Verso Bagdad
di Mike Whitney (*)
Mentre i principali consiglieri politici e militari del presidente Barak Obama deliberano sul miglior modo di far fornte alla crescente crisi in Iraq, un piccolo esercito di agguerriti estremisti islamici, volontari ed ex membri del partito Baath, hanno spazzato via qualsiasi opposizione e si trovano a meno di 50chilometri da Bagdad, minacciando di impadronirsi della capitale, rovesciare il governo del presidente Nouri al-Maliki e scatenare un’altra tormenta di fuoco di violenza settaria.
Nonostante Obama abbia definito il sanguinoso attacco una “situazione di emergenza”, e quindi che richiede una risposta rapida, ancora non ha deciso il corso della sua azione.
Intanto i sempre più angosciati abitanti di Bagdad si affrettano ad accumulare cibo e acqua minerale, di poter essere vittime di un’altra guerra in poche ore.
Anche ora poco si sa sull’oscuro gruppo di radicali sunniti che chiamano se stessi Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS). Quello che si sa, invece, è che sono una forza militare molto competente, che può attaccare con la velocità del fulmine, distruggere senza fatica i suoi avversari meglio equipaggiati e ottenere l’appoggio della popolazione locale perchè si unisca alle sue file. L’ISIS non avrebbe mai potuto catturare una città come Mossul a meno che il grosso della popolazione li considerasse più come liberatori che come occupanti. E’ evidente che al-Maliki non è riuscito a guadagnarsi i cuoir e le menti della gente nelle zone a maggioranza sunnita, dove è visto come un freddo tiranno che governa con il pugno di ferro. Tuttavia niente di tutto questo spiega perchè l’ISIS è sorto dall’oscurità da poco o quali sono i suoi obiettivi reali.
Cito un ritaglio di Alakhbar News che aiuta a rispondere a questa domanda:
“Vanno di moda un mucchio di teorie su .... L’analisi più logica punta in due direzioni che si incontrano in un punto. La prima sostiene che l’ISIS ... ha annusato un avvicinamento tra USA e Iran e ha intravisto i segnali di un fronte regionale emergente per liquidare il movimento islamista takfiri, compreso l’ISIS. I semi di questo fronte sono spuntati per la prima volta in Siria, e altri segni si sono visti in Iraq, dove si parla di preparativi militari e vendita di armi per recuperare il controllo statale sulla provincia di al-Anbar. Tutto questo ha spinto l’ISIS a lanciare un attacco preventivo per rafforzare le sue posizioni e prepararsi alla battaglia finale che aspetta.
La seconda direzione allude ad un’operazione destinata a far cadere l’ISIS in una trappola simile a quella che gli Stati Uniti usarono con Saddam Hussein prima dell’invasione del Kuwait col fine di conseguire un appoggio regionale e farla finita con lui ... La reazione internazionale alla caduta di Mossul rafforza la seconda analisi.” (“Le teorie dietro la presa di possesso dell’ISIS della provincia irachena”, al-Akhbar).
Quindi l’avanzata dell’ISIS su Bagdad è un attacco preventivo progettato per far fallire un’alleanza statunitense-iraniana che saboterebbe il suo futuro politico, o la milizia islamista è caduta in una trappola? E’ impossibile dirlo in questo momento, ma almeno un giornalista veterano crede di sapere da dove provengono i finanziamenti del gruppo.
Ecco qui un breve estratto di un articolo di Robert Fisk, dal titolo rivelatore “La crisi dell’Iraq: il califfato sunnita è stato finanziato dall’Arabia Saudita”:
“Così, dopo lo spettacolo grottesco dei talebani e di Osama bin Laden e dei 15 dei 19 assassini suicidi dell’11 settembre, entrate e guardate qual è l’ultimo mostruoso contributo dell’Arabia Saudita alla storia del mondo: il califfato islamista sunnita dell’Iraq e del Levante, conquistatori di Mossul e Tigrit – e di Raqqa in Siria – e, possibilmente, di Bagdad, che finalmente umiliano Bush e Obama. Da Aleppo, nel nord della Siria, quasi fino alla frontira iraniano-irachena, gli yihaidisti dell’ISIS e diversi altri gruppuscoli pagati dai wahabiti sauditi – e dagli oligarchi del Kuwait – controllano migliai di chilometri quadrati...
Bisogna ricordare che i nordamericani catturarono e tornarono a catturare Mossul per schiacchiare il potere dei combattenti islamisti. Lottarono per Falluya de volte. E entrambe le città sono state nuovamente perse contro gli islamisti. Gli eserciti di Bush e Blair se ne sono da tempo andati a casa, cantando vittoria. Con Obama, l’Arabia Saudita continuerà ad essere trattata come un amico “moderato” nel mondo arabo, nonostante la sua famiglia reale condivida le convinzioni wahabite degli islamisti sunniti in Siria e in Iraq – e nonostante che milioni dei loro dollari armino questi stessi combattenti. Il potere dei Saud alimenta il mostro nei deserti di Siria e Iraq e allo stesso tempo adula le potenze occidentali che lo proteggono?” . (“La crisi dell’Iraq: il califfato sunnita è stato finanziato dall’Arabia Saudita”, Belfast Telegraph).
Fisk non è l’unico a dare la colpa all’Arabia Saudita. lo fa anche questa notizia di Al-Thawra, che è un mezzo di comunicazione statale siriano:
“Il terrorismo si stende davanti agli occhi del mondo occidentale ... dietro di esso sta la mano dell’Arabia Saudita, che fornisce denaro e armi ... Nei fatti accaduti in Iraq e nella scalata della campagna terrorista, nessun paese occidentale ignora il ruolo che l’Arabia Saudita gioca appoggiando il terrorismo e finanziando e armando i differenti fronti e le battaglia, sia all’interno che all’esterno dell’Iraq e della Siria. L’apparizione di queste organizzazioni non è il risultato di un vuoto, ma di aiuti di lungo tempo ed evidenti al terrorismo .... che il Golfo ha dedicato le sue risorse finanziare ad espandere.” (Questo appoggio è stato portato avanti) “con la conoscenza occidentale e nella maggior parte dei casi con ordini chiari ed espliciti.” (“L’Arabia sta dietro agli attacchi dell’ISIS in Iraq, affermano i media statali siriani”, Alakhbar).
Anche se né Fisk né al-Thawra forniscono alcuna prova delle loro affermazioni, sospettiamo che quando sarà scoperta la scia lasciata dal denaro, l’evidenza, una volta ancora, punterà a Riad, la capitale del terrorismo mondiale.
Ancora da Alakhbar:
“Il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki si è diretto agli ufficiali del suo esercito per televisione, alla luce dei rapporti della sicurezza che indicano che gli attaccanti sono membri del partito Baath, seguaci di Izzat Ibrahim al-Douri – che è stato vice presidente sotto Saddam – così come vecchi ufficiali dell’estinto esercito iracheno e fedayin di Saddam. Secondo i rapporti, più di 40 ufficiali che avevano servito nell’esercito di Saddam Hussein hanno cospirato con gli attacanti. Vi sono voci di tradimento che implicano alti comandi militari, tra cui il generale Abboud Qanbar, il tenente generale Ai Ghaidan e il generale mahdi al-Ghazzawi, tutti membri dell’antico esercito.” (“il successo dell’ISIS è avvenuto grazie al tradimento e alle mancanze del governo iracheno”, Alakhbar).
Così, l’ISIS non è solo un gruppo di yihaidisti scontenti, dopo tutto. Le file dell’esercito sono piene di ex membri del partito Baath e di militari professionali che sono disposti a lottare senza tregua a Bagdad per conquistare tutto il potere.
E cosa pensa di fare al-Maliki per diferndere la capitale da questa orda sempre più grande di soldati sunniti, altamente motivati e con esperienza provata di combattimento?
Al-Maliki progetta di lanciare una campagna di reclutamento per organizzare un “esercito popolare” simile alle Forze Nazionali di Difesa della Siria.
Vi rendete conto? La milizia dell’ISIS si trova a pochi chilometri da Bagdad e al-Maliki crede di poter organizare dal nulla un esercito nelle prossime ore per respingerla. Buona fortuna, signor presidente.
Naturalmente molti ritengono che Obama e compagnia stiano solo fingendo di essere sorpresi dal repentino giro degli avvenimenti; che in realtà sapessero che qualcosa di simile si stava preparando da tempo, ma che hanno deciso di guardare da un’altra parte pernsando che l’offensiva dell’ISIS li avrebbe aiutati a portare avanti la loro strategia regionale più ampia – indebolire gli Stati-nazione arabi cancellando le frontiere esistenti e facilitando una “spartizione dolce” che rafforzerebbe l’egemonia statunitense-israeliana, rendendo più facile reprimere la popolazione indigena e appropriarsi delle sue risorse.
Ecco un articolo del corrispondente di Al Hayat, Raghida Dergham:
“Mentre l’ISIS, con la sua pericolosità, la sua ideologia distruttiva e la sua spaventosa ignoranza si propaga da Deir al-Zour alle frontiere del Kurdistan, ottenendo le sue vittorie miserabili, le potenze regionali e internazionali si affrettano a raccogliere i vantaggi della situazione per promuovere i loro interessi ... Tutti gli eserciti transfrontalieri si ritengono chiamati ad essere di nuovo protagonisti della storia, facendola finita con gli accordi Sykes-Picot. Questi sono gli eserciti della distruzione e dell’abolizione delle frontiere. A quanto sembra nessuno sbarra loro la strada, nonostante che le potenze della NATO pretendano di essere nel panico e nonostante quante dichiarazioni di preoccupazione facciano le Nazioni Unite. La cosa allarmante è che ci sono forze internazionali che appoggiano gli eserciti radicali in movimento nel tentativo di attraversare le frontiere, per usarli in guerre di logoramento contro gli eserciti tradizionali, con lo scopo di dividersi gli stati esistenti nella regione araba. L’ISIS non è la risposta ai piani per frammentare la regione araba e rafforzare l’egemonia iraniana, ma in realtà è uno strumento di quei piani, che l’ISIS ne sia cosciente o ingenuamente al di fuori. L’ISIS sta distruggendo gli arabi e scalzando i sunniti moderati, visto che è pare di un sinistro progetto a cui partecipa in modo volontario o per caso. Tutti quelli che forniscono aiuti all’ISIS e ad altri gruppi simili, come il Fronte al-Nusra e gli altri salaafiti o milizie wahabite, stanno contribuendo direttamente alla cadura di Siria e Iraq, non importa quale credono sia il loro ruolo storico.
L’Iraq oggi è sul punto di collassare in una guerra civile e nella divisione, se non nella frammentazione. Nessuno uscità vincitore dalla prossima guerra in Iraq”. (“I ‘successi’ dell’ISIS in Iraq e Siria, un regalo per il negoziatore iraniano?”, Raghida Dergham, Huffington Post).
L’autore crede chiaramente che l’Iran sa un grande giocatore in questa crisi geopoliitca per il potere nella regione. Ma, come riconosce più avanti nel suo aricolo, “gli Stati Uniti non sono estranei a questi piani. Nella mente di molti, sono la parte che incoraggia e crea gli estremisti, che siano sunniti o sciiti, per dividere la regione araba e permettere all’Iran di dominarla, con la connivenza di Israele”.
Non è ciò che sta succedendo davvero? Anche se gli osservatori esterni possono non conoscere dettagli concreti, possono però accettare con una certa sicurezza che le potenze straniere – Israele, Stati Uniti, Arabia Saudita – sono tutte molto coinvolte e cercano vari modi di influire sul risultato finale. Questi paesi sono coinvolti fin sopra i capelli in questo sanguinoso gioco geopolitico, e stanno utilizzando l’Iraq come piattaforma per le loro ambizioni egemoniche.
Anche se non abbiamo idea di quello che succederà nelle prossime settmane, sapppiamo chi sarano i perdenti in questa uova convulsione regionale: il popolo iracheno.
(*) Analista politico e giornalista di Counterpunch, mensile di politica statunitense.
da lahaine.org; 17.6.2014.
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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