ELEZIONI IN TURCHIA

Alle proteste di Gezi park (2013) fu polarizzare la società tra i religiosi conservatori (turchi e kurdi) e i laici, e ora Erdogan è caduto nella sua stessa trappola: i laici sono adesso la maggioranza nell’Asemblea nazionale; dato che, da un altro lato, disegna il fondo del problema, che è il sistema capitalista che produce dittatori, anche se è vero che quelli che usano la fede dei credenti sono i peggiori. Le conseguenze del risorgimento dell’islamismo, e con questo il retrocedere nei diritti sociali conquistati durante il secolo scorso, obbligano le forze progressiste a riscattare la parola d’ordine della “separazione della religione dal potere” che  era rimasto nel cassetto fino a pochi decenni fa.

2. Notevole presenza delle donne come candidate in tutte le liste elettorali come sfida alle politiche misogine dell’erdoganismo e delle sue leggi religiosa – che obbligano, ad esempio, una donna maltrattata a indennizzare il suo maltrattatore. Erdogan è arrivato ad accusare le donne costrette ad abortire di cospirare per “eliminare i turchi dallo scenario mondiale”, e così restringere il diritto d’aborto. Il 48% dei candidati del partito Democratico dei Popoli (HDP) erano donne , oltre a tre persone della comunità  LGBT  (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, n.d.t.). Il HDP ha fatto un’innovazione politica: una donna e un uomo condivideranno la segreteria generale del partito.

3. la geniale misura di trasformare HDP (fondato nel 2012) in un’ampia piattaforma di unione delle forze della sinistra – kurda, turca, armena, izadi, alawi, siriana, le minoranze sessuali, ecc.  HDP, che non è un partito kurdo come affermano alcuni media, conta sull’appoggio dei socialisti e del Partito Comunista. Il ruolo del suo leader, il carismatico avvocato kurdo Selahattin Demirtas di 42 anni, è stato decisivo nel trionfo del partito.

4. “Meglio un potere diviso nel parlamento che uno concentrato nel palazzo di Erdogan”, cioè l’opzone vincente di “meno Presidente e più Parlamento” mostrava la paura dei cittadini per un dispotismo ormai sfrenato che ha portato in galera 64 giornalisti  e ha riempito lo spazio politico di odio, , diffidenza e violenza. Gli attivisti e le sede dei partiti di sinistra hanno subito un centinaio di attacchi che hanno causato vari morti e feriti.

5. Instaurare il nediocre culto alla sua personalità ha un prezzo:  il castigo del Sultano Erdoganha danneggiato il AKP che sta già cercando un altro volto, un altro “Ata” (padre) per recuperare il potere in una società – come le altre orientali – molto legata al paternalismo di uomini potenti.

6. Queste elezioni hano di nuovo mostrato un’innegabile realtà: che l’identità etnica è al di sopra di quella religiosa e l’ha mostrato lo sconvolgimento del voto tradizionale kurdo conservatore al AKP “musulmano”, ora dato a favore di HDP, partito nel cui programma si esige la cancellazione dei dati di identità linguistica, etnica e religiosa sui documenti dei cittadini e la piena uguaglianza di tutti.

7. (Queste elezioni) dimostrano che  i partiti kurdi – clandestini o legali – sono diventati attori decisividello scenario del Vicino oriente, nonostante che gli uni siano al servizio degli interessi delle potenze reazionarie mondiali e regionali e gli altri al servizio della loro gente. Il ballo di Erdogan con il PKK fu una tattica per disattivare la lotta armata e strapparle concessioni unilaterali. L’ultimo chiodo nella bara del processo di pace lo mise quando impedì, alcuni mesi fa, l’entrata dei rifugiati civili kurdi siriani in Turchia, mentre dava riparo ai terroristi dello Stato islamico che massacravano quella gente disperata.

8. L’uso opportunista della carta kurda nei conflitti della regione è come darsi le martellate sui piedi. Dall’inizio del secolo scorso, centinaia di migliaia di kurdi sono stati assassinati da tutti i regimi della zona. Oggi neppure gli USA possono ignorare la “questione kurda”. E’ in tal senso che Masoud Barzani, presidente dell’Atomnomia Kurda dell’Ira, sta preparando, con l’appoggio di Obama, la dichiarazione di indipendenza di questo territorio, dando per terminata la disintegrazione dell’Iraq: che gli altri paesi della regione con kurdi nel loro seno stiano molto attenti.

Erdogan e il mondo

Il suo sogno di estendere l’influenza turca dal mar Egeo fino alla Grande Muraglia Cinese è stato seppellito nelle fosse comuni dei siriani assassinati da gruppi terroristici  da lui sostenuti col fine di ottenere parte del distrutto Stato siriano.

La politica neo-ottomana del pascià turco lo ha portato non al cosidetto “splendido isolamento”  che di solito soffrono le persone che hanno un’integrità etica e sono attorniati dall’ostilità, ma esattamente all’isolamento dei populisti, quelli che lanciano promesse vuote per attrarre simpatie.

COSì Erdogan ha ottenuto l’inimicizia di:

Occidente: a Barak Obama non sarà dispiaciuta la caduta di Erdogan, il Netanyahu turco che va per conto suo e gli tende trappole – come quando nel 2013 assicurava che Assad aveva usato gas chimici , con l’obiettivo di forzare la NATO a farla finita con il presidente siriano, mettendo Obama in una situazione imbarazzante dalla quale fu salvato grazie a Vladimir Putin – o quando osa criticarlo duramente per non aver condannato l’assassinio di “tre musulmani” in California. Il presidente USA, che aveva fortemente scommesso sui Fratelli Musulmani è arrrivato anche a criticarlo per gli attacchi alla libertà in Turchia; egli ora vede che il “modello turco” – il sistema politico dell’Islam capitalista incapace di rispettare i minimi diritti sociali dei cittadini – crolla. Anche i repubbliani dubitano della sua lealtà: è inammissibile che un socio della NATO compri dalla Cina missili di difesa antiaerea HQ-9 e faccia parte della nuova Via della seta, permettendo  gli investimenti della Banca Industriale e Commerciale della Cina (ICBC), o rifiuti di partecipare alle sanzioni contro la Russia e soprattutto che accetti che l’abbandonato gasdotto della Corrente Sud torni a prender vita nel corpo della Corrente Turca.

Gli USA si metteranno a cercare ad Ankara un altro uomo che garantisca la stabilità di questo socio “musulmano” delal NATO: il primo ministro Ahmet Davutoglu è una delle scommesse.

Israele: sono finiti quegli attacchi via TV ai governanti ebrei mentre agitava la bandiera palestinese. Ora Tayyeb Erdogan neanche si pronuncia sul rifiuto di Netanyahu di rispettare la “soluzione dei due stati”. In cambio spreca 1,5 milioni di dollari nella ristrutturazione della sinagoga di Edrine – la terza più grande d’Europa – ignorando la proposta di trasformarla in un musoe fino alla normalizzazione della situazione della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme da parte di Israele. Erdogan è preoccupato dell’avvicinamento di Tel Aviv alla Grecia, che en passant estrae petrolio dalla costa greca di Cipro. Parallelo a questo strizzare d’occhio a Netanyahu, il politico turco continuava  a negare di riconoscere il genocidio armeno – forse per non dover indennizzare le migliaia di familiari –  e a compatire le attuali vittime siriane e irachene di tutte le religioni. Chi gli ha chiesto pace per la regione e protezione ai fedeli di Gesù è stato Papa Francesco durante la sua visita in Turchia – paese in cui ha lavorato il “papa Turco”, soprannome dato all’arcivescovo Angelo Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII. L’ombra della rivale Chiesa ortodossa Russa, trasformata in uno dei protagonisti dello scenario geopolitico  dell’Eurasia, pesava sui motivi dell’opposizione del Vaticano alle guerre del Vicino oriente e nella sua difesa dei “fratelli” ortodossi in questa regione.

Paesi arabi: il proselitismo in favore dei Fratelli Musulmani, e l’ansia di giudare i fedeli dell’Islam del pianeta ha messo in opposizione il presidente turco all’Arabia Saudita, altro aspirante allo stesso ruolo, che gli ha fatto lo sgambetto dall’Egitto, rovesciando il fratelloMohamad Mursi. Per il “mondo arabo” i turchi sono degli intrusi tanto quanto gli iraniani.

Iran: dalla Siria, dall’Iraq e dallo Yemen, Erdogan pretende di “tagliare il braccio lungo dell’Iran”, puntandogli oltretutto contro i missili Patriot, senza smettere di fare succulenti affari familiari, intrisi di corruzione, con Teheran.

Ora, il Partito Democratico dei Popoli ha promesso di togliere la Turchia dal pantano siriano, di collaborare con Iran e Russia per pacificare quel paese e aiutare un milione di rifugiati a tornare alle loro case. Quindi gli yiahidisti si ritroverebbero orfani di “Padre”, e Obama dovrà rivedere la sua strategia sul destino di Assad, prima delle elezioni del 2016 in USA.

Tutto indica che gli occidentali possono stare tranquilli: la Turchia resterà nella NATO.

Siamo di fronte alla fine dell’erdoganismo ma non di Erdogan, che ha 45 giorni per formare un governo di coalizione, altrimenti dovrà convocare nuove elezioni.

E’ poco probabile che il potere giudiziario arrivi ad accusarlo di assassinio dei manifestanti a Gezi Park, la sorte corsa da Mohamad Mursi.

L’uragano turco ha spettinato i baffi di Soliano, ma non l’ha rovesciato.

(*) Giornalista  iraniano-spagnola, scrive su Pùblico.es

da: publico.es; 10.6.2015

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)