Europa-USA: libero commercio, libero saccheggio
di Daniela Trollio (*)
Mentre ancora non si sono spente analisi, valutazioni e discussioni sulle passate elezioni europee e sugli equilibri che ne usciranno, nelle segrete stanze di Bruxelles si sta cucinando un piatto piuttosto indigesto, che può cambiare il volto della spelacchiata Europa che conosciamo.
Questo piatto si chiama TAFTA (Trans-Atlantic Free Trade Agreement) o TIPPT: il trattato di libero commercio tra Stati Uniti e Europa, che stanno discutendo Karel De Gouth, commissario europeo al commercio, e Mike Forman, il rappresentante governativo nordamericano.
Ben pochi ne sono a conoscenza e meno ancora ne hanno parlato, nonostante si tratti di uno degli accordi “commerciali” più ampi e decisivi della storia, visto che riguarda 800 milioni di persone e due potenze che rappresentano più del 40% del PIL (prodotto interno lordo) mondiale, anche se i negoziati sono iniziati dalla metà del 2013 e proseguono nella più completa opacità.
In poche parole, l’obiettivo del TAFTA è creare norme comuni tra USA e Unione Europea in campo commerciale, sociale, tecnico, ambientale, oltre che nei settori della sicurezza, dell’accesso ai medicinali, della giustizia, dei codici del lavoro, della regolazione delle finanze e dell’educazione.
A differenza di precedenti trattati di “libero” commercio stabiliti tra USA e paesi come Messico, Perù, ecc. – che hanno distrutto in pochi anni le più deboli economie contadine di quei paesi - il TAFTA non regolerà solo i dazi tra Unione Europea e USA, che sono già molto bassi, ma si incentrerà essenzialmente sulla liberalizzazione di tutti i settori prima indicati e sul raggiungimento di un’armonizzazione legislativa (cioè l’unificazione delle leggi di entrambi i lati dell’Atlantico) con lo scopo di “ridurre i costi e i ritardi non necessari”. Non necessari per chi? Fondamentalmente per il terzo invitato occulto ai negoziati: le grandi multinazionali che, a differenza dei cittadini europei partecipano a pieno titolo alle discussioni.
I punti chiave
Il Trattato consta di 46 articoli, che si possono riassumere in alcuni punti.
1. Soppressione di tutte le tasse doganali tra USA ed Europa. Anche se i dazi doganali tra i due blocchi sono abbastanza bassi, esistono ancora. Come è già successo in altri paesi, la loro soppressione implica un’inondazione di prodotti agricoli nordamericani, perché non va dimenticato che l’agricoltura USA è ancora massicciamente sovvenzionata – a differenza di quella europea – dal governo. E’ quanto è successo con la piccola e media produzione contadina del Messico e degli altri paesi del sud del mondo che hanno accettato Trattati di Libero Commercio con gli USA. .Vengono così messe in discussione la sovranità alimentare dei nostri paesi e la qualità di quello che mangeremo.
2. Allineamento delle norme sociali, sanitarie, alimentari, ambientali, culturali e tecniche in modo che siano le stesse in USA e in Europa. Solo che in molti paesi europei le norme in campo sociale, ad esempio, sono migliori che negli USA, che non hanno mai ratificato, ad esempio – né hanno intenzione di farlo – le normative dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro). Anche in campo culturale i paesi europei hanno ratificato l’accordo dell’UNESCO sulla protezione della diversità culturale e linguistica, mentre gli USA no.
In materia di diritto alla salute e di politiche ambientali ci possiamo quindi attendere l’incremento della produzione e della vendita dei transgenici, l’uso negli alimenti di tossine e sostanze pericolose che godono di una legislazione molto più favorevole negli USA., oltre alla blindatura dei brevetti sui farmaci, con la riduzione della possibilità di accedere ai meno cari medicinali generici.
Dal punto di vista del lavoro, ci troveremo davanti ad una riedizione “atlantica” della “direttiva Bolkenstein” presentata dalla Commissione Europea nel 2004 e la cui applicazione è stata interrotta a seguito di grandi proteste.
E’ anche conosciuta, in particolare in Francia, come “il caso dell’idraulico polacco”: se una società lettone avesse vinto un appalto in un altro paese, questa direttiva gli avrebbe dato il diritto di applicare le normative sul lavoro e i salari della Lettonia, qualsiasi fosse il paese in cui si svolgeva il lavoro, scavalcando quindi “legalmente” leggi e normative di protezione del mercato del lavoro di qualsiasi paese.
La firma dell’accordo significherà che se fino ad ora il mantra è stato “ce lo chiede l’Europa”, in futuro “ce lo chiederà il TAFTA”.
3. Regolazione dei conflitti. Questo è uno dei punti più pericolosi del trattato perché mira a sostituire i tribunali internazionali esistenti con strutture private che regolino le controversie tra le imprese e i poteri pubblici degli Stati con un arbitraggio caso per caso. Non saranno più quindi le legislazioni nazionali a contare, ma l’ISDS (Investor-State Dispute Settlement).
In caso di litigio un tribunale multinazionale privato - come il già esistente Icds (organo della Banca Mondiale) - può accettare una causa promossa da una multinazionale contro uno Stato. Facciamo per semplicità alcuni esempi: nel 2012 l’Icds ha condannato l’Ecuador a pagare 2.000 milioni di dollari alla multinazionale Occidental Petroleum perché, a causa del disastro ambientale di cui si era resa colpevole la società, lo Stato ecuadoriano aveva rescisso i contratti di estrazione. Nel 2010 e nel 2011 la multinazionale Philip Morris è ricorsa all’Icds chiedendo milioni di dollari di risarcimento all’Uruguay e all’Australia perché questi paesi avevano lanciato una campagna contro il fumo. L’India, primo produttore di medicinali generici a basso prezzo del mondo, è già coinvolta in decine di cause di questo tipo contro le multinazionali del farmaco.
4. Applicazione, nella loro totalità, degli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Parlavamo di terzo invitato occulto ai negoziati del TAFTA. La stessa Commissione Europea che lavora all’elaborazione della proposta, rispondendo ad un’interrogazione, ha candidamente ammesso di aver avuto, tra il gennaio 2012 e l’aprile 2013, 119 riunioni con il mondo del commercio e delle finanze. Con i sindacati, le associazioni dei consumatori e quelle per la protezione dell’ambiente solo 11. Dopo questo giro di riunione la Commissione ha proposto l’adozione del Trattato ai governi europei, che l’hanno accettata. Nel novembre 2013 la ministra francese del Commercio ha negato di conoscere quanto stava accadendo in questi negoziati. Dichiarazione falsa, visto che ci sono due rappresentanti per ogni stato dell’Unione che fanno parte del cosiddetto Comitato 207, organismo a latere delle trattative.
Riassumendo, il grande capitale si è lanciato all’attacco per distruggere uno degli ormai pochi territori dove avere una salute decente, poter godere di vacanze, lavorare senza morire (troppo…) sono ancora concetti radicati nella mente di milioni di persone, anche se ogni giorno vengono sempre più erosi dalla realtà. Ma la velocità e l’omogeneità di questa erosione dei diritti conquistati nei decenni passati non è abbastanza veloce per il grande capitale.
Perché proprio ora?
USA ed Unione Europea stanno perdendo la supremazia economica e politica.
Altri paesi, come la Cina e i BRICS, avanzano a passi da gigante e li stanno sostituendo come economia più grandi, esportatori e fornitori di investimenti stranieri diretti. In America Latina l’ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe) sta mettendo in atto meccanismi che renderanno la vita sempre più dura al Fondo Monetario Internazionale. Russia e Cina – grazie, in un certo senso, alla crisi ucraina - negoziano giganteschi accordi energetici che tagliano fuori sia gli USA che l’Unione Europea.
Non c’è più niente da fare?
Per rispondere a questa domanda, bisogna tornare ad un tentativo analogo, che si chiamava ALCA (Trattato di Libero Commercio per le Americhe).
Siamo nel novembre 2005, in un’amena località argentina di nome Mar del Plata.
33 capi di stato del continente americano (meno uno, Fidel Castro, non invitato come al solito) rifiutano la proposta di George Bush di un trattato di libero commercio che aprirebbe completamente il continente sudamericano alla rapina (di quanto non già rubato) delle multinazionali. La più sonora sconfitta USA del secolo, un naufragio completo frutto di un fortissimo movimento popolare che ha portato nelle strade di Mar del Plata centinaia di migliaia di manifestanti e dell’azione di una serie di governi progressisti guidati dal Venezuela bolivariano di Hugo Chàvez.
Non c’è altra strada per sbarrare il passo ad un’operazione che spazzerebbe via senza appello i resti della vecchia Europa che conosciamo.
Quindi, invece di perdere il tempo a discutere su chi ci dovrebbe rappresentare a Bruxelles (i candidati sono stati tutti zitti,
nessuno ha parlato del Trattato di Lisbona – sottoscritto tra l’altro all’unanimità da Senato e Camera italiani - che affida i poteri fondamentali di
ogni Stato ad un organismo europeo non eletto da nessuno, e men che meno del TAFTA) facciamo conoscere e organizziamo la resistenza e l’opposizione
all’ultima barbarie cucinata tra a Bruxelles e Washington.
(*) Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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