Il manuale Sharp e i “colpi di stato morbidi” in America Latina
di Juan Manuel Karg (*)
Gene Sharp è un filosofo e politologo statunitense, fondatore della ONG Albert Einstein, il cui presunto fine è promuovere “la difesa della libertà e della democrazia e la riduzione della violenza politica attraverso l’uso di azioni non violente”. La sua opera, tuttavia, segnala cinque passi per provocare colpi di stato morbidi: ammorbidimento; delegittimazione; riscaldamento della piazza; combinazione di forme di lotta e frattura istituzionale.
Come si applicano queste tappe contro i governi post-neoliberisti del nostro continente?
Che similitudini hanno con quanto successo durante l’ultimo mese in Venezuela?
Attraverso il primo passo del “manuale” Sharp – il suo libro, suggestivamente intitolato “Dalla dittatura alla democrazia”, paradossalmente è quasi sempre stato utilizzato contro governi democraticamente eletti – si cerca la promozione di azioni tese a generare un clima di malessere sociale nel paese, sviluppando correnti di opinione su problemi reali o potenziali. Il ritornello prediletto è di solito, in questo primo momento, la promozione di denunce di corruzione statale che, in gran parte dei casi, non sono state provate ma che contribuiscono a generare un “clima” – sia antigovernativo che antistatale, come è successo negli anni ’90 per giustificare nei nostri paesi l’ondata di privatizzazione abbattutasi sulle imprese statali.
Con queste denunce, fondate o no, si comincia ad “ammorbidire” la fortezza che sostiene le basi del governo in carica, puntando a creare un crescente scontento sociale.
Come si rafforza questo primo momento?
Si cerca di creare problemi economici quotidiani: la scarsità di prodotti di prima necessità e una scalata dei prezzi, per esempio, attraverso il controllo diretto di gruppi monopolistici su gran parte della filiera produttiva del paese. Un non intervento dello stato in questo primo momento può essere molto pericoloso a medio termine, visto che implicherebbe perdere la possibilità di controllare un’area molto sensibile per le necessità di base della popolazione.
La creazione di mercati popolari, come in Venezuela, o determinate politiche di controllo dei prezzi, possono contribuire ad arrestare i fenomeni speculativi.
Il passo seguente è cercare di togliere legittimità attraverso la denuncia dell’inesistenza della libertà di stampa – dalla stessa stampa, paradossalmente – e un presunto attacco ai diritti umani del governo stesso – qualcosa che in generale non è stato possibile dimostrare in pratica riguardo ai governi post-neoliberisti del nostro continente.
Si cerca di creare una corrente di opinione su un autoritarismo crescente, basato su un presunto “pensiero unico”, facendo circolare ripetitivamente queste denunce su tutti i mass media privati.
La maggior parte dei governi progressisti dell’America Latina hanno affrontato queste due prime tappe – specialmente la seconda. La frase “si appropriano di tutto”, ripetuta fino allo sfinimento in varie di queste esperienze, è stata il cavallo di battaglia di senso comune per cercar di erodere le basi di appoggio di questi governi, fondamentalmente basati sulle maggioranze popolari. Così le modifiche che puntano ad ottenere una redistribuzione dello spazio radio, ad esempio, sono state caratterizzate come “attentati contro la libertà di espressione”.
Il problema di fondo non è di libertà ma economico: quelli che strillano al cielo sono proprio i grandi industriali mediatici, che si sono visti minacciati dalle nuove legislazioni che cercano di mettere un freno ai monopoli informativi.
Il terzo momento consiste nella promozione della “lotta di strada attiva”, che si scontri direttamente con il governo su rivendicazioni politiche e sociali. Così ci possono essere proteste violente contro le istituzioni, proprio come è successo durante l’intero mese di febbraio in Venezuela – con l’attacco ai tribunali, alle abitazioni dei governatori, ai mercati popolari promossi dall’esecutivo, ecc.
C’è qui una notevole contraddizione con il presunto paradigma “pacifista” che si è cercato di attribuire a Sharp secondo l’ottica di alcuni analisti internazionali, che hanno cercato di “abbellire” la sua opera negli ultimi anni.
Il penultimo passo, legato alle mobilitazioni, è la generazione di un clima di “ingovernabilità”, tramite operazioni di “guerra psicologica” o di “quarta generazione”.
Così, ad esempio, si utilizzano i mezzi di comunicazione di massa privati per accollare la colpa delle azioni di strada e delle loro conseguenze al governo stesso, nascondendo o travisando l’informazione su ciò che è successo. La diffusione di notizie false, o fotografie di fatti accaduti in altri luoghi del mondo, che rapidamente vengono diffuse come ” virus” dalle reti sociali, cerca di creare una corrente di opinione pubblica a livello nazionale e internazionale. Si cerca anche di trovare l’appoggio di dirigenti, artisti e personalità internazionali che, informate o no su quanto succede realmente nel paese, ne parlano perché è un tema rilevante su scala mondiale. Poi si riproduce questa opinione nei mezzi privati di comunicazione di massa nazionali, generando un cerchio (dis)informativo.
Per finire, si aspetta che si produca la frattura istituzionale, il punto culminante del “manuale” di destabilizzazione.
Per questo si cerca di provocare un isolamento internazionale, cosa che – se non succede – può far fallire i passi precedenti (due esempi del nostro continente: la rapida reazione di Unasur contro i tentativi di golpe nel 2008 e 2010 in Bolivia e Ecuador, rispettivamente).
Se si produce l’isolamento internazionale, e i passi precedenti sono stati compiuti, si cerca di forzare la rinuncia presidenziale.
Qui, ad esempio, si può promuovere una divisione ancor più grande tra (potere) Esecutivo e Legislativo, nel caso il governo non riuscisse a controllare quest’ultimo attraverso una maggioranza parlamentare.
I “colpi di stato morbidi” in Honduras e Paraguay sono stati condotti dalla destra autoctona e dai gruppi imprenditoriali di entrambi i parlamenti. La destituzione di Lugo, ad esempio, è avvenuta tramite un “giudizio politico” express, che ha determinato la sua caduta in meno di 24 ore, violando norme giuridiche di base di fronte ad un presidente democraticamente eletto.
Se questa frattura non si produce, si può puntare a promuovere un intervento militare straniero oppure sostenere lo sviluppo di una guerra civile prolungata.
Come si vede in questo ultimo punto, sotto l’idea di un possibile intervento militare straniero appare un elemento non secondario in tutti i passi che abbiamo visto: l’ingerenza esterna.
Si può analizzare “autoctonamente” questi tentativi di “colpo di stato morbido” senza tener conto del ben noto aumento delle basi militari statunitensi in America Latina?
E’ possibile ragionare sull’ondata di proteste che hanno luogo in Venezuela senza considerare che è il paese con le maggiori riserve certificate di petrolio su scala mondiale?
Dietro il tentativo di delegittimazione internazionale di governi democraticamente eletti nel nostro continente, non solo si nasconde un interesse ideologico – il rifiuto di una forma di governo che ha orizzonti di cambiamento sociale – ma anche un fine chiaramente commerciale, tendente a poter controllare nuovamente le enormi risorse che il nostro continente possiede.
(*) Ricercatore del Centro Culturale della Cooperazione di Buenos Aires.
da: alainet.org; 17.3.2014
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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