Ordinato da Ben Gurion stesso, in esso tre delle personalità politiche più importanti di Israele uccisero centinaia di palestinesi
Il triplice massacro di Lydda
Di Saiid Alami (*);
In questo mese di maggio palestinesi e arabi celebrano il 67° anniversario della “Nakba”, ossia “la Catastrofe”, chiamata in Israele “Indipendenza”. Immaginate un mucchio di immigranti arrivati in Palestina dall’Europa, che hanno la faccia tosta – appoggiati dalle grandi potenze – di proclamare la loro “indipendenza” sul territorio palestinese.
Un caso che non ha paragoni nella storia, ma definito “normale” da alcune potenze europee, in particolare la Gran Bretagna, che furono, e continuano ad essere insieme agli Stati Uniti, gli autentici invasori e occupati della Palestina.
Lydda è una città palestinese che si trova a 38 km. a nord-est di
Gerusalemme, la cui fondazione da parte dei cananei risale al periodo tra il 5600 e il 5250 a.C. La città, insieme a Ramle, da cui dista 5 km., non era stata inclusa nel territorio del futuro
Stato di Israele dalla Risoluzione 181 dell’ONU del 29 novembre 1947, che prevedeva la spartizione della Palestina in due Stati, arabo e israeliano. Ma Israele occupò le due citta tre mesi dopo
la proclamazione dello Stato di Israele, il 14 maggio 1948.
Israele biblico e Israele sionista … continui massacri di palestinesi
Con quella cosiddetta indipendenza si impiantava, con la forza delle armi (armi tutte europee, in particolare britanniche) il cosiddetto Stato di Israele. E come circa 3200 anni prima, proprio come narra la Torah (l’Antico Testamento) sulla barbara invasione ebrea della Palestina di quel tempo, anche la nuova invasione fu effettuata a base di interminabili massacri della popolazione palestinese, che noi palestinesi mai dimenticheremo né perdoneremo, qualsiasi cosa dica o non dica l’Autorità Nazionale Palestinese, costruita da Israele, USA e Unione Europea sulla dimenticanza e sul perdono, alle spalle del popolo palestinese. L’olocausto palestinese continua tragicamente a far male nel cuore e nella memoria palestinese e araba.
Le bande terroriste ebreo-europee perpetrarono numerosi massacri tra la popolazione palestinese nei mesi precedenti il 14 maggio 1948, specialmente durante il mese di aprile. A titolo di esempio i seguenti: la mattanza di Al Husainiyah il 16 marzo, il massacro di Deir Yasin il 9 aprile, la mattanza di Qalonia il 12 aprile, il massacro di Al-Luyun il 13 aprile, quello della Collina di Letvinsky e di Hosha, entrambe il 16 aprile, quelli delle città di Haifa e di Al-Ramah del 22 aprile, il massacro di Al-Khairiya il 25 aprile, quello di Ein Al-Zaitun il 2 maggio, la mattanza di Arab Al-Sbeih il 6 mayo, quella di Breir il 12 maggio, etc.
Dopo la proclamazione dello Stato di Israele, il 14 maggio, i massacri dei palestinesi si intensificarono, in una vasta operazione di pulizia etnica. Sempre a titolo di esempio e non per elencarli, ricordiamo i seguenti, tutti avvenuti nel 1948: Abu Shusha il 15 maggio, Beit Dras il 21 maggio, Al-Tantura il 22 maggio; il doppio massacro di Lydda-Moschea di Dahmash l’11 luglio, la mattanza di Al Tireh il 16 luglio, quella di Al Dawaymeh il 29 ottobre, quelle di Faradiyeh e di Sulha, entrambe il 30 ottobre, quella di Al Safsaf il 30 dicembre, etc.
Il triplo massacro di Lydda
Tra il 10 e il 12 luglio 1948, vennero perpetrati a Lydda due massacri da parte delle forze dell’appena creato esercito israeliano, che espulse dalla città la totalità della popolazione, che allora si aggirava sui 70 mila abitanti, dovuti al fatto che in essa si erano riuniti decine di migliaia di profughi provenienti dalle città e dai paesi vicini , fuggendo dalla barbarie israeliana.
Il 10 luglio 1948 Lydda fu attaccata dal terzo battaglione del Palmaj (truppe scelte), formato principalmente da membri dei gruppi terroristici ebrei dell’Haganà e dell’Irgun.
Inizialmente la città fu bombardata con una pioggia di proiettili di mortaio che causarono numerose morti tra la popolazione.
Il primo capo del Governo israeliano, Ben Gurion, aveva personalmente ordinato il massacro, ponendo alla testa delle forze d’attacco un comandante del Palmach, Yigal Allon, che nel corso degli anni divenne, nel 1969, il primo ministro ad interim, succedendo a Golda Meir. Questo criminale di guerra, morto nel 1980, occupò quattro seggi ministeriali fino al 1977.
Allon ordinò di bombardare la città dal cielo, con il che Lydda divenne la prima città palestinese bombardata dall’aviazione israeliana, con aerei regalati all’appena fondato Stato di Israele dai britannici, prima che essi abbandonassero la Palestina il 15 maggio 1948, ovvero il giorno dopo la proclamazione dello Stato.
Una volta terminato il bombardamento aereo, nelle strade della città irruppero i soldati del terzo battaglione del Palmaj, aprendo il fuoco con le loro mitraglie contro le case, i locali commerciali e i passanti, riempiendo le strade di cadaveri di civili di ogni età.
Un altro comandante del Palmaj e altro criminale di guerra, Isaac Rabin (ridicolo Premio Nobel per la Pace del 1994) comandava le truppe che attaccarono Lydda quel giorno fatidico, come luogotenente di Allon.
Un terzo criminale di guerra, Moshe Dayan, partecipò al massacro di Lydda. Lo scrisse Kennet Bilby, inviato del New York Herald Tribune in Palestina, che entrò a Lydda il 12 luglio 1948, diventando testimone oculare del massacro. Bilby assicurò di aver visto Dayan guidare un convoglio di veicoli militari armati, che trasportavano soldati armati che aprivano il fuoco con mitraglie e fucili “contro tutto ciò che si muoveva. I corpi di arabi, compresi donne e bambini, erano sparsi all’ombra di quel comandate senza misericordia”. In realtà l’allora colonnello Dayan guidava l’89° battaglione dell’esercito israeliano in quel massacro e le sue truppe si spostavano a bordo di jeeps e di alcuni veicoli blindati Mormom-Herrington di fabbricazione sudafricana (anche se i componenti principali erano fabbricati negli USA e in Gran Bretagna). Quei blindati disponevano di 2 mitragliatrici Vickers da 7.7 mm., con una potenza di fuoco tra i 450 e i 600 colpi al minuto (a seconda del modello). Il lettore immagini una jeep e dei blindati che aprono il fuoco contro una popolazione civile, le sue case e i suoi negozi.
La storiografa israeliana Anita Shapira, professoressa di Storia Ebrea dell’Università di Tel Aviv, afferma che Dayan portò a termine quel massacro di sua iniziativa e senza coordinarsi con il suo capo immediato, Isaac Rabin.Secondo Shapira, le truppe di Dayan attarversarono tutta la città di Lydda sparando incessantemente e continuarono a farlo sulla strada tra Lydda e la vicina Ramleh. In entrambe le città la resistenza incontrata dagli israeliani fu minima e ne furono protagonisti miliziani palestinesi poveramente armati (http://en.wikipedia.org/wiki/1948_Palestinian_exodus_from_Lydda_and_Ramle).
Nel numero di luglio-agosto 1994 del Washington Report of the Middle East Affairs, Donald Neff, giornalista e autore statunitense che fu per anni corrispondente della rivista Time a Gerusalemme e che è appena morto giorni fa all’età di 85 anni, scriveva: “Due corrispondenti statunitensi sono stati testimoni di quanto è successo in quell’attacco (contro Lydda); Keith Wheeler, del Chicago Sun Times, con il titolo “Tattiche di sorpresa e intense hanno conquistato Lydda”, sulle azioni delle truppe di Palmaj quel giorno a Lydda scriveva: “praticamente tutto quanto c’era sulla loro strada morì. Cadaveri sparsi giacevano nelle strade”.
Il Secondo Massacro di Lydda
La seconda mattanza di Lydda ebbe luogo nella moschea di Dahmash, al centro della città. Attraverso gli altoparlanti le truppe israeliane diedero ordine alla popolazione, l’11 giugno, di dirigersi alla moschea e molti obbedirono all’ordine ammucchiandosi all’interno della moschea: centinaia di persone di tutte le età, la maggioranza uomini.
Nel giro di due giorni quelle persone furono là rinchiuse, senza cibo, diventando dei prigionieri. Quando alcuni cercarono di fuggire, i soldati israeliani aprirono il fuoco con le mitraglie contro la massa che stava all’interno del recinto della moschea, uccidendo quasi due centinaia di persone. L’orrore registrato in quella moschea spinse le autorità israeliane a chiuderla ermeticamente; essa rimase abbandonata fino al 1994 quando fu ristrutturata e riaperta ai fedeli.
Le vittime di questi due massacri, secondo i palestinesi, oscillano tra i 1.000 e i 1.500 morti, mentre gli israeliani – che chiamano il massacro di Lydda “Operazione Danny” – stimano in 250 il numero di palestinesi morti in quel massacro.
La mattanza fu parzialmente descritta da Ari Shavit, scrittore e giornalista israeliano (di Haaretz) in un articolo intitolato “A City, a Massacre, and the Middle Est today” pubblicato dal The New Yorker il 21 ottobre 2013: “in trenta minuti, 250 palestinesi furono assassinati. Il sionismo aveva compiuto un massacro nella città di Lydda”.
Il Terzo Massacro di Lydda
Tuttavia la tragedia di Lydda non finì là. Le truppe israeliane obbligarono circa 70.000 palestinesi ad abbandonare la città. Per questo furono fissati punti fissi da dove dovevano uscire, dove vennero prima spogliati di tutto quanto avevano addosso – denaro, gioielli o qualsiasi altro oggetto di valore – compresi gli anelli di matrimonio. Un autentico furto a mano armata, di massa e in pieno giorno.
Prima del 1948 la popolazione di Lydda era di circa 20.000 abitanti, ma dopo i primi massacri perpetrati dagli israeliani nel mese di marzo di quell’anno migliaia di palestinesi erano fuggiti a Lydda raggiungendo, arrivato maggio, la cifra di 50.000 rifugiati, il che portò la popolazione della cità a 70.000. La genete fuggiva a Lydda credendo che la città sarebbe rimasta in mano ai palestinesi, secondo la Risoluzione 181 dell’ONU, approvata 5 mesi prima.
L’espulsione della popolazione di Lydda avvenne il 13 luglio, quando il calore raggiunge i suoi livelli più estremi. Secondo mio padre, Abderrahim Al Alami (nato a Lydda nel 1924, attualmente residente negli Emirati Arabi Uniti, conosciuto per la sua eccellente memoria che gli ha permesso di redigere le sue memorie in circa 300 pagine, oltre che registrarle in un vide di 32 capitoli messi su Youtube), testimone oculare di tutti gli avvenimenti successi a Lydda tra il 10 e il 13 luglio e uno degli espulsi della città insieme a suo padre e ai suoi fratelli, “nella nostra marcia a piedi, la gente moriva durante il cammino cercando di arrivare alla località di Ni´lin نعـلين, prima tappa della loro marcia verso Ramallah”.
Nel capitolo 27 delle suddette memorie, Al Alami dice che suo fratello, di 10 mesi di vita e di nome Sulaiman, fu uno dei morti in quella marcia, definita “la marcia della morte” da Max Blumenthal nel suo libro “Goliat, Life and Laothing in greater Israel”. Secondo Al-Alami quelli che caddero morti di sete, fame, colpi di calore e fatica, prima di arrivare a Ni’lin venivano sepolti per strada ma alcuni, tra cui il piccolo Sulaiman, furono portati dalle loro famiglie fino alla menzionata località, dove furono sepolti.
Secondo diversi storici palestinesi contemporanei a quei fatti, come Aref Al Aref (1891-1973), circa 350 palestinesi morirono in quell’apocalittico esodo a piedi da Lydda a Ramallah, in particolare nel tratto fino a Ni’lim a causa dell’estremo calore, della sete, della fame, della fatica. Questo fu il terzo massacro di Lydda.
L’espulsione degli abitanti di Lydda, insieme a quelli della vicina Ramle, venne effettuata – come il resto delle espulsioni violente di quasi un milione di palestinesi dalle loro case e dalla loro patria – per ordine diretto di Ben Gurion. Nel citato articolo di The New Yorker, Shavit dice: “Quando le notizie (della mattanza di Lydda) arrivarono al quartie generale della Operazione Larlar, nel villaggio palestinese di Yazur, il comandante militare generale Yigal Allon domandò a Ben Gurion che fare con gli arabi. Ben Gurion scosse la mano: “Deportarli”. Ore dopo Isaac Rabin, l’ufficiale incaricato delle operazioni sul terreno, emise un ordine scritto diretto alla brigata Yiftach: “Gli abitanti di Lydda devono essere rapidamente espulsi, senza tener conto dell’età degli stessi”.
Uno Stato, quello israeliano, nella sua essenza usurpatore e criminale
Quanto accaduto a Lydda tra il 10 e il 13 luglio 1948 costituisce una vergognosa abiezione che Israele ha cercato di nascondere e minimizzare per decenni. Riguardo a questo, David K. Shipler, premio Pulitzer 1987 per un lavoro sul conflitto arabo-israeliano, corrispondente del New York Time a Gerusalemme dal 1979 al 1984, segnalava questa verità in una cronaca sua datata Gerusalemme, pubblicata il 22 ottobre 1979 con il titolo “Israele proibisce a Rabin di raccontare l’espulsione degli arabi nel 1948”. Secondo Shipler, “una commissione di censura formata da cinque membri del Governo ha proibito all’ex primo ministro, Rabin, di inserire nelle sue memorie il racconto in prima persona dell’espulsione di 50.000 civili palestinesi dalle loor case di Ramlah e Lydda durante la guerra arabo-israeliana del 1948 (Rabin attribuisce a Ben Gurion gli ordini di espulsione).
Gli israeliani sono così cinici che si riferiscono alla tragedia di Lydda come se fosse un capitolo eccezionale della loro invasione e occupazione della Palestina, mentre in realtà non si tratta che un episodio in più della catena di usurpazione e di pulizia etnica nel più selvaggio dei modi perpetrata dagli israeliani nel corso di vari mesi nel 1948 e successivamente.
E questo non è tutto, visto che mentre i palestinesi erano obbligati ad abbandonare Lydda sotto la minaccia dei fucili, nella città i soldati israeliani si dedicavano al saccheggio e alla rapina, rubando in case, negozi e fabbriche di proprietà palestinese, come riferisce lo storico israeliano Simha Flapan (ex direttore della sezione degli Affari Arabi del partito di sinistra israeliano MAPAM) nella sua opera “The Birth of Israel, Myths and Realities” uscito nel 1987.
Come ho scritto in un articolo recentemente, l’occupazione della Palestina è stata la rapina a mano armata più grande della storia, perché ciò che successe a Lydda era identico a quanto successe in tutte le località palestinesi, visto che città e villaggi di tutto un paese furono svuotati dei loro abitanti da un esercito e da coloni che si anima e corpo allo svaligiamento benedetto dalle autorità del nuovo Stato, eretto sulla base di massacri, distruzione, usurpazione e rapina.
Non dimentichiamo né perdoniamo
Infine, conviene segnalare che, personalmente, “ho vissuto” la triplice mattanza di Lydda da quando ero bambini (nacqui 4 mesi dopo), visto che ho vissuto tutta la mia vita attorniato da miei familiari che soffrirono quei massacri e quella “marcia della morte” sulla loro pelle. Persone che, da allora, hanno vissuto raccontando quasi tutti i giorni ai loro figli, e poi ai loro nipoti, le sofferenze e la tremenda ingiustizia che hanno sofferto durante quei giorni per mano di banditi ebrei-europei arrivati in Palestina esclusivamente per il saccheggio, l’usurpazione e l’annichilazione di un popolo pacifico e disarmato, protetti da Governi occidentali, guidati dalla Gran Bretagna, il paese in grande misura responsabile della tragedia del popolo palestinese (Tra parentesi San Giorgio, Santo patrono dell’Inghilterra e molto venerato in tutto il mondo, era nativo di Lydda, dove nacque intorno all’anno 275 d.C.).
Molti testimoni diretti di quel massacro, tra cui i miei genitori, sono ancora in vita e continuano a soffrire, come me, le conseguenze di quell’orrendo massacro e di quella “marcia della morte”.
La nuova generazione di palestinesi, nostri figli, è stata istruita ogni giorno – da noi e dai suoi nonni – riguardo quella decina di massacri perpetrati da quei criminali ebreo-europei i cui figli nipoti hanno continuato a massacrare, perseguitare e umiliare i palestinesi, di tutte le età, fino ad oggi, incondizionatamente appoggiati dalle stesse potenze europee, da Stati Uniti e da Canada che si autodefiniscono ipocritamente “regimi democratici e difensori ad oltranza dei diritti umani”. Quanta falsità!
(*) Scrittore e poeta palestinese, vive a Madrid; da: rebelion.org; 25.5.2015
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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