IRAQ

 

Il Califfo di Bagdad

 

di Adriàn Mac Liman (*)

 

Tutto è cominciato con uno strano e inaspettato annuncio: i membri dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS), incapaci di far fronte all’offensiva dell’esercito regolare di Damasco, hanno deciso di abbandonare Aleppo per addentrarsi in suolo iracheno. Curiosamente la mal denominata ritirata strategica è sboccata nella spettacolare occupazione della metà Nord dell’antica Mesopotamia e nella proclamazione del Califfato islamico, cioè di un’entità confessionale che rifiuta le limitazioni geografiche del mondo moderno e, se si preferisce, i confini artificialmente stabiliti all’inizio del XX secolo dall’accordo Sykes-Picot. 

 

I combattenti dell’ISIS non hanno avuto dubbi nel proclamare califfo il loro leader, Abu Bakr al Bagdadi, un radicale islamico nato 43 anni fa nella località irachena di Samarra. Il califfo ha annunciato che distruggerà la Kabba, la mitica pietra posta nella Mecca e che conquisterà i paesi sauditi per poter trasportare il centro delle operazioni dell’ISIS nella terra degli wahabiti. Con questo avvertimento, al Bagdadi riprende il discorso di Osama bin Laden, che era solito definire la Casa di Saud troppo tenera al momento di applicare i precetti dell’Islam tradizionale. Per l’autoproclamato successo di Maometto per … volontà di Allah, il mondo musulmano deve tornare alle sue radici, alla guerra contro l’infedele.

 

Al Bagdadi, dichiarato nel 2011 l’uomo più pericoloso del mondo, dirige il gruppo religioso più violento del mondo islamico. Gli stessi leaders di Al Qaeda censurano il fanatismo dell’ISIS e prendono le distanze dalle sue spietate azioni. Da parte loro altri gruppi islamici criticano la decisione dello Stato Islamico di proclamare il califfato, considerando che ancora non sussistono le condizioni oggettive per l’istituzione o, per meglio dire, la re-istituzione delle strutture teocratiche abolite novant’anni fa, dopo la sparizione dell’impero ottomano. In realtà i caporioni dei movimenti yihaidisti che combattono in Siria non sembrano molto propensi a rendere omaggio al nuovo califfo, come lo esige la legge islamica. Per essi Al Bagdadi è solo uno in più dei loro. 

 

Curiosamente la spettacolare offensiva dei combattenti dell’ISIS non ha provocato l’ira (né la preoccupazione) della classe politica occidentale. L’attuale inquilino della Casa Bianca si è limitato a fare orecchio da mercante alle richieste di aiuto delle autorità di Bagdad, spiegando che gli Stati Uniti intervengono solo nei conflitti nei quali le ripercussioni presuppongono un pericolo reale e diretto per la loro sicurezza. In questo caso concreto l’Iraq, il paese bombardato, occupato e sottomesso  dagli gnomi della guerra transatlantica è … lontano.

 

Tuttavia Washington non dissimula il suo malumore quando la forza aerea irachena riceve aerei da combattimento russi. Mosca, con più criterio, fa tutto ciò che è in suo potere per frenare l’avanzata islamica. Ma i nordamericani esigono, come contropartita, cambiamenti radicali nel governo iracheno. Mentre il primo ministro Nouri al-Maliki rifiuta di accettare gli aut aut di Washington, il presidente del Governo Regionale del Kurdistan, Massud Barzani, civetta con la via secessionista. Non gli mancano le ragioni. E una, forse la più importante, è … il petrolio. Non ci sono dubbi che si tratti di una polizza sulla vita per molte generazioni di kurdi! 

 

Pescando nel torbido…. I combattenti dell’ISIS contano, a quanto pare, su variopinti appoggi. Secondo Daniel Pipes, direttore della rivista The Middle East Quarterly, uno dei sostenitori dello Stato Islamico sarebbe il Primo Ministro turco, Tayyep Recep Erdogan,  che si è incontrato in varie occasioni con l’emissario dell’ISIS Yassin Al Qadi. Sempre secondo Pipes, la Turchia avrebbe pagato circa 800 milioni di dollari allo Stato Islamico per la fornitura dell’oro nero. Bisogna segnalare che la catena tv statunitense CNN è arrivata a trasmettere un reportage intitolato “Le rotte clandestine del contrabbando yihaidista” attraverso la Turchia. 

 

Nordamericani, turchi, arabi, europei. Tutti quelli che contavano sulla sconfitta di Bashar al Assad e sulla sparizione del regime baasista hanno appoggiato, o appoggiano, i gruppuscoli yihaidisti che combattono in Siria e in Iraq. 

 

Questo lo chiamiamo tirar pietre al proprio tetto” confessava recentemente un politologo russo, preoccupato per l’avanzata del radicalismo islamico in Caucaso: cioè in una possibile, anche se per ora ipotetica, altra regione del Califfato di Bagdad. 

 

 

(*) Analista politico internazionale, ex corrispondente di El Pais negli Stati Uniti, membro del Gruppo di Studi Mediterranei della Sorbona; da: alainet.org; 4.7.2014 . 

 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

 

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