La “Nuova Aurora” degli USA in Iraq
di Nazanin Armanian (*)
Cosa ci fanno esattamente i 55.000 soldati statunitensi e un numero sconosciuto di effettivi della missione della NATO rimasti in Iraq dopo l’annuncio della ritirata delle truppe statunitensi nel 2011, in un’operazione battezzata “Nuova Aurora”? Che tipo di lavoro fanno nei 104 ettari dell’ambascia USA a Bagdad e negli altri loro 9 consolati, mentre migliaia di terroristi avanzano verso la capitale con le loro bandiere nere? Mentre questi terroristi uccidono centinaia di civili, provocano la fuga di quasi un milione di persone in una sola settimana e lasciano senza acqua, cibo e servizi di base altrettante persone senza fare un solo graffio agli occupanti occidentali?
Questa è la pace e la prosperità promessa dal trio delle Azzorre (n.d.t.: Bush, Blair e Aznar che nel 2004 vi decisero l’invasione dell’Iraq).
Mercenari assunti dalla NATO, alcuni battezzati Daash in arabo, e ISIS in inglese – acronimo di Stato Islamico dell’Iraq e al-Sham, antico nome dei territori di Siria e Libano – portano a termine il loro proposito di disintegrare l’Iraq in vari mini-stati. Prima sono passati dall’Afganistan, dal Pakistan, dallo Yemen, dalla Cecenia, e recentemente dalla Libia, dal Mali, dalla Siria e dall’Ucraina, spianando il cammino del dominio militare-economico USA su questi paesi.
La militarizzazione dell’Iraq con 14 mila milioni di dollari in aerei da combattimento, missili Hellfire e altri marchingegni bellici non ha impedito la sconfitta militare e politica del governo iracheno, la sua perdita di funzionalità né la dimostrazione della sua incapacità come sistema politico settario.
E’ stato per compiere questo piano che l’amministrazione Bush installò un regime sciita a Bagdad, emarginando i sunniti, e in seguito organizzò forze militari divise allo stesso modo perché succedesse quello che è successo ora: gli ufficiali e i soldati sciiti di Mossul non hanno difeso la popolazione sunnita aggredita dagli yihaidisti, nonostante il Pentagono si sia intascato una bella fetta dei soldi degli iracheni per addestrare 930.000 soldati. Questa tattica è stata confermata con l’arresto fortuito di due agenti dello Special Air Service (SAS) britannico il 19 settembre 2005, mentre guidavano un’auto piena di esplosivi a Bassora, mascherati da arabi.
Senza dubbio si trattava della punta dell’iceberg delle operazioni di falsa bandiera, per “irachizzare” l’illegale invasione della coalizione occidentale, e per castigare il popolo iracheno, che allora rifiutò di essere tutelato dal governatore della nuova colonia, Paul Bremer.
Tre dimensioni della crisi
Il convergere di vari fattori a diversi livelli sta configurando una nuova mappa della regione.
A livello interno: Le recenti elezioni presidenziali, che dovevano consolidare il dominio e i privilegi della corrotta élite sciita e il trattamento degradante verso sunniti, laici e minoranze religiose non islamiche, oltre agli arresti arbitrari e alle esecuzioni sommarie, hanno dato luogo ad un’inaudita alleanza tra due forze: il movimento Nagshbandi degli ex ufficiali baathisti, a quanto sembra diretto dal fedele di Saddam, Ezzat Ibrahim al-Duri, e gli yiihaidisti sunniti, appoggiati da Arabia Saudita e USA, con grandi capacità di combattere la guerra di guerriglia nelle zone urbane.
A livello regionale: quasi si trattasse di un macabro piano coordinato, la scorsa settimana gli USA hanno minacciato di tornare a bombardare l’Iraq per proteggere “i suoi interessi nazionali”, e hanno inviato la portaerei George H.W. Bush nel Golfo Persico. Intanto i suoi droni lanciavano bombe e missili sul popolo pakistano, i talebani (i “non nemici” di Washington, secondo Joe Bidden) assaltavano l’aeroporto internazionale di Karachi, e gli yihaidisti in Libia prendevano la città di Bengasi.
Chi lo sa? Si sta forse portando a compimento il Piano Yinon, lanciato nel 1980 da un analista israeliano, consistente nello sfruttare le tensioni etnico-religiose di arabi e musulmani, col fine di disintegrare i loro paesi e diretto in particolare verso Siria e Iraq. Dall’altro lato l’attuale avvicinamento tra Iran e USA ha provocato gelosie in Arabia Saudita e in Israele, che hanno cercato di sabotarlo in qualche modo. La realpolitik di indebolire la mezzaluna sciita – da Siria e Libano, passando per Iraq e Iran – li ha portati a utilizzare gli yihaidisti sunniti e a colpire gli interessi dell’Iran e dell’Iraq: la caduta di Nouri al-Maliki o di Bashar al-Assad metterebbe fine alle negoziazioni sul nucleare tra Teheran e Washington, oltre a spingere l’Iran ad armarsi.
Che Obama firmasse un contratto di vendita di armi con Bagdad (in cui erano inclusi vari cacciabombardieri) per il valore di 14 mila milioni di dollari non sono noccioline, e evidentemente ciò preoccupa gli israeliani e gli arabi.
A livello internazionale:
1. E’ possibile che Washington, dall’Iraq, stia pianificando di applicare la soluzione finale alla Siria, castigando en passant la Russia per la crisi di Crimea? Non è un caso che i repubblicani difendano l’idea che l’impedire lo sprofondamento dell’Iraq passa per “risolvere la guerra civile in Siria”. E’ ovvio che a Washington c’è un settore che si batte per prendere il controllo dell’Iraq tramite la legalità e il suo governo sciita, e un altro – con più fretta e meno pudore – che non ha dubbi nel provare a farlo attraverso gli yihaidisti.
2. Obama ha la sua strategia: si fa pregare di bombardare il paese. Sa che, quanto maggiore sarà l’aumento della violenza in Iraq, quante più richieste riceverà da tutte le parti per organizzare una rioccupazione – questa volta legale – del paese, passando ad essere ricordato come il salvatore degli iracheni e cancellando con un tratto di penna l’infame invasione del loro paese.
3. Un fatto curioso: in Iraq le grandi compagnie petrolifere statunitensi hanno smesso di estrarre il petrolio, per passare a ottenere più profitti con altre occupazioni meno rischiose; si sono trasformate in società che prestano servizi (macchinari, conoscenze) ad altre corporations, come quelle cinesi. Qualcosa di simile a quanto successe ai tempi della “febbre dell’oro” in California, i cui principali beneficiari furono i venditori di scavatrici e pale ai minatori e non quelli che cercavano il metallo dorato.
4. Si tratta di un’altra opportunità perché il Dipartimento della Difesa ottenga migliaia di milioni di dollari per il Fondo contro il Terrorismo – che, opportunamente, è sorto in anche in Nigeria, Libia, Afganistan e Mali. Quanto maggiore sarà il caos in paesi con governi indeboliti, più necessità di fondi ci sarà per salvare l’umanità dal terrore islamista. In Afganistan, dopo quasi 13 anni di occupazione, gli USA si preparano a coabitare con i talebani (gli stessi implicati nell’11 settembre), installandosi in niente meno che 9 basi militari costruite sulle frontiere di Cina, Iran, Pakistan e India per, presumibilmente, lottare contro di loro.
E’ Bin Laden questo “sceicco invisibile”?
Nessuno sa esattamente chi è. Il temibile sceicco Abu Bakr al-Baghdadi, presunto dirigente degli yihaidisti salaafiti dell’ ISIS si copre il viso con una maschera per nascondere la sua identità. Dal suo nascondiglio sta coordinando i combattimenti in Iraq contro grandi gruppi paramilitari, organizzati dalle autorità del paese – come l’Hezbollah iracheno – che operano sotto il nome di Brigata d’Oro, legata direttamente all’ufficio del primo ministro.
Sotto il suo comando gli squadroni della morte dell’ISIS hanno ucciso centinaia di civili – funzionari, venditori di bevande alcooliche, intellettuali, docenti, giudici, soldati, membri di minoranze religiose e molti altri - seminando il terrore in una popolazione che non sa più dove fuggire.
Questo individuo sarà sulla lista delle persone da “assassinare selettivamente” del presidente Obama o del Mossad? Certamente no, visto che l’ISIS sta cooperando con il Governo regionale del Kurdistan d’Iraq, le cui potenti milizie peshmerga (termine che significa “colui che sacrifica la sua vita per altri”) sono state addestrate dagli israeliani ed hanno forti legami di ogni genere con Tel Aviv.
Il progetto di creazione di un Grande Kurdistan con i pezzi strappati ai paese rivali di Israele è più che mai attuale. Al momento i kurdi hanno preso il controllo della città petrolifera di Kirkuk, che non è curda del tutto visto che vi ci abitano anche arabi, turcomanni, sunniti, sciiti e cristiani. La minaccia di una pulizia etnica pesa sopra la città.
Grave pericolo per l’Iran
Il governo di Teheran ha dichiarato la sua intenzione di non intervenire militarmente in Iraq per frenare quelli dell’ISIS, ma non potrebbe mantenersi al margine (per la pressione dei militari radicali) nel caso in cui questo gruppo assaltasse o distruggesse i templi sciiti di Samarra, Kirbala e altre città.
Il progetto bushiano del Nuovo Vicino Oriente avanza, e mette fine all’Iraq costituito quale entità unificata, nata dopo la 1° Guerra Mondiale.
Le conseguenze sono assolutamente imprevedibili, ma c’è una garanzia: ci sarà molto dolore.
(*)Politologa ispano-iraniana; da: publico.es; 17.6.2014
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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