il controllo del governo iracheno sulla metà settentrionale del paese è sempre più debole.

 

Al resto del mondo importa davvero chi combatte chi nelle città impoverite della campagna all’interno della Siria o nelle pianure e nelle montagne del Kurdistan?

La lezione degli ultimi mille anni è che questi avvenimenti sono molto importanti.

La regione tra la costa mediterranea della Siria e la frontiera occidentale dell’Iran è stata tradizionalmente una zona in cui si scontrano gli imperi. Le carte geografiche della zona sono segnate dai nomi dei campi di battaglia su cui i romani combatterono contro i parti, gli ottomani contro i safayidi e i britannici contro i turchi.

 

E’ interessante - ma fa rabbrividire - la negligenza con cui britannici e francesi divisero questa zona in base all’Accordo Sykes-Picot del 1916. I britannici dovevano controllore le provincie di Bagdad e Bassora ed avere una zona di influenza più al nord. Ai francesi spettava il sud-est della Turchia, il nord della Siria e la provincia di Mossul, che si credeva contenesse petrolio. Ma poi si seppe che la generosità britannica rispetto a Mossul era dovuta al fatto che i britannici avevano promesso la Turchia orientale alla Russia zarista e pensavano sarebbe stato utile avere un cordone di sicurezza francese tra loro e l’esercito russo.

L’Accordo Sykes-Picot rifletteva le priorità dei temi di guerra e, come tale, non venne sviluppato. La promessa britannica di dare Mossul alla Francia fu annullata dalla rivoluzione bolscevica del 1917 e dalla pubblicazione, poco elegante (!) da parte dei bolscevichi, degli accordi segreti della Russia con i suoi vecchi alleati francesi e inglesi. Ma nei negoziati del 1918/19 che portarono al Trattato di Versailles, venne data ben poca attenzione all’effetto a lungo termine della distribuzione delle spoglie.

 

Nei negoziati sulla Mesopotamia e la Palestina con David Lloyd George, Georges Clemenceau, Primo Ministro francese, che non era molto interessato al Medio oriente, disse: “Ditemi quello che volete”. Lloyd George: “Vogliamo Mossul”. Clemenceau: “L’avrete. Qualcos’altro?”. Lloyd George: “Si, vogliamo anche Gerusalemme”. Clemenceau accettò rapidamente, avvertendo però che ci sarebbero potuti essere problemi con Mossul, dove già allora si sospettava ci potesse essere il petrolio.

 

Questi negoziati hanno un fascino speciale perché molti dei temi apparentemente risolti allora sono ancora in discussione. Peggio ancora, gli accordi raggiunti allora posero le basi per molte dispute future e per guerre che ancora si combattono o stanno per arrivare. Gli argomenti utilizzati a quell’epoca continuano a prevalere.

 

Non c’è da sorprendersi che i dirigenti dei 30 milioni di kurdi siano i più contenti della sconfessione di accordi di cui essi, insieme ai palestinesi, sarebbero stati le principali vittime.

Dopo essere stati divisi tra Iraq, Turchia, Iran e Siria, sentono che è arrivata la loro ora. In Iraq godono di un’autonomia vicina all’indipendenza e in Siria hanno preso il controllo delle loro città e villaggi. In Turchia, mentre i guerriglieri kurdi turchi cominciano a spostarsi verso le montagne Qandil nel nord dell’Iraq secondo l’accordo di pace, i kurdi hanno mostrato che – in 30 anni di guerra – lo Stato turco non è riuscito a schiacciarli.

 

Ma, mentre la spartizione del Medio Oriente del secolo XX collassa, è poco probabile che il risultato sia la pace e la prosperità. E’ facile verificare come vanno male le cose nel caso dei governi attuali dell’Iraq e della Siria, ma non lo è prevedere cosa li sostituirebbe.

Ad esempio, consideriamo il plauso quasi unanime dei politici e del media stranieri alla caduta del colonnello Gheddafi nel 2011 e guardiamo alla Libia attuale, al suo governo continuamente minacciato o in fuga dai pistoleri delle milizie.

Se in Siria il presidente Bachar el-Assad cadesse, chi lo sostituirebbe? C’è qualcuno che pensa veramente che la pace sarebbe automatica? Non è molto più probabile una guerra continua, e persino più intensa, com’è successo in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003?.

I ribelli siriani e i loro padrini minimizzano le somiglianza tra la crisi in Iraq e quella in Siria, ma esistono invece sinistre similitudini.

Saddam poteva essere impopolare in Iraq, ma quelli che lo appoggiavano o lavoravano per lui non sono potuti essere esclusi dal potere e trasformati in cittadini di seconda classe senza una dura lotta.

 

Le ricette statunitensi, britanniche e francesi per la Siria sembrano così cariche di potenziale per provocare disastri quanto i piani del 1916 o del 2003.

Parlando del fatto che Assad non può avere alcun ruolo in un futuro governo siriano, il segretario di Stato USA John Kerry parla del leader di un governo che ha perso solo una citta importante di fronte ai ribelli.

Simili condizioni si possono imporre solo agli sconfitti, o a coloro che stanno per esserlo.

Questo – in Siria – succederà solo se le potenze occidentali interverranno con mezzi militari a favore degli insorti, come hanno fatto in Libia; ma i risultati a lungo termine possono essere ugualmente funesti.

 

(*) Giornalista irlandese, corrispondente dal Medio Oriente dal 1979 per il Financial Times e attualmente per The Indipendent; . da: rebelion.org; 13.5.2013

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni).

 

 

Scrivi commento

Commenti: 0

News