Aspetti “collaterali” della tragedia di Gaza
di Daniela Trollio (*)
Ahed Atef Bakr, 10 anni; Zakaria Ahed Bakr, 10 anni; Mohamed Ramez Bakr, 11 anni; Ismael Mohamed Bakr, 9 anni.
Sono i 4 bambini palestinesi, figli di pescatori, tutti cugini, uccisi il 16 luglio scorso - mentre giocavano a pallone su una spiaggia di Gaza - da un proiettile partito da una nave dell’ “esercito più etico del mondo”, come si autodefiniscono le Forze di Difesa di Israele.
Non è stato facile trovare i loro nomi, una scelta di rispetto per le migliaia di vittime che – per noi – senza nome rimarranno.
Quando si schianta un aereo civile, o deraglia con conseguenze funeste un treno passeggeri, state sicuri che nel giro di due giorni saremo informati dei nomi delle vittime, vedremo in prima pagina il dolore dei loro familiari, sapremo tutto delle loro vite.
Questo non succede per le vittime palestinesi (o afgane, o irachene, o libiche, o siriane, ecc. ecc. l’elenco è troppo lungo). Nonostante il loro terrificante numero, non sapremo niente di loro, non vedremo - anche nell’era di internet - i loro volti, non conosceremo quali erano i loro sogni, né come vivranno senza di loro le famiglie.
Non faremo cronaca di quanto sta succedendo nella Striscia di Gaza, non lo riteniamo necessario perché descrivere l’orrore del nuovo capitolo del genocidio perpetrato dallo Stato di Israele ormai stanca il cuore e la lingua, a nostra eterna vergogna perché non solo tutti i popoli del mondo sono fratelli ed hanno un solo nemico, l’imperialismo, ma anche perché lo Stato imperialista italiano ha sostenuto, e partecipato direttamente e indirettamente, alla mattanza e alla rapina senza che noi sapessimo – o volessimo, in alcuni casi - opporci.
Vorremmo analizzare invece alcuni aspetti di cui meno si discute, per “restare umani”.
Le vittime e il “popolo eletto”
Per riuscire ad uccidere in questo modo e in questa sproporzione, tutti i manuali militari lo insegnano, bisogna disumanizzare il presunto nemico e far sì che milioni di persone “normali” se ne rendano complici, o lascino fare, nell’indifferenza.
Il colonialismo e l’imperialismo ce l’hanno insegnato, ma il testo principale lo scrissero i nazisti tedeschi, dividendo il mondo tra esseri umani superiori – loro, gli ariani – e gli Untermensch, i sub-umani che potevano essere soggiogati, sfruttati ed uccisi come animali.
Non c’è poi molta differenza tra il “popolo ariano” del Reich millenario e il “popolo eletto” di Israele che, in nome del suo “destino manifesto” sta compiendo un lento genocidio in Palestina. Il primo invocava il “diritto alla difesa” nell’invadere la Polonia più di 70 anni fa, il secondo lo fa dal 1948 sterminando in mille modi il popolo palestinese, per appropriarsi delle sue terre e delle sue risorse.
Certo, davanti a coloro che si proclamano eredi dei milioni di ebrei sterminati, un giudizio di questo genere può sembrare “eccessivo”. Eppure lo esprimevano già proprio alcuni ebrei.
Il 2 dicembre 1948, in occasione di una visita a New York di Menachem Begin (che sarà Primo Ministro di Israele dal 1977 al 1983), una trentina di ebrei – tra cui Hanna Arendt e Albert Einstein – indirizzarono al New York Times una lettera riguardo a questa visita.
Ecco alcuni passaggi della loro lettera:
“Tra i fenomeni più inquietanti della nostra epoca vi è, nello Stato appena creato di Israele, l’apparizione del ‘Partito della Libertà’ (Tnuat Hajeirut) un partito politico strettamente apparentato nella sua organizzazione, nei suoi metodi, nella sua filosofia politica e nel suo richiamo sociale ai partiti nazisti e fascisti. Questo partito è stato creato da membri e sostenitori del precedente Irgun Zvai, un’organizzazione terrorista di estrema destra e nazionalista in Palestina. (…) Prima che vengano commessi danni irreparabili con contributi finanziari, con manifestazioni pubbliche di appoggio a Begin e prima di dare l’impressione in Palestina che gran parte degli Stati Uniti sostiene elementi fascisti in Israele, il pubblico statunitense deve essere informato sul passato e sugli obiettivi di M. Begin e del suo movimento. (…) E’ nelle sue azioni che il partito terrorista dimostra il suo vero carattere. Dalle sue azioni possiamo giudicare quello che potrebbe avvenire in futuro. Un esempio shoccante è stato il suo comportamento nel villaggio arabo di Deir Yassin. Questo villaggio, lontano dalle strade principali e attorniato da territori ebrei, non aveva preso parte alla guerra e si era anche battuto contro le bande arabe che volevano usarlo come base. Il 9 aprile, secondo il New York Times, bande di terroristi hanno attaccato questo pacifico villaggio, che non era un obiettivo militare dei combattimenti, hanno ucciso la maggioranza dei suoi abitanti – 40 uomini, donne e bambini – e ne hanno lasciato in vita alcuni per obbligarli a sfilare come prigionieri nelle strade di Gerusalemme. (…) L’incidente di Deir Yassin illustra il carattere e le azioni del Partito della Libertà. Nel seno della comunità ebrea essi hanno predicato una mescolanza di ultra-nazionalismo, di misticismo religioso e di superiorità razziale. (…) Come altri partiti fascisti, essi hanno utilizzato – per minare gli scioperi - e essi stessi l’hanno incoraggiata, la distruzione dei sindacati liberi. Nella loro Convenzione, hanno proposto sindacati corporativi secondo i modello fascista italiano. (…) Coloro che hanno qui sotto firmato adottano questo mezzo per presentare pubblicamente alcuni fatti schiaccianti rispetto a Begin e al suo partito e per raccomandare a tutti coloro che sono interessati di non appoggiare questa ultima manifestazione del fascismo.”.
Una terribile e amarissima analisi di quanto, puntualmente, sarebbe successo nel futuro.
Quanto valgono i morti?
Mentre scriviamo queste righe è da poco trascorso l’ennesimo anniversario della strage fascista di piazzale Loreto a Milano. 15 partigiani uccisi per un soldato tedesco lievemente ferito.
Lo stato genocida di Israele pretende molto di più: circa 1.800 morti, solo nell’ultima incursione, contro 3 civili e 30 soldati israeliani.
Ad ogni nuova tappa dell’aggressione israeliana – dopotutto sono passati solo quattro anni dall’operazione “Piombo Fuso” (1.400 morti circa) ma, si sa, purtroppo la memoria è corta – tutti i mezzi di informazione vanno cercando la giustificazione della “reazione” (non è mai un’azione, sempre una reazione) di Israele. Di solito si tratta dei razzi Qassam di Hamas che, di fronte all’azione dell’esercito più potente del Medio Oriente e forse più tecnologicamente avanzato del mondo, non è azzardato definire petardi. Ma politici, giornalisti, personalità varie dimenticano sempre di ricordare che la guerra di Israele ai palestinesi è cominciata, appunto, nel 1948. Basterebbe soltanto guardare la carta geopolitica della Palestina di quell’anno e quella di oggi per capire tutto.
Se succede ad altre latitudini, questo si chiama “pulizia etnica” ((vera o presunta) e viene immediatamente punita, come i popoli della ex Yugoslavia hanno sperimentato sulla loro pelle.
Così come dimenticano molto opportunamente di ricordare che i palestinesi non hanno uno Stato, non hanno un esercito e affrontano invece uno Stato che possiede più di 100 testate atomiche, che nessun organismo internazionale ha mai messo in discussione o chiesto di ispezionare, oltre ad un arsenale tuttora sconosciuto di armi chimiche. Saddam Hussein e il colonnello Gheddafi sono stati spazzati via, e i loro paesi gettati in un caos per noi difficile da immaginare, per molto meno.
Piccola parentesi sui mezzi di “informazione”: chi è così ignorante – nel senso etimologico della parola – dei fatti, dovrebbe tornare a scuola a studiare invece che copiare le veline e chiamarsi giornalista. I giornalisti che i fatti li conoscono, come l’israeliano Gideon Levy, una delle poche voci critiche di Israele, sono costretti a girare con la guardia del corpo nel loro stesso paese.
Le famiglie dei reduci delle guerre fasciste che non si ripresentavano venivano private delle tessere annonarie e perdevano il posto di lavoro. I partigiani antifascisti catturati in azione venivano impiccati con al collo il cartello “Banditen”.
La deputata israeliana Ayala Shaked può tranquillamente proporre quanto segue, senza che nessuno si scandalizzi: “Devono morire e le loro case devono essere demolite. Loro sono nostri nemici e le nostre mani dovrebbero essere macchiate del loro sangue. Questo si applica anche alle madri dei terroristi morti. Dietro ogni terrorista ci sono decine di uomini e donne senza i quali essi non potrebbero compiere attentati. Ora tutti sono combattenti nemici e il loro sangue cadrà sulle nostre teste. Anche le madri dei martiri, che li mandano all’inferno con fiori e baci. Non sarebbe altro che giusto che seguissero i loro passi”.
Sterminio “differito”
Gaza è un territorio di poco più di 350 km. quadrati, dove vivono 1.800.000 palestinesi, accerchiati militarmente per terra, mare e cielo. E’ un grande campo di concentramento a cielo aperto e la zona più densamente popolata al mondo (secondo l’ONU la vita vi diventerà impossibile nel 2020). Quando i mezzi di dis-informazione di massa ci dicono che Hamas usa scudi umani, dovrebbero spiegarci dove possono fuggire i civili palestinesi: ricordate le donne palestinesi che partoriscono ai posti di blocco perché i soldati israeliani non permettono loro di raggiungere gli ospedali? (anche questa informazione non ci viene più data, si vede che attualmente non è politicamente opportuna).
A Gaza entrano solo determinate quantità di alimenti, accuratamente calcolate e riviste periodicamente in qualche ufficio ministeriale israeliano, perché i palestinesi possano solo sopravvivere. Il che a noi ricorda le istruzioni che dava il generale fascista Roatta a chi gestiva i campi di sterminio della popolazione slava nella Venezia Giulia, in Slovenia e Dalmazia: invece di sprecare pallottole si poteva raggiungere lo stesso risultato diminuendo drasticamente il cibo.
A Gaza – e in tutta la Palestina occupata - si pratica il “castigo collettivo”, altra cosa vietatissima dalle mai rispettate leggi internazionali, a cui però tutti si appellano quando gli fa comodo: combattenti, resistenti o no, tutti i palestinesi devono pagare:
Pazienza se ci va di mezzo anche qualche straniero, non doveva trovarsi là. Nessun governo ha chiesto spiegazioni a quello israeliano né per la statunitense Rachel Corrie, seppellita viva da un buldozer israeliano mentre tentava di fermare la distruzione di case palestinesi, né per il giornalista italiano Simone Camilli. Ben diversa è l’azione dei governi italiani, prima quello Berlusconi e ora quello Renzi, nei confronti dei “2 marò” colpevoli – non da soli, certo – della morte di due poverissimi, in tutti i sensi, pescatori indiani. E pazienza se noi “italiani” stiamo aspettando dal 1997 che qualcuno dei nostri governanti esiga la consegna degli assassini anticastristi – Luis Posada Carriles in primis - che uccisero Fabio Di Celmo. Di nuovo vittime di serie A e serie B.
Quindi, oltre alle persone, gli obiettivi privilegiati sono le infrastrutture, faticosamente ricostruite in questi 70 anni dopo ogni attacco: ospedali, scuole (anche se dell’ONU), acquedotti, sistemi di potabilizzazione dell’acqua, sistemi fognari, infrastrutture di ogni genere; ecco perché l’ONU stima che a Gaza non ci si potrà più vivere nel 2020.
Riassumendo, vi pare proprio che chiamare Israele “stato nazista” sia eccessivo? A noi no, a noi sembra semplicemente di chiamare le cose con il loro nome.
E ci sembra anche ora di portare la protesta - che è poi l’antifascismo e l’antimperialismo oggi - fuori dalla ristretta cerchia dei compagni e dei movimenti, che comunque si sono mossi con le loro scarse forze. Perché le forze non siano più scarse, e possano incidere sulla realtà, è necessario che questa battaglia la combattano anche, e prima di tutto, i lavoratori, i giovani, tutte quelle categorie che chiamiamo masse.
Cominciamo quindi a sottoscrivere e propagandare l’appello “In Difesa della Palestina” che trovate in altra parte della pagina. Per sostenere la resistenza, mai domata, del popolo palestinese, che è anche la nostra.
(*) Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni
Da nuova unità, settembre 2014
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