Israele: uno stato di rapina a mano armata
di Amira Hass (Haaretz) (*) Giornalista israeliana, vive a Ramallah e scrive sul quotidiano Haaretz.
La cosa sorprendete è che alcune persone ancora si sorprendano ascoltando di un altro successo della rapina a mano armata, conosciuta in termini burocratici come dichiarare una estensione di terra proprietà dello Stato. Sembrano essere sorprese del fatto che il Ministero della Difesa è diventato una priorità quando si tratta dei bilanci dello Stato, e che l’educazione ha patito il più grande taglio del governo.
Il nostro regime ha tre fondamenti: strappare la terra ed espellere quanti ci vivono; alimentare l’apparato dei guardaspalle – l’esercito, nell’argot locale – che assicura il saccheggio; e schiacciare il welfare mentre distrugge il principio della responsabilità civica mutua.
Se non avesse questi tre principi fondamentali, non sarebbe il nostro regime. Ma trattare questi dettagli, lo stupore del momento, la sorpresa, fanno sì che dimentichiamo la realtà. Ci fa dimenticare che si tratta del regime.
Se tre adolescenti israeliani di Gush Etzion non fossero stati sequestrati e assassinati in giugno, i nostri ladroni armati avrebbero trovato una scusa diversa per costruire un altro grande insediamento e, di conseguenza, creare più enclaves, gabbie a cielo aperto, (altro principio fondamentale secondario secondo del nostro regime) per i membri di un’altra nazione.
Se la guerra a Gaza non avesse avuto luogo, i guardaspalle avrebbero utilizzato altre forme per persuadere il governo che i loro forzieri dovevano essere riempiti. Anche senza la necessità di riempire i forzieri della sicurezza dopo una operazione militare, l’attuale governo israeliano avrebbe di nuovo smesso di prestare attenzione ai principi di uguaglianza socioeconomica.
In un mondo ideale e razionale, tutti quelli che sono stati danneggiati dal regime unirebbero i loro sforzi per esigere cambiamenti, insieme. In un mondo ancor più ideale e razionale, essi produrrebbero questo cambiamento. Ma nel mondo reale il peso di produrre un cambiamento ricade sui palestinesi.
Intanto bisogna dimenticarsi dei cittadini ebrei di Israele (ad eccezione di un pugno di attivisti di sinistra). Noi ebrei ricaviamo benefici dal regime, anche quando incrementa la ricchezza per la religione di pochi, mentre la maggioranza lotta goffamente per mantenersi a galla. Lo stato sociale solo per gli ebrei vivacchia e scodinzola in quello che i coloni chiamano Giudea e Samaria, o Yosh, le loro sigle in ebreo.
Yosh incarna la possibilità di realizzare il sogno di un miglioramento socioeconomico personale per tutti gli ebrei in Israele, che soffrono collettivamente delle politiche del benessere anti-sociali.
Fate i bagli e trasferitevi a pochi chilometri dagli insediamenti e dalle piccole comunità della Galilea, e la tendenza al taglio dei servizi sociali ritorna.
L’idea che c’è una forma veloce di realizzare il legittimo desiderio di migliorare il proprio livello di vita diluisce il potere collettivo degli ebrei di protestare.
E’ proprio così che si è creata un’alleanza tra Yesh Atid, che ha ottenuto la sua forza da proteste che cominciarono per il prezzo del formaggio Cottage (formaggio fresco, n.d.t.), e Habayit Hayehudi, che commercializza il sogno di case in Cisgiordania (n.d.t.: il primo è risultato il 2° partito israeliano nelle ultime votazioni; il secondo è un partito sionista religioso).
A questo si aggiunge il terzo principio fondamentale e vediamo come tutto si versa insieme al cemento armato: i guardaspalle di oggi sono i futuri dirigenti di società internazionali, fabbricanti ed esportatori di armi, istruttori degli eserciti dei despoti multimilionari.
La missione collettiva temporale di proteggere il bottino della rapina (sicurezza, nell’argot locale) assicura la prosperità di tutti i membri di questa influente categoria. Inoltre il desiderio di unirsi ad essa, insieme alla possibilità di farlo, neutralizza il danno causato dalle politiche di welfare antisociali del nostro regime.
I palestinesi sono l’unico gruppo nel paese (dal mare al fiume) che si vede danneggiato dai tre principi fondamentali del regime e che sta cercando di lottare per un cambiamento (e anche per gli interessi a lungo periodo degli ebrei).
Normalmente spezziamo questa lotta nei dettagli, che poi tanto condanniamo e sopprimiamo: lancio di pietre, terrorismo, manifestazioni, disturbi, incitazione, missili Qassam, tunnels di attacco, l’ONU, missili, rivolta civile, infiltrati, BDS (sigla della campagna di boicottaggio dei prodotti israeliani, n.d.t.), le costruzioni senza permesso.
Per la categoria della sicurezza è tutto ugualmente pericoloso, e con buona ragione.
La discussione sulle forme – l’efficacia, il valore e la morale delle misure adottate nella lotta – non deve farci perdere di vista il panorama generale.
I palestinesi stanno difendendo se stessi dalla rapina statale a mano armata.
da: rebelion.org; 4.9.2014
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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