ISIS-USA

La fabbrica degli orchi

di Daniela Trollio (*)

 

La figura dell’Orco è nota, fin dagli albori dell’umanità, a migliaia di generazioni di piccoli umani, perché la paura è un formidabile strumento di controllo.

Nel corso dei millenni l’orco ha assunto nomi diversi, ma la sua funzione non è mai cambiata ed è giunta fino ai giorni nostri, ma non più per obbligare i bimbi ad obbedire.

 

Il nome dell’ultimo orco è ISIS,la sigla dello Stato Islamico. Come ogni orco che si rispetti l’ISIS è forte, invincibile, crudele e senza pietà, “quasi” al di fuori di ogni umana logica.

Ciò che più colpisce l’opinione pubblica è proprio la crudeltà, che utilizza armi che credevamo fossero ormai retaggio di tempi più bui: il coltello per sgozzare, la spada per decapitare, ecc. ecc.

Non che l’attuale orco si limiti a questo, visto che in realtà l’ISIS è quanto di più moderno si possa avere.

Nei pochi mesi da quando è uscito allo scoperto, conquistando un terzo del’Iraq e dintorni, l’ISIS ha dimostrato di essere un’organizzazione militare efficientissima, dotata di armi sofisticate leggere e pesanti, di truppe addestrate in grado – nonostante si presenti come un’organizzazione guerrigliera – di affrontare in campo aperto eserciti tradizionali, oltre ad una mente politica perfettamente al corrente di dove si trovi il petrolio e di quale potere derivi dall’averlo…. altro che religione!


 

L’ISIS non è precisamente uscita dalle sabbie dei deserti d’Arabia. Se questa organizzazione è sorta in questo modo, a meno di credere alle favole bisogna riconoscere che dietro c’è un fiume di denaro che ha permesso organizzazione, armamento, logistica. E questo non si improvvisa da un giorno all’altro. Precedentemente l’organizzazione si era fatta le ossa in Siria utilizzando armi chimiche contro i civili, sgozzando e strappando il cuore ai soldati siriani: ma allora i suoi membri venivano chiamati “ribelli” ed erano appoggiati da tutte le democratiche potenze occidentali socie della NATO contro il “perfido” Bashar al Assad. La manovra non è riuscita, la Siria ha resistito, ed ecco che sorge l’ISIS, da anni finanziato e addestrato, oltre che rifornito di armi, da quei campioni di democrazia dell’Arabia Saudita, del Qatar – paesi dove si pratica la lapidazione e il taglio delle mani - della Turchia, sotto l’occhio benevolo degli USA e di Israele….come ben sanno gli analisti e la stampa internazionale, tranne forse quella italiana che non brilla mai né per intelligenza né per professionalità (dopo tutto fare il giornalista dovrebbe essere qualcosa di più che ricopiare veline).

Particolare interessante: a differenza di quanto accade in Ucraina, dove a quanto pare la NATO conosce anche il numero di matricola di ogni carro armato proveniente, è ovvio, dalla Russia, nessun governo della “coalizione” ha mai spiegato da dove vengono l’ISIS, le sue armi, i suoi finanziamenti.

 

Paese che vai, orco che trovi

La fabbrica degli orchi, comunque, non brilla per originalità, pur essendo una multinazionale. Facciamo a ritroso una lista degli ultimi prodotti immessi sul mercato.

I “democratici” ucraini con nostalgie naziste, che bruciano vivi i civili inermi; i “ribelli libici”, che hanno precipitato il paese in un inferno dantesco; Al Qaeda con tutte le sue ramificazioni; i muyahidin in Afganistan chiamati successivamente, quando non erano più utili agli USA, talebani, ed esecrati per le lapidazioni e via dicendo.

 

In questo, purtroppo, non c’è niente di nuovo. Anche in passato la fabbrica ha sfornato gli stessi prodotti:  dalla Triple A argentina che marchiava i morti ammazzati e lasciati nelle strade alla vista di tutti; alla “contra” nicaraguense che impiccava i maestri sandinisti; agli “assassini della motosega” del Guatemala, che sventravano le donne incinte dei villaggi indigeni e facevano letteralmente a pezzi gli uomini ancora vivi.

Non si trattava certo di integralisti islamici, ma di criminali profondamente “cristiani”, i cui capi non vedevano niente di strano nell’andare a messa la domenica e far contemporaneamente uccidere a mitragliate davanti agli altari i preti che protestavano per questi orrori.

Proprio in America Latina, per non andare troppo lontano, è stato sperimentato lo schema.

 

Il nemico là era il “comunismo”, un virus partito da Cuba che poteva infettare tutto il continente e far crollare i “valori” della civiltà occidentale. Il paradosso è che - davanti al pericolo per i “valori occidentali” (si trattava in realtà delle prime mosse del neoliberismo dei Chicago Boys, la sperimentazione sul campo delle privatizzazione e della distruzione di ogni diritto dei popoli e dei lavoratori che oggi sperimentiamo qui in Europa)  - non valeva più alcun valore: efferatezza su efferatezza, genocidio compreso.

 

Sperimentato con successo (in realtà temporaneo) il prodotto, la fabbrica si è valsa di esperti come John Negroponte, tanto per fare un nome. Egli si era fatto una notevole esperienza già in Vietnam come responsabile delle operazioni clandestine della CIA, poi in Cile consigliando i generali golpisti e in Honduras, dove presiedette alla creazione della “contra” nicaraguense. E dato che è un peccato sprecare l’esperienza, George W. Bush lo nominò nel 2004 primo ambasciatore dopo la caduta di Saddam Hussein. A cosa è ormai ridotto l’Iraq è sotto gli occhi di tutti.

 

Più tardi il filo conduttore è diventato l’oro nero, il petrolio, e il dominio geopolitico delle aree che lo contengono.

A fine anni ’90, nello strategico Afganistan sorge la guerriglia islamica dei talebani che, in tre mesi, conquistano 12 delle 34 provincie  del paese. Un anno dopo hanno il controllo di tutto il paese. Anche loro non spuntano magicamente dalle brulle montagne del paese. Negli anni ’70-‘80, in piena guerra fredda, si chiamavano “mujahidin del popolo”, frutto della collaborazione tra Pakistan, Arabia Saudita e USA, che avevano investito centinaia di milioni (nel 1987 la CIA stanziava per loro circa 600 milioni di dollari) nell’Operazione Ciclone che avrebbe portato al “ristabilimento della democrazia”, leggi: la ritirata delle forze russe.

Poi sono venuti l’Iraq, la Yugoslavia, la Nigeria, la Libia, ecc. : sempre lo stesso schema.

 

Ma l’ISIS non è l’ultima freccia nella faretra.

Mentre le forze della “coalizione”, USA in testa, stanno dando il via alla campagna contro lo Stato Islamico (e per ora a farne le spese, come sempre, sono in maggior parte i civili), fonti di intelligence statunitensi per bocca del loro capo James R. Clapper e  giornali come The New York Times parlano di una nuova organizzazione, chiamata Jorasan o Khorasan, altro gruppo jihaidista attivo in Siria – quella Siria in cui l’ennesima “rivoluzione arancione” dei “ribelli” è miseramente abortita, quel paese in cui gli USA e la NATO non sono riusciti, per ora, a intervenire direttamente – che avrebbe lo scopo di colpire direttamente obiettivi occidentali, grazie anche alla forte presenza di militanti che dall’Occidente provengono (e l’opinione pubblica è già stata preparata con molti articoli dei mesi scorsi sul numero di giovani occidentali entrati file delle guerriglie islamiche).

 

Siamo quindi avvisati: se questi tragici avvenimenti non ci toccano più di tanto, se cominciamo a pensare che in tempi di crisi è assurdo spendere tanto per portare la guerra  - pardon, la democrazia – in paesi così lontani, se riteniamo che i nostri problemi siano altri, attenzione, domani il terrorismo potremmo trovarcelo sulla soglia di casa. Quindi zitti, smettiamo di fare i conti in tasca ai nostri governi e di protestare perché ci strappano tutti i diritti conquistati, lo fanno nel nostro interesse, per difenderci dal cattivo di turno.

 

Morale della favola

La paura, il terrore, fanno appello agli istinti, escludendo la ragione. Quella ragione che deve farci chiedere come definire le guerre –perché di questo si tratta, altro che interventi umanitari – dell’imperialismo, compreso quello italiano, visto che noi non solo prestiamo i nostro territorio alle basi NATO ma vi partecipiamo direttamente.

 

Secondo le Nazioni Unite “ogni atto costituisce terrorismo nel caso lo stesso sia finalizzato alla morte oppure a seri danni verso civili o non combattenti, con l’obbiettivo di intimidire una popolazione oppure costringere un governo o un’organizzazione internazionale a compiere oppure ad astenersi dal compiere determinate azioni.” Resta aperto il dibattito – in quell’organizzazione - se si possa definire tale solo quello di individui o anche quello degli Stati. I paesi capitalisti occidentali propendono per l’applicazione di questa definizione agli individui, i paesi del Terzo Mondo (avendola provata sulla loro pelle) anche agli Stati.

 

Se sgozzare o decapitare sono atti barbari e orribili, quanto barbaro e orribile è uccidere con le bombe, i droni, l’uranio impoverito, il fosforo, con armi proibite dalle convenzioni internazionali intere popolazioni che hanno la sola colpa di vivere in territori dove ci sono materie prime che fanno gola alle multinazionali o che rappresentano geopoliticamente il modo di appropriarsene? Il fatto che questi atti vengano commessi da uno Stato, o da “coalizioni” varie di Stati ne cambia forse a natura?

 

Per chi vede i servizi informativi alla televisione, seduto tranquillamente a casa sua, questi sono modi “puliti” per uccidere – puliti per chi lo fa schiacciando un bottone, ben lontano dalla polvere e dal sangue. Per chi deve ogni giorno scavare nelle macerie per recuperare i corpi devastati dei propri cari; per chi non ha più un tetto o un futuro; per chi non sa se i suoi figli si sveglieranno domani tutti interi non è tanto “pulito”.

 

E’ ammissibile e sopportabile tutto questo perché l’1 per cento della popolazione del pianeta diventi ancora più ricco sulla pelle del 99 per cento?

Socialismo o barbarie” scriveva Rosa Luxemburg. Nella barbarie siamo già sprofondati, e la storia ci insegna che non c’è un fondo ad essa.

Cominciamo a organizzarci per dire “basta”, perché non vogliamo più essere – né noi né i nostri figli, perché è questo che rischiamo di lasciare loro in eredità – semplice carne da macello.

 

(Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

da nuova unità.-

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