Una prospettiva algerina
I miserabili del mare
Di Hamza Hamouchene (*)
Qui (Algeria), come in altre parti dell’Africa, l’abbandono economico e la disperazione davanti ai regimi corrotti obbligano i giovani del continente a rischiare la morte per fuggire in Europa.
Nelle ultime settimane la vicinanza della UE e le politiche estere occidentali, insieme alla dominazione economica attuale del continente africano, hanno mostrato di nuovo le loro letali conseguenze nella tragedia dell’immigrazione attraverso il mar Mediterraneo.
Migliaia di persone, in maggioranza dell’Africa e della Siria, rischiano ogni anno le loro vite attraversando il mare in fragili imbarcazioni per sfuggire dalle aree devastate dalla guerra, dalla povertà, dalle persecuzioni e dalla miseria per raggiungere le coste dell’Europa in cerca di una vita migliore e più sicura. Disgraziatamente un numero importante di esse muore nel tentativo o finisce in campi e prigioni umilianti nei paesi del sud d’Europa solo per essere deportate e restituite e veder distrutti i loro sogni.
Quello che distingue le tragedie di questo anno da quelle precedenti è l’alto tasso di affogati, che quest’anno supera la cifra di 1.500, cinquanta volte di più di quella registrata nello stesso periodo del 2014. Questa differenza si deve agli attuali conflitti in Siria, Libia e Mali, così come alla inumana decisione di alcuni governi della UE di rifiutare il finanziamento all’operazione di salvataggio Mare Nostrum diretta dall’Italia, preferendo abbandonare i migranti alla loro sorte, proclamando che questa decisione può agire come dissuasione per le persone indesiderate che cercano di raggiungere la fortezza europea.
Cercare di fermare questo flusso umano è stato, per anni, la logica della UE mediante l’imposizione di sanzioni e forti multe agli operatori marittimi che non verifichino la validità dei passaporti e i visti dei viaggiatori. Già nel settembre 2007, sette pescatori tunisini furono accusati e incarcerati da un giudice italiano per “appoggio dell’immigrazione illegale”, dopo aver confiscato le loro barche perché avevano osato salvare un’imbarcazione che trasportava viaggiatori a Lampedusa (Sicilia) impedendogli di naufragare, come impongono le leggi del mare.
Qui vale la pena di ricordare come i paesi europei hanno ‘esternalizzato’ la protezione delle loro frontiere ai regimi autoritari nordafricani. Un esempio edificante è stato l’accordo Berlusconi-Gheddafi per riportare gli immigranti in Libia senza esaminare le loro richieste di asilo in cambio di lucrosi contratti economici tra i due paesi. Anche il Marocco sta compiendo gelosamente il suo ruolo di guardiano della fortezza europea. Nel 2005 20 persone dell’Africa Subsahariana trovarono la morte mentre cercavano di attraversare i muri eretti a Ceuta e Melilla, sulla frontiera tra Marocco e Spagna, morendo alcuni per le cadute, altri per asfissia e il resto in modo più scandaloso sotto il fuoco dell’esercito marocchino.
La delocalizzazione e la militarizzazione del controllo dell’emigrazione si riflettono nell’agenzia FRONTEX della UE, creata nel 2005 per intercettare gli immigranti che arrivano dalle coste africane fino alle Canarie, è nel canale di Sicilia, senza tener conto della legittimità di certi casi di asilo e lontano da qualsiasi controllo democratico.
L’Algeria non è sfuggita a questa logica di cooperazione con i suoi vicini europei nella “guerra contro gli immigranti”. E’ così che nel 2009 la “immigrazione illegale” è diventata un reato nella sua legislazione. L’Algeria, che si fregia di essere un faro di stabilità nella regione e che ospita immense ricchezze in gas e petrolio, è tuttavia uno dei principali paesi nella produzione di quelli che chiamiamo “migranti illegali”, più esattamente Harraga, in lingua magrebina. Harga (il fenomeno)si riferisce letteralmente al verbo “حرق“ (bruciare in arabo) nel suo significato letterale (bruciare le proprie carte e documenti) e metaforicamente: superare una restrizione, come attraversare una linea rossa o slatare la coda o, in questo caso, attraversare le frontiere e i mari.
L’Algeria e i suoi Harragas
Nel 2014 si registrarono 7.842 attraversamenti illegali di frontiera nella regione del Mediterraneo occidentale, che comprende varie aree della costa sud della Spagna e le frontiere terrestri di Ceuta e Melilla. In termini di nazionalità, la maggioranza degli emigranti sono dell’Africa occidentale, in particolare di Camerun e Mali. Gli algerini e i marocchini sono anch’essi tra le dieci principali nazionalità, ma soprattutto sulle frontiere marittime.
Secondo l’analisi di rischio annuale del Frontex 2015, l’Algeria occupa il terzo posto dopo la Siria e l’Afganistan negli ingressi clandestini rilevati nei punti di attraversamento delle frontiere (BCPs le sue sigle in inglese). L’Algeria ha occupato anche l’ottavo posto per quanto riferisce ai residenti illegali.
Gli harraga algerini seguono strade marittime diverse dall’Algeria per raggiungere l’Europa: una va dalle coste di Orano (ovest dell’Algeria) verso la Spagna continentale; un’altra (meno sviluppata) unisce le coste di Dellys (100 km. ad est di Algeri) all’isola di Palma di Maiorca; e l’ultima va dalle coste orientali (Annaba e Skikda) verso l’isola italiana della Sardegna.
Ma utilizzano anche altre vie attraverso Tunisia, Libia e Turchia. Di fatto, dal novembre 2010 a marzo 2011, l’11% degli 11.808 emigranti irregolari intercettati in Grecia dal Frontex sono stati identificati come algerini, seguiti dai pakistani (16%) e dagli afgani (23%). Queste allarmanti statistiche sono risultate sorprendenti perché il numero di algerini era del doppio dei marocchini e sei volte i tunisini, nonostante i problemi prodotti in questi due paesi con l’inizio delle ribellioni arabe.
La harga, la conseguenza della povertà e la hogra
Tutte le classi sociali sono colpite da questo fenomeno: la classe lavoratrice, i disoccupati, i laureati universitari e persino i medici e gli ingegneri. Uno si chiede: perché questa piaga sociale è così estesa, arrivando molto al di là delle lassi povere? Questa domanda merita di essere considerata seriamente e rispondervi adeguatamente sarà un compito difficile, ma cercherò di tentare di dare alcune risposte possibili.
La harga rappresenta in qualche modo la ricerca di un futuro che è arrivata ad una strada senza uscita nel paese d’origine. E’ un mezzo per superare le restrizioni sulla libertà di movimento, la precarietà del lavoro e la marginalizzazione da parte delle reti clientelari; in poche parole tutto ciò che rende insostenibile la vita, un progetto di vita impossibile da realizzare in Algeria date le attuali condizioni. Un abitante di un paese marginalizzato, Sidi Salem ad Annaba, all’est di Algeri, dichiarava a un suo fratello harrag: “Ho perso le chiavi del mio futuro in un cimitero dell’Algeria chiamato Sidi Salem”.
L’immigrazione illegale dall’Algeria è anche la logica conseguenza di più di tre decenni di liberalizzazione dell’economia, che pronunciò una sentenza di morte su un’economia produttiva e generatrice di posti di lvoro, provocando la disoccupazione di massa e la perpetuazione della mentalità di ricerca della captazione della rendita esportando gas e petrolio e importando tutto il resto.
La harga non si può davvero comprendere senza considerare l’altro flagello che chiamiamo hogra in Algeria. Hogra significa indifferenza, disprezzo, esclusione e descrive anche un atteggiamento che approva e propaga la violenza contro i molti, i laissés pour comte (le masse dimenticate e emarginate).
“Preferiamo morire mangiati dai pesci che dai vermi”
A causa delle restrizioni alla libertà di espressione e di associazione e anche per la mancanza di spazio di intrattenimento, di arte e di creatività, i giovani si sentono soffocati, umiliati, senza dignità: stranieri nel loro stesso paese e l’unico orizzonte che possono vedere è quello che sta al di là del mare. Su questo aspetto, si tratta di un atto di denuncia dell’autoritarismo e, in un certo modo, si tratta di una cultura di lotta da parte di un gruppo sociale che si sente emarginato e dimenticato. E’ un potente messaggio alle classi dominanti in Algeria, i giovani dicono: “Roma wa’la N’tuma”, che significa “Roma è meglio di voi”. Dice anche: “Preferiamo morire mangiati dai pesci che dai vermi”.
I giovani algerini rischiano le loro vite cercando di raggiungere le coste nord del Mediterraneo per sfuggire alla disperazione di vivere emarginati e relegati ad essere Hittistes, letteralmente quelli che appoggiano le spalle ai muri, un termine utilizzato per rirferirsi ai disoccupati che smisero di partecipare nell’Algeria post-coloniale. Ma, invece di reindustrializzare il paese e investire sul suo popolo, le autorità algerine offrirono appoggio commerciale al FMI, strumento coloniale per il saccheggio che, prima di tutto, paralizzò l’economia. La corruzione endemica, che è diventata la situazione normale in Algeria, ha peggiorato ancor più le cose.
Harga è solo il riflesso di quello che è stato dell’Algeria e altri paesi africani cinquant’anni dopo l’indipendenza, con elites dominanti che si dedicano solo a soddisfare le esigenze del capitale straniero e a seguire gli ordini dei loro padroni occidentali. E’ anche il riassunto della supremazia bianca, dello sfruttamento capitalistico e del dominio imperialista che provengono dalla mano dei regimi corrotti e repressivi in Africa e in altri luoghi.
La tragedia dell’immigrazione che vediamo nel mar Mediterraneo durerà finché dureranno le radicate strutture autoritarie di potere e di oppressione, finché continuerà il saccheggio delle risorse naturali dell’Africa, finché il profondamente ingiusto sistema in cui viviamo continuerà il suo dominio e l’esclusione dei miserabili della terra e dei condannati del mare.
E’ necessario e urgente che noi partecipiamo alla lotta per la giustizia globale, contro un sistema che mette il profitto prima degli esseri umani.
(*) Scrittore e attivista algerino, co-fondatore di Algerian Solidarity Campaign (ASC). Scrive, tra gli altri, su The Guardian e CounterPunch.
da: rebelion.org; 13.5.2015
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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wlp (giovedì, 25 giugno 2015 12:43)
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