Fine d’anno
di David Brooks (*)
A due anni da che un giovane ha ucciso 20 bambini e sei educatori nella scuola primaria di Sandy Hook, in Connecticut, con un’arma comprata legalmente, risulta che la maggioranza degli statunitensi (il 52 per cento) ritiene che sia più importante proteggere il diritto dei cittadini a possedere armi a fronte del 46 per cento che crede invece sia più importante imporre maggiori controlli sulle armi, secondo un’inchiesta del Centro di Ricerche Pew.
D’altro canto, poco dopo che il Senato ha reso pubblico un rapporto che documenta l’uso della tortura da parte della CIA, un’inchiesta di CBS News rileva che il 57 per cento della popolazione crede che questi metodi brutali di interrogatorio siano a volte efficaci per impedire attentati terroristici.
Che fare davanti a tutto ciò? Uno non sa se acquistare un’arma da fuoco (compito molto facile e legale) e spararsi, o sottomettersi ad un annegamento, magari non simulato, se sta in un paese che conclude in questo modo l’anno.
Forse una spiegazione del fatto che si considera accettabile la barbarie è che la paura impera all’interno del paese più potente del mondo. Qui tutto è considerato minaccia, e con questa paura si giustificano guerre, spionaggio di massa, persecuzione di immigrati, di giornalisti, di dissidenti e di “filtratori” (Chelsea Manning, Edward Snowden, tra gli altri), l’incarcerazione di massa della popolazione e – sì – persino la tortura.
E’ con questa paura, nutrita dalla cupola politica soprattutto dopo l’11 Settembre, che è stato costruito l’apparato di intelligence, vigilanza e operazioni clandestine più grande della storia del paese.
Con esso si sono moltiplicati abusi e violazioni delle leggi nazionali e internazionali, dei diritti umani e delle libertà civili qui e nel mondo.
Ma l’impunità prevale. Ad esempio nonostante le atroci rivelazioni del rapporto del Comitato di Intelligence del Senato sull’uso della tortura da parte della CIA, il governo di Barak Obama ha messo in chiaro che non ha intenzione di portare in giudizio alcuno dei responsabili di tutto ciò, che agirono nel governo di George W.Bush.
All’interno del paese la promozione di questa cultura del paese nutre anche il discorso della difesa degli abusi polizieschi e quello dei promotori del diritto di ogni cittadino a possedere e portare armi (per difendersi da cotanti minacce).
Intanto Mark Bittman, famoso gastronomo del New York Times e grande critico sociale, riassume così la realtà del paese: “La polizia uccide civili disarmati. Atroce disuguaglianza di entrate. Infrastruttura marcia e un’insicura ‘rete di sicurezza’. Incapacità di rispondere a minacce al clima, alla salute pubblica e all’ambiente. Un sistema di alimentazione che causa malattie. Un governo occasionalmente disfunzionale e persino crudele. Un segmento significativo della popolazione esclusa dal lavoro e soggetta a incarcerazione quasi arbitraria. Avete indovinato: sono gli Stati Uniti …”.
Ma, allo stesso tempo, Bittman segnala che, davanti a tutto questo, è nata una rabbia collettiva che ora si manifesta in tutto il paese.
Il fatto è che non si può ricordare l’anno che finisce senza le grida di “adesso basta!”, senza gli sforzi che trasformano la vita di milioni, senza la resistenza alle politiche neoliberiste applicate, e le nuove espressioni che hanno sorpreso i guardiani del (dis)ordine.
Un movimento nuovo, composto da varie correnti e che affronta diversi temi, comincia a sorgere in questo paese. Le sue espressioni più visibili sono state le incessanti mobilitazioni in tutto il paese contro la violenza istituzionale e la sua impunità (soprattutto la brutalità poliziesca diretta in particolare contro la comunità afro-statunitense; in media quasi due uomini neri disarmati sono morti per mano di poliziotti ogni settimana). Questa ondata di mobilitazione è notevole per il suo carattere multirazziale, multigenerazionale, per l’ampia partecipazione di diversi settori sociali.
Lotte prima isolate si stanno riconoscendo tra loro. Nelle recenti marce e azioni di protesta partecipano coloro che hanno promosso campagne nazionali tra i lavoratori a salario minimo delle grandi catena di fast food come i Walmart per un salario dignitoso, parte di un movimento per elevare il salario minimo nazionale. Insieme a questi ci sono i leaders delle associazioni di immigranti e i loro alleati, veterani del movimento per i diritti civili degli anni ’60 con i veterani di lotte più recenti, come Occupy Wall Street, e anche espressioni di solidarietà con altre lotte contro la violenza istituzionale e l’impunità, come quella che è nata intorno ai ‘normalisti’ di Ayotzinapa.
Le notizie da ricordare dell’anno comprendono anche i ‘sognatori’ e altri difensori dei diritti basici degli immigranti, quelli che hanno fatto sì che ci siano
stati cambiamenti nella politica nazionale; i focolai di resistenza in luoghi come la Carolina del Nord, dove si è sviluppato un movimento ‘morale’ che chiede giustizia economica, sociale e
politica per i settori più vulnerabili e marginalizzati, le azioni di resistenza contro riforme educative che vogliono lucrare sull’educazione pubblica in questo paese, se non annullarla; il
movimento sul cambiamento climatico che ha portato centinaia di migliaia di persone nelle strade della capitale e in altre parti del paese.
Ci sono anche le lotte di organizzazioni sociali come la Coalizione dei lavoratori di Immokalee che stanno trasformando, con campagne nazionali, migliaia di vite in un settore agrario. Ci sono iniziative persistenti, come quella dell’organizzazione School of the American Watch, che non si stanca di chiedere la fine dell’esportazione statunitense delle politiche e delle tecniche di repressione in America Latina. Allo stesso modo gli avvocati del Centro per i Diritti Costituzionali osano perseguire i più alti funzionari per violazioni dei diritti umani e delle leggi internazionali.
Non c’è bisogno di parlare del coraggio di
coloro che denunciano e dei giornalisti che osano rivelare al pubblico le verità delle politiche clandestine utilizzate in suo nome.
Cioè, la fine dell’anno è piena di barbare notizie, ma anche di altre che contengono la promessa natalizia di una nuova luce per il 2015.
(*) Giornalista messicano, corrispondente del quotidiano La Jornada negli Stati Uniti
da: jornada.unam.mx; 29.12.2014
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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