USA E DRONI ASSASSINI

La settimana scorsa Nabila, suo padre che è un maestro di scuola, e suo fratello di 12 anni sono andati a Washington a raccontare la loro storia e cercare risposte per gli eventi di quel giorno.

Tuttavia, nonostante aver superato incredibili ostacoli per arrivare dal loro remoto villaggio negli Stati Uniti, Nabila e la sua famiglia sono stati completamente ignorati. Nella seduta del Congresso dove hanno testimoniato, erano presenti solo 5 dei 430 rappresentanti.

Le parole del padre di Nabila davanti ai pochi che ascoltavano: “Mia figlia non ha la faccia di un terrorista e non l’aveva neppure mia madre. Non capisco il senso di quanto è successo, perché è successa una cosa simile … come maestro vorrei educare gli statunitensi e far sì che conoscano i miei figli che sono stati feriti”.

Il traduttore si è messo a piangere mentre egli raccontava la sua storia, ma il governo ha deciso di sfidare quella famiglia e ignorare la tragedia che le aveva causato. Nabila, la piccola bimba con i suo stupefacenti occhi color mandorla, ha fatto una semplice domanda durante la sua testimonianza: “Che male aveva fatto mia nonna?”. Nessuno ha risposto a questa domanda, e pochi si sono dati la pena di ascoltarla.

Quale simbolo di estremo disprezzo del governo per la gente che pretende di stare liberando, mentre i Rehman raccontavano le loro sofferenze, Barak Obama era in riunione con il direttore esecutivo del fabbricante di armi Lockeed Martin.

Memoria selettiva

E’ utile paragonare la reazione statunitense davanti a Nabila Rehman con quella ricevuta da Malala Yousafzai, una giovane che è stata quasi assassinata dai talebani pachistani.

Mentre Malala veniva celebrata da personalità dei media, da politici e dirigenti occidentali per il suo eroismo, Nabila è diventata semplicemente una in più dei milioni di persone anonime, senza volto, le cui vite sono state distrutte nell’ultimo decennio dalle guerre USA. La ragione per questa evidente differenza è ovvia: visto che Malala è stata un vittima dei talebani, lei – nonostante le sue proteste – è stata vista come un potenziale strumento di propaganda politica da poter utilizzare dai sostenitori della guerra. Poteva essere usata  come  volto umano dei loro sforzi, un simbolo della pretesa morale della loro scusa, il tipo di bambina nel cui nome gli USA e i loro alleati possono dire che stanno provocando uno spargimento di sangue tanto incredibile. Chiaramente, molti di quelli che hanno utilizzato il suo nome e la sua immagine come simbolo della giustizia dell’azione militare statunitense nel mondo musulmano, non si sono preoccupati abbastanza da ascoltare le sue parole o i suoi sentimenti al riguardo.

Come scrive Max Fisher del Washington Post:

“Le lusinghe occidentali su Malala hanno avuto meno a che fare con i suoi sforzi per migliorare le condizioni delle bambine in Pakistan, e certamente sulle lotte di milioni di ragazze in Pakistan, e più con il nostro desiderio di sentirci bene con una celebrità e un messaggio facile. E’ un modo per salvarci in una situazione difficile, di convincerci che si tratti semplicemente di buoni contro cattivi, che siamo dalla parte giusta e che tutto va bene”.

Ma qual è il ruolo di Nabila? Se gli assassinii extragiudiziali, gli attacchi dei droni e la tortura fanno davvero tutti parte di una causa giusta, associata alla liberazione del popolo del Pakistan, dell’Afganistan e di altri luoghi, dov’è finita la compassione o anche il semplice riconoscimento della devastazione che questa guerra ha causato ad innumerevoli piccole bambine come lei?

La risposta è evidente: gli unici che meritano di essere riconosciuti per le loro sofferenze in questo conflitto sono quelli che sono vittime del nemico. Malala, per el sue lotte, doveva essere trasformata nella faccia dello sforzo di guerra statunitense – contro la sua stessa volontà, se fosse stato necessario – mentre innumerevoli bambine come Nabila continuano ad essere terrorizzate e assassinate come parte di questa guerra senza fine.

Non ci saranno presentazioni di celebrità o cerimonie con premi per Nabila. Quasi nessuno si è preso la briga di assistere alla sua testimonianza.

Ma, se vi avessero assistito, avrebbe ascoltato la testimonianza di una bambina di 9 anni che faceva le domande formulate da milioni di persone innocenti le cui vite sono piombate nel caos durante l’ultimo decennio: “Quando sento che perseguitano persone che hanno fatto dei danni agli Stati Uniti mi chiedo: che danno ho fatto io? Che cosa ha fatto loro mia nonna? Non ha fatto niente di male”.

(*) Scrittore e analista canadese, specialista di politica mediorientale; da: rebelion.org; 6.11.2013

Traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)