Quello che nessuno, oggi, racconterà di Auschwitz
Di Miguel Ángel Rodríguez Arias (*)
Si compiono i settanta anni della liberazione del campo della morte di Auschwitz, con ogni probabilità il nome che evoca quanto più vicino l’essere umano sia stato al male assoluto in tutta la sua storia.
E già non è poco. Auschwitz, e gli altri più di 50 “campi della morte” disseminati per tutta l’Europa occupata, evocati all’unisono con questa sola menzione; e senza contare i quasi 1.000 campi di concentramento del Terzo Reich, i più di 1.150 ghetti e tutto il resto.
Dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, parlare di Auschwitz continua ad essere oggi troppo difficile, troppo insufficiente, troppo sconvolgente. Non c’è testo né parole sufficienti per spiegare quello che fu Auschwitz, e men che meno in un breve articolo … è vero.
Nonostante ciò, a me risulta assolutamente inaccettabile che, anche nel giorno in cui si ricorda il 70° Anniversario di Auschwitz e di tutto quello che là successe, ci si permetta di dimenticare che Auschwitz fu il più grande campo di lavoro forzato della Germania nazista.
E che Auschwitz fu anche “IG Auschwitz”, filiale della IG Farben, il grande
Cartello imprenditoriale del momento, formato dalle società BAYER, HOECHST e BASF.
E non dico il grande Cartello imprenditoriale “tedesco” perché questo non sarebbe vero, non – almeno – praticamente fino al dicembre 1941 e all’attacco a Pearl Harbor.
E non sarebbe vero perché, secondo lo stesso rapporto ufficiale della Sezione di Investigazione Finanziaria del Governo Militare di Occupazione - verso il 1940 - del totale delle 324.760 azioni che rappresentavano il capitale del cartello IG Farben, solo 35.616 erano in mano a persone residenti in Germania, mentre quasi il triplo di questa quantità , 86.671 azioni, erano in mano a investitori di nazionalità statunitense e circa cinque volte di più, 166.100 azioni, erano in mano a cittadini svizzeri.
Cioè più dell’80% del capitale della IG Farben era finanziato da Wall Street e dalla Svizzera rispetto al poco più di un 10% propriamente tedesco.
E fu questa, precisamente, una delle ragioni determinanti per escludere il perseguimento dei responsabili imprenditoriali della IG Farben (ben 24 alte cariche della compagnia) dai Processi principali di Norimberga: la difficoltà a lasciar fuori dall’inchiesta penale cittadini degli Stati Uniti, del Regno Unito e di altri paesi.
Perché se i leaders nazisti furono dei mostri e dei dementi, ovviamente, un giorno bisognerà però anche parlare dell’autentica cospirazione di Farben, Krupp e altre grandi società mondiali, presuntamente “tedesche”, che in nome di un “profitto” autoreferenziale e al di fuori di ogni buon senso e umanità, li lodarono e li finanziarono senza limiti con oltre 3 milioni di marchi dell’epoca “perché le elezioni del 1933 fossero le ultime elezioni della Repubblica di Weimar” (von Schnitzler dixit) (n.d.t.: il barone Georg von Schnitzler, membro del consiglio di amministrazione della IG Farben) e per poter fare in seguito “affari” soddisfacenti con il regime nazionalsocialista, approfittando della “opportunità di mercato” dell’invasione di quasi tutta l’Europa, così come di “installazioni di lavoro” come Auschwitz......
Perché esattamente come il procuratore Taylor avrebbe segnalato nel suo “indictment” durante i processi successivi a Norimberga: “IG marciò con la Wehrmacht, concepì, iniziò e preparò un piano dettagliato per impadronirsi, al riparo di essa, dell’industria chimica di Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Norvegia, Francia, Russia e di altri 18 paesi”.
E per questo non dovrebbe stupire che, dopo la sconfitta del nazismo, una delle Leggi del Consiglio di Controllo alleato fosse – precisamente la n. 9 del 20 settembre 1945 – specificamente destinata a dissolvere il cartello IG Farben e fosse fondata, secondo il suo preambolo, sulla necessità di “impedire che IG Farben potesse rappresentare alcuna minaccia futura per i suoi vicini o per la pace mondiale attraverso la Germania”.
E non è che non ci piacerebbe aspettarci, in un giorno come questo, un qualche tipo di comunicato o di pubblica richiesta di perdono da BAYER, HOECHTS o BASF per “IG Auschwitz”, società queste che, a differenza della loro matrice Farben, continuano invece ad esistere ancor oggi.
Ma certo considero che “IG Auschwitz” rappresenti un motivo molto reale di preoccupazione riguardo la necessità di rivedere i “limiti e i controlli” del potere corporativo nel mondo attuale, e l’attuale insufficienza degli strumenti del Diritto Penale internazionale davanti a tutto questo.
E che, in un giorno come quello di oggi, è davvero inaccettabile e rischioso per un futuro che nessuno desidera vedere ripetuto, che non si faccia neppure menzione della responsabilità fondamentale svolta da altri “attori” imprenditoriali nell’immenso crimine di Auschwitz.
(*) Avvocato spagnolo, esperto di Diritto Internazionale; è autore delle prime ricerche giuridiche sui “desaparecidos” del franchismo come “crimini contro l’umanità”. da: rebelion.org; 29.1.2015
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
mail: cip.mi@tiscali.it
sito web: http://ciptagarelli.jimdo.com
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Roberto Zanetti (sabato, 06 giugno 2015 13:54)
A completamento dell'articolo segnalo una interessante recensione del libro "L'IBM e l'Olocausto", di Edwin Black.
http://luposelvaticolibri.blogspot.it/2013/01/libm-e-lolocausto-di-edwin-black.html