Lunedì 13 aprile 2015 è morto a Montevideo, all’età di 74 anni, il grandissimo scrittore e militante Eduardo Galeano. Chiunque abbia voluto capire qualcosa dell’America Latina ha dovuto – e dovrà anche nel futuro – leggere il suo libro Le vene aperte dell’America Latina. Lo vogliamo ricordare con un articolo del politologo argentino Atilio Boròn e con un suo testo, scritto nel 2004.
Ci mancherà; pochi, pochissimi sono stati capaci di scrivere con altrettanto carattere di classe, ironia, semplicità e chiarezza.
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Galeano: originale e profondo.
di Atilio Boròn; da:atilioboron.com
Pensavo di analizzare a fondo alcuni temi della nota sul Vertice delle Americhe che ha pubblicato Pagina 12 (quotidiano argentino, n.d.t.). Ma, appena ritornato dalla Colombia – dove ho avuto l’onore alle diverse attività del Vertice Mondiale di Arte e Cultura per la Pace in Colombia – mi ha colpito la notizia della morte di Eduardo Galeano. E la verità è che l’unica cosa che mi è venuta voglia di fare è stato cercare i suoi libri nella mia libreria per sentirmi ancora una volta in sua compagnia provando piacere nella loro lettura.
Eduardo è stato non solo un critico incisivo e mordace del capitalismo e un uomo impegnato con la rivoluzione latinoamericana, ma anche un pensatore sia originale che profondo, il che non succede così spesso come si ritiene.
Più di una volta abbiamo chiacchierato sula tragedia di molti intellettuali che si fanno belli della loro originalità ma il cui pensiero si muove sulla superficie, nelle zone dell’apparenza. Sono originali sì, ma nella produzione di banalità, maestri nell’arte della prestidigitazione della parola. Compiono un’importante funzione conservatrice (a volte senza neanche saperlo) nel generare la rassegnazione politica e il conformismo, figli della confusione ideologica e dell’impossibilità di andare alla radice delle cose, come consigliava Marx.
Altri sono profondi, ma non originali. Le loro idee fondamentali si abbeverano in alcune delle più grandi teste della storia delle idee politiche e sociali. Il prezzo di questa profondità presa a prestito – e spesse senza che si riconosca il debito con il vero creatore – è quanto Gramsci chiamava “il dottrinarismo pedante”: la sostituzione dell’analisi concreta della realtà concreta con audaci colpi di penna che niente spiegano e che, meno ancora, servono a cambiare il mondo.
Galeano era una notevole eccezione rispetto a queste trappole e oltretutto possedeva molte altre virtù, come se le prime non bastassero: era una persona eccezionale e anche uno storico erudito, conoscitore di prima mano del dramma storico dell’America Latina, dotato di una notevole capacità di comunicare le sue idee, che si riferivano sempre ad una realtà storica o contemporanea, che descriveva con minuziosa precisione e che esprimeva con un linguaggio accessibile a chiunque.
Non scriveva per l’accademia, il suo obiettivo era arrivare con la sua voce a tutti gli esclusi, gli oppressi e gli sfruttati che trovavano nel suo linguaggio – piano, pulito, senza ghirigori colti – un valido strumento per capire e spiegarsi la realtà che li affliggeva e un potente stimolo a mobilitarsi e lottare. Questo richiedeva una pazienza infinita, ed una vocazione ‘artigianale’ che lo portava, in certe occasioni, a passare una notte insonne – durante gran parte della sua vita in compagnia di vari pacchetti di sigarette – lottando per trovare la frase giusta o la parola esatta che definisse efficacemente il suo argomento, che dicesse quello che voleva dire e che fosse capace di suscitare, in chi la leggeva, la coscienza della propria condizione e la voglia di ribellione per cambiarla.
Ora Eduardo se n’è andato ma ci ha lasciato un’eredità preziosa che sempre accompagnerà le lotte emancipatrici dei popoli latinoamericani. E’ così vero che potremmo applicare a Eduardo la frase con cui egli si riferiva alla ‘semina’ del Comandante Hugo Chàvez: “Mi hanno detto che Chàvez è morto ma io non ci credo”, perché le idee e i sogni di Chàvez, come quelli di Galeano, vivranno per sempre.
E’ quasi una inevitabile ovvietà dire che con la sua morte se ne va uno di quegli ‘imprescindibili’ di cui parlava Bertold Brecht. Forse il più imprescindibile di tutti nella battaglia delle idee in cui siamo impegnati.
Hasta la victoria siempre, Eduardo!
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E, a dimostrazione di quanto scrive Atilio Boròn, ecco un articolo scritto da Eduardo Galeano nel 2004, proprio su Chàvez.
Strano “dittatore” questo Hugo Chàvez
di: Eduardo Galeano
Strano dittatore questo Hugo Chàvez.
Masochista e suicida: ha creato una Costituzione che permette che il popolo lo mandi via, e si è arrischiato a far sì che questo succedesse con un referendum revocatorio che il Venezuela ha realizzato per la prima volta nella storia.
Il castigo non c’è stato. E’ questa è risultata l’ottava elezione che Chàvez ha vinto in cinque anni, con una trasparenza che avrebbe voluto Bush in un giorno di festa.
Obbediente alla sua stessa Costituzione, Chàvez ha accettato il referendum promosso dall’opposizione e ha messo la sua carica a disposizione della gente: “Decidete voi”.
Fino ad ora i presidenti interrompevano la loro gestione solo per morte, rivolta militare, sollevamento di popolo o decisione parlamentare. Il referendum ha inaugurato una forma inedita di democrazia diretta. Un fatto straordinario: quanti presidenti, di qualsiasi paese del mondo, si arrischierebbero a farlo? E quandi continuerebbero ad essere presidenti dopo averlo fatto?.
Questo tiranno inventato dai grandi mezzi di comunicazione, questo terribile demonio, ha appena fatto una enorme iniezione di vitamine alla democrazia che, in America Latina, e non solo in America Latina, è malaticcia e bisognosa di energia.
Un mese prima Carlos Andrès Pèrez, angioletto di Dio, democratico adorato dai grandi mezzi di comunicazione, annunciava ai quattro venti un colpo di Stato. Tranquillamente affermava che “la via violenta” era l’unica possibile in Venezuela, e disprezzava il referendum “perché non fa parte dell’idiosincrasia latinoamericana”. L’idiosincrasia latinoamericana, cioè la nostra preziosa eredità: il popolo sordomuto.
Fino a pochi anni fa i venezuelani andavano al mare quando c’erano le elezioni. Il voto non era, né è, obbligatorio. Ma il paese è passato dall’apatia totale all’entusiasmo. Il torrente di elettori, code enormi che aspettano sotto il sole per ore e ore, traboccava da tutte le strutture previste per la votazione. L’alluvione democratico rendeva anche difficoltosa l’applicazione della prevista tecnologia ultimo modello per evitare i brogli, in questo paese dove i morti hanno la cattiva abitudine di votare e dove i vivi votano varie volte in ogni elezione, forse per colpa del morbo di Parkinson.
“Qui non c’è libertà di espressione!” gridano con assoluta libertà di espressione gli schermi della televisione, le onde delle radio e le pagine dei giornali.
Chàvez non ha chiuso neppure una sola delle bocche che ogni giorno sputano insulti e menzogne. Impunemente va avanti la guerra chimica destinata ad avvelenare l’opinione pubblica. L’unico canale televisivo chiuso in Venezuela, il canale 8, non è stato vittima di Chàvez ma di quelli che hanno usurpato la sua presidenza, per un giorno, nel fugace colpo di Stato dell’aprile dell’anno 2000.
E quando Chàvez tornò dalla prigione, e recuperò la presidenza portato sulle spalle da una immensa moltitudine, i grandi media venezuelani non si accorsero della novità. La televisione privata trasmise tutto il giorno film di Tom e Jerry.
Questa televisione esemplare meritò il premio che il re di Spagna assegna al miglior giornalismo. Il re ricompensò la registrazione di quei giorni turbolenti di aprile. La registrazione era una truffa. Mostrava i selvaggi chavisti che sparavano contro una innocente manifestazione di oppositori disarmati. La manifestazione non esisteva, come è stato dimostrato con prove inoppugnabili, ma si vede che questo dettaglio non aveva importanza, perché il premio non fu tolto.
Proprio appena fino a ieri, nel Venezuela saudita, paradiso petrolifero, il censimento riconosceva ufficialmente un milione e mezzo di analfabeti, e vi erano cinque milioni di venezuelani senza documenti e senza diritti civili.
Questi e altri molti invisibili non sono disposti a ritornare a Nessunlandia, che è il paese dove abitano i nessuno. Essi hanno conquistato il loro paese, che gli era tanto estraneo: questo referendum ha provato, una volta di più, che lì resteranno.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni).
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