RAPPRESENTANZA E JOBS ACT

 

Ci vuole il protagonismo dei lavoratori

Alcune considerazioni sul Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 e sui primi provvedimenti del governo Renzi.

di Michele Michelino

Il 10 gennaio Confindustria e Cgil, Cisl e Uil hanno firmato il “Testo Unico sulla rappresentanza” che stabilisce la nuova disciplina del lavoro e nuove regole nel conflitto fra capitale e lavoro.

Quest’accordo è il completamento del Protocollo d’Intesa del 31 maggio 2013, criticato dal Coordinamento delle RSU, dalla FIOM e dai sindacati che base, perché considerato un attacco alla democrazia sindacale, una vera svolta autoritaria. I punti salienti di quest’accordo stabiliscono che: 

 possono partecipare alla vita sindacale aziendale solo quei sindacati che superano la soglia del 5% della rappresentatività sui posti di lavoro.

  • La rappresentatività si misura dal rapporto fra iscritti con deleghe (e per questo i sindacati hanno attivato speciali rapporti con l’INPS) e risultati delle elezioni delle RSU.

  • L’accordo fra Confindustria e sindacati confederali impegna i firmatari a certificare gli iscritti attraverso CNEL e INPS, per rendere più agevole la certificazione della maggioranza del 50%+1 nel rinnovo degli accordi contrattuali.

  •  sono introdotte multe, chiamate Sanzioni pecuniarie ai rappresentanti sindacali che violano la pace sociale e gli accordi sottoscritti da CGIL-CISL-UIL.

  •  È introdotto l’arbitrato interconfederale in sostituzione dell’autonomia delle singole categorie, violando anche la recente sentenza della Corte costituzionale sulla Fiat. 

 

L’intesa stabilisce, infatti, che se ci sono problemi tra diversi sindacati all’interno di una categoria c’è l’obbligo di chiedere l’intervento di una confederazione, che insieme alle controparti (padroni) è incaricata di risolvere il contenzioso. Così d’ora innanzi i contratti nazionali non le faranno più categorie ma le confederazioni che si sostituiscono a loro eliminando in sostanza il “libero” ruolo di contrattazione tra le parti sociali.

 

Inoltre come se non bastasse, il governo del presidente del Consiglio Matteo Renzi dopo aver confermato la “mancia elettorale” di 80 euro in più in busta paga per i lavoratori dipendenti, dal 21 marzo 2014 ha introdotto lo Jobs Act, con tutte le nuove specifiche sui contratti.

 

Con il decreto dello Jobs Act, cambiano le regole su apprendistato e necessità di causale inerente la formulazione del contratto di lavoro, che non è più richiesta in maniera obbligatoria. Da adesso non sarà più necessaria per stipulare un nuovo rapporto di lavoro a termine, anche se questi ultimi, d’ora in avanti, non potranno superare il limite del 20% dei contratti realizzati in azienda.

 

Le nuove indicazioni dello Jobs Act, poi, specificano che è possibile prorogare fino a otto volte, pur rimanendo entro il limite massimo dei tre anni, quella stessa attività alla base della formulazione contrattuale, mentre fino a ieri era in vigore la possibilità di una sola proroga, sempre entro i tre anni, dopodiché il datore di lavoro era obbligato a scegliere se assumere il lavoratore o interrompere il rapporto.

 

Riguardo all’apprendistato ilJobs Act diventa addirittura peggiorativo rispetto alla “riforma” Fornero. Con quest’accordola formazione diventa facoltativa, con retribuzione pari al 35%. Inoltre, decade il limite minimo per le aziende di contratti di apprendistato da convertire in assunzioni entro il limite dei te anni, per usufruire nuovamente della tipologia contrattuale.

 

Questi accordi e decisioni determinati dalla crisi e dai rapporti di forza in campo fra le classi sono tutti a vantaggio dei padroni contro gli operai. La difesa dei profitti avviene come sempre e ancor più di prima sulla pelle dei proletari.

 

I governi di “salvezza nazionale” che si sono succeduti dal 2008 a oggi hanno proceduto speditamente a difendere gli interessi dei capitalisti sulla pelle dei proletari. La riforma delle pensioni del governo Monti (Ministro del Lavoro Fornero) sostenuta da PD- PDL ecc, ha portato a 70 anni l’età pensionabile, aiutato le delocalizzazioni, aumentato i licenziamenti e i disoccupati con il continuo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro per tutti gli strati bassi della popolazione.

 

Il governo Renzi ha accelerato l’abbraccio padroni e sindacati confederali in difesa del sistema imperialista ottenendo pubblicamente Il plauso e il sostegno aperto della Confindustria di Squinzi dimostrandosi nella crisi il più credibile comitato d’affari della borghesia.

Mentre sono tagliati i diritti dei lavoratori, i pensionati ei disoccupati proletari stanno sempre peggio a causa dei sacrifici imposti da lor signori.

Viviamo in un paese in cui dilagano gli scandali e le ruberie di denaro pubblico, dall’Alta Velocità in Val di Susa, all’Expo (che invece che “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” come recita il suo slogan nutrisce e gonfia il portafogli di politici e imprenditori) fino a Venezia dove scoppia lo scandalo delle tangenti nelle opere del Mose che invece che fermare l'acqua alta alimenta con un miliardo di tangenti i conti di politici e imprenditori.

 In realtà tutte le chiacchiere sulla legalità, sull’onesta, sulla legge uguale per tutti non sono altro che frasi vuote dietro cui nascondere le loro malefatte.

Dietro la faccia buona della democrazia borghese si nasconde la brutale dittatura del capitale in tutta la sua violenza.

Il sindacato concertativo e conflittuale ha ormai lasciato il campo a quello collaborativo, elemento regolatore del mercato del lavoro e del conflitto sociale.

L’oppressione e l’intensificarsi dello sfruttamento nell’immediato non solo aumentano la concorrenza fra lavoratori e alimentano la guerra fra poveri, ma sono la causa dei morti sul lavoro e di lavoro e nello stesso tempo le condizioni materiali per la rivolta.

Le nuove regole repressive e la fascistizzazione dello stato hanno lo scopo di reprimere sul nascere la protesta operaia e i movimenti di contestazione, ma non possono impedirli.

La crisi evidenzia e spinge una minoranza della parte più cosciente della classe operaia a prendere coscienza della sua realtà di sfruttamento. La lotta di classe e il conflitto sempre latente o manifesto sono inevitabili nel capitalismo a dispetto di testi unici e leggi fasciste.

Sotto l’apparente calma piatta del malcontento e si sta formando un’avanguardia proletaria che quanto prima sarà costretta a fare i conti con il suo passato e il suo presente. Un’avanguardia che chiuda definitivamente il conto con gli ingloriosi dirigenti pseudo “comunisti” che come sindacalisti o ministri del governo borghese di centro sinistra al pari di quelli del centrodestra hanno difeso gli interessi del grande capitale sostenendo le azioni di guerra della NATO e del governo Italiano nel mondo, promulgando e sostenendo  leggi contro i lavoratori e dimostrandosi quello che sono: difensori del sistema borghese da cui traggono vantaggi economici e politici.

La storia insegna che senza un partito politico proletario o un movimento politico indipendente nessuna lotta può trasformarsi spontaneamente in lotta rivoluzionaria per il potere, ma stanno maturando i tempi anche per questo e riprendere il dibattito su quale società vogliamo, e con quali strumenti la si conquista non è solo un tema da rimettere all’ordine del giorno: ma un obiettivo da raggiungere e una pratica da riprendere.

 

Da “nuova unità”, RIVISTA COMUNISTA DI POLITICA E CULTURA (n. 3 giugno 2014)

 

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