Dietro il terrore poliziesco statunitense
di Victor Wallis (*)
Non dobbiamo mai dimenticare la lunga storia che sta dietro gli atti di terrore – commessi sia dalla polizia che dai vigilanti – quali il recente assassinio dell’adolescente nero Michael Brown (un giovane nero crivellato con 6 pallottole dalla polizia il 9 agosto 2014) alla periferia della città di St. Louis. Solo alla luce di questa storia potremo capire la profondità dei cambiamenti necessari per mettere fine a questi crimini.
Cosa indiscutibile: il fatto è stato creato completamente dalla polizia. Non si stava commettendo alcun crimine e non c’è stata nemmeno una provocazione. Due ragazzi camminavano insieme – “camminano mentre sono neri” – e uno di loro è morto.
La polizia non stava proteggendo nessuno. Stavano pattugliando il quartiere, come un esercito di occupazione; alla ricerca di qualsiasi opportunità/pretesto per far valere la loro micidiale autorità. Se il pretesto che hanno scelto inizialmente (stavano ostruendo il traffico, camminando in mezzo ad una strada periferica) è sembrato debole nel contesto del mortale finale, un'altra scusa è stata creata dopo i fatti: la categoria ad uso multiforme di “sospetto”, che può essere usata contro qualsiasi uomo con l’età e il colore della pelle adeguati.
Ma da quando essere un “sospetto” – se questo fosse stato il fatto – diventa un motivo per un’esecuzione immediata?
Tale comportamento poliziesco è comune negli Stati Uniti. Viene da una cultura più ampia, perfezionata nel corso di secoli insieme ad un’agenda di massacri dei popoli indigeni e di mantenimento della servitù sui corpi importati e cresciuti come fornitori di mano d’opera gratuita. La forza psicologica di questa cultura si rivitalizza costantemente nella misura in cui la portata della sua applicazione si espande.
L’addestramento militare definisce la configurazione ideologica all’interno della quale la formazione poliziesca si compie ed entrambi hanno come cornice generale la retorica della dominazione.
Il ruolo militare globale degli Stati Uniti si giustifica in termini di diritto arrogato, per il quale i leaders statunitensi affermano una presunta supremazia morale e, con essa, la prerogativa di definire quali interessi sono degni di protezione e quali vite non hanno valore – queste si trasformano allora in candidate all’annichilazione.
La polizia sviluppa questa pratica contro le popolazioni colonizzate nelle città degli Stati Uniti, che siano discendenti degli africani sequestrati o, con effetti appena differenti, i più recenti fuggiti dai regimi di povertà e di decomposizione sociale prodotta dal “libero commercio”, al sud della frontiera degli Stati Uniti.
Tutte e due le popolazioni, come i musulmani, vengono sottoposte a retate e ad arresti in base a cosa sembrano e a come si vestono, ma a livello nazionale gli estremi della mano armata vengono diretti contro gli afroamericani, che si differenziano su certi aspetti dagli altri gruppi etnici.
Nell’immediato, ad eccezione dei popoli indigeni (che sono meno urbanizzati e molto minori in numero), gli afroamericani soffrono dei maggiori tassi di disoccupazione e di povertà.
Più in profondo, tra le grandi popolazioni di origine non europea, quelli di discendenza africana hanno una storia collettiva negli USA che li rende particolarmente vulnerabili al tipo di attacchi che stiamo vedendo.
Cominciò con la schiavitù. Le istituzioni, le supposizioni e le pratiche associate alla schiavitù degli africani non sono mai state completamente cancellate. Come si sa bene nella sinistra afroamericana, l’emendamento costituzionale che pretendeva di abolire la schiavitù fece una “eccezione” per le persone inserite nel sistema penale. La segregazione imposta legalmente, sostenuta dal terrore dei linciaggi periodici, ha sostenuto direttamente questo regime quasi per un secolo negli Stati del Sud.
Il movimento popolare e radicale che dissolse quel regime legale negli anni 1960 generò spunti rivoluzionari, soprattutto nelle città del Nord, che avrebbero tradotto l’eguaglianza giuridica in eguaglianza reale.
Furono questi movimenti, in particolare il Partito delle Pantere Nere, a provocare il panico della classe dominante statunitense che generò una nuova combinazione di dispositivi, a livello nazionale, per imporre alla classe operaia afroamericana un livello di controllo sociale equivalente alle restrizioni imposte a tutta la popolazione nera del vecchio Sud.
Questo nuovo regime di controllo è dipeso da quattro misure relazionate tra loro: 1) la fine delle politiche di welfare che aiutavano a reintegrare le persone nel mercato del lavoro; 2) l’introduzione di droghe illegali e di un livello elevato di vigilanza poliziesca nelle comunità nere; 3) la negazione del diritto di voto della classe lavoratrice afroamericana, vuoi per leggi che proibiscono di votare gli ex condannati, che per leggi che obbligano i votanti ad avere targhette di identificazione, o per il sabotaggio diretto del processo di voto; e 4) le leggi sulla sentenza obbligatoria (specialmente per reati di droga), l’eliminazione graduale della libertà condizionata e altre misure che conducono ad una proliferazione della percentuale di persone nere in prigione.
Tutti questi sviluppi concentrati negli ultimi tre decenni sono completamente connessi all’auge del neoliberismo – la libera circolazione di capitale globale e la distruzione dei servizi sociali – e alla illimitata proiezione del potere militare statunitense. La diseguaglianza sociale estrema e le privazioni materiali di massa si sono trasformate nella “nuova norma” e il discorso politico richiesto per sostenere e razionalizzare questa condizione è diventato molto più aggressivo.
Le politiche draconiane che vengono perseguite possono solo elevare i livelli di sfiducia mutua.
Mentre i poveri soffrono, i ricchi e i loro difensori tremano davanti alla prospettiva che il loro vile regime provochi una resistenza invincibile. Dalla vigilanza onnipresente alla dottrina delle “guerre preventive”, la mentalità dei dirigenti dello Stato è puntata a bloccare qualsiasi potenziale sfida prima che possa trasformarsi in realtà. Naturalmente, nel farlo, aggravano solo il risentimento accumulato. Ma il calcolo è che i pochi privilegiati, sulla base dei loro gradi mezzi tecnologici e logistici, possano schiacciare permanentemente le scomode aspirazioni della maggioranza.
La militarizzazione delle forze poliziesche statunitensi deriva inesorabilmente dalla logica dell’ordine che sono incaricate di difendere. E questo ordine non sarà rivisto, salvo che ci sia un cambiamento generale nelle priorità nazionali – lasciando indietro gli interessi del capitale e favorendo quelli della maggioranza, quelli che non guadagnano nulla con l’imposizione di gerarchie “razziali”.
(*) Giornalista statunitense, redattore capo della rivista Socialism and Democracy.
da: surysur.net; 20.8.2014
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa proletaria “G.Tagarelli”
via Magenta 88, Sesto S. Giovanni)
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