Ma, santo cielo, che cosa può cercare il papa a Cuba?
di Marc Vandepitte (*)
Nemici giurati?
La Chiesa e il comunismo sono nemici giurati che, sempre e dappertutto, si sono detestati. Così almeno vuole il cliché. Ma senza tener conto di Cuba la ribelle. Qui la Chiesa e il comunismo si sono incrociati in modo sorprendente e non usuale. Qualche esempio per illustrare la questione.
Nel 1988 il papa polacco Giovanni Paolo 2° venne a Cuba. Ci passò non meno di sette giorni, una delle più lunghe visite del suo papato. Sull’isola ci sono due monumenti che rappresentano questo papa nonostante fosse vivamente anticomunista. E al momento della morte del papa, nel 2005, Fidel Castro annunciò tre giorni di lutto nazionale.
Ma, santo cielo, che cosa può cercare il papa a Cuba?
Dopo che nel 2006 Fidel si ammalò seriamente, Jaime Ortega, arcivescovo dell’Avana, sorprese simpatizzanti ed oppositori con il suo appello a pregare per una rapida guarigione del Comandante e, ancor più, annunciando che, nel suo paese, la chiesa cattolica non avrebbe mai approvato un intervento straniero. Un ‘suggerimento’ a Bush, che dovette far marcia indietro nei suoi progetti di cambio di regime.
C’è stato, ovviamente, altro a suo tempo. Nei primi anni della rivoluzione, il clero ed i rivoluzionari erano decisamente opposti gli uni agli altri. Come e quando questa situazione ha avuto un’evoluzione verso un buon accordo, cercheremo di chiarirlo in questo articolo, facendo una carrellata sui due principali protagonisti, la chiesa cattolica e il regime rivoluzionario.
Pastoralmente debole ma politicamente forte
A Cuba la situazione della chiesa cattolica è diversa da quella del resto del continente. In tutta l’America latina la chiesa è stata, ed è, molto legata all’establishment e al sistema gerarchico, ed è molto dominante. Ma a Cuba la chiesa era, in aggiunta, molto elitaria e limitava le sue attività, essenzialmente, alle regioni urbane. C’erano molto poche vocazioni locali ed una gran parte del clero era costituito da missionari spagnoli, per cui non era raro che, dopo gli anni Trenta, essi fossero fortemente influenzati dal fascismo di Franco. Non fu quindi davvero sorprendente che dopo la rivoluzione si assistesse, molto rapidamente, ad un confronto con il clero.
La lega rivoluzionaria tenta, all’inizio, di cercare degli avvicinamenti con la chiesa cattolica. Questo tentativo riesce fino ad un certo punto, ma le successive riforme del paese sono inaccettabili per l’establishment (la chiesa). Quando, due anni più tardi, l’insegnamento passa in esclusiva allo Stato, la Chiesa viene messa fuori gioco. Una parte della chiesa sarebbe poi diventata la testa di ponte della controrivoluzione: i seminari divennero i bastioni dell’azione controrivoluzionaria, i preti presero attivamente parte alle attività sovversive e i credenti vennero adeguatamente “montati” contro la rivoluzione.
I primi anni della rivoluzione furono, per la chiesa cattolica in ogni modo, autodistruttivi e traumatizzanti. Visto il suo atteggiamento ostile, essa fu marginalizzata in quanto istituzione, e poi toccata nelle sue forze vive dal fatto che numerosi membri del clero, ritenendo persa la battaglia, emigrarono a Miami.
Di fatto la chiesa cattolica non si è mai veramente rimessa da questa situazione. Un piccolo ritorno di fiamma nel corso della grave crisi economica degli inizi degli anni Ottanta. E’ nei tempi difficili che la gente cerca rifugio nella religione. Inoltre, grazie all’aiuto dall’estero, le parrocchie avevano spesso maggiori mezzi materiali delle organizzazioni locali. Potevano organizzare feste e attività ludiche, cercando così di attirare nuovamente il pubblico.
I risultati non sono stati all’altezza. Molti Cubani si considerano, è vero, cattolici, ma non vanno mai a messa. A Cuba non esiste alcuna comunità cattolica paragonabile a quelle di altri paesi latino-americani. Si valuta in meno del 2 per cento la comunità dei praticanti e, come da noi, si tratta in maggior parte, di persone abbastanza anziane. In più, in questi ultimi decenni, la chiesa cattolica ha perso terreno rispetto al mondo protestante e alle sette evangeliche che, come d’altra parte in America Latina, sono in netta progressione.
Con questa visita, se il papa vuol dare un po’ di speranza ai credenti, vuole certamente anche rafforzare la posizione della chiesa cattolica vis-a- vis delle altre chiese protestanti e delle sette.
Può essere, da un punto di vista pastorale, che la Chiesa non rappresenti un gran che, ma da un punto di vista politico invece sì, soprattutto in questi ultimi anni.
La chiesa cattolica si è rivelata una mediatrice tra l’Avana e Washington. Questo ha permesso, a fine 2014, la liberazione dei Cinque Cubani, di due agenti USA e un ‘riscaldamento’ delle relazioni tra i due paesi.
E, evidentemente, questo ha anche sensibilmente migliorato le relazioni tra chiesa e potere rivoluzionario. Oggi si parla della relazione in termini di rispetto, fedeltà, trasparenza e riconciliazione. Mai le relazioni tra i nemici tradizionali sono state buone come in questo momento. Le posizioni “sinistroidi” del papa attuale non vi sono certo estranee.
La lotta contro la polarizzazione
All’inizio della rivoluzione la religione non era né un soggetto né un ostacolo. Frank Paìs, figura di spicco del movimento 26 Luglio era un evangelico convinto e il Padre Sardiñas, un prete cattolico, faceva parte della guerriglia.
Dopo la presa del potere, Fidel Castro voleva un fronte, il più largo possibile, e i credenti ne facevano parte. Nell’anno primo della rivoluzione, egli dichiarava alla stampa: “La nostra rivoluzione non è, in alcun caso, contro il sentimento religioso. La nostra rivoluzione ambisce al rafforzamento dei desideri e delle idee nobili dell’uomo. Se si applicassero le istruzione del Cristo, nella pratica, questo porterebbe il mondo ad una vera rivoluzione. Non dimenticate che il Cristo è stato perseguitato, che è stato anche crocifisso e che le sue idee erano molto combattive. Il cristianesimo era una religione dei poveri, della piccola gente”.
Quindici anni prima della teologia della liberazione, Fidel interpretava il vangelo in modo radicale.
La mano era tesa ai credenti, ma le azioni controrivoluzionarie del clero avrebbero guastato l’atmosfera.
La situazione andava rapidamente polarizzandosi e da entrambi i lati ebbero luogo reazioni estreme. I credenti furono discriminati: gli veniva impedito di essere membri del partito comunista, erano frenati nelle promozioni, ecc.
Il processo si accentuava sotto l’influenza di Mosca. A partire dal 1963, Cuba cominciò ad utilizzare il manuale sovietico in materia di economia politica e di filosofia, il che influenzò un gran numero di persone. Concetti come l’ateismo scientifico vennero copiati e parecchi rivoluzionari adottarono una posizione antireligiosa.
Questo irrigidimento ideologico non doveva limitarsi alla religione ma si estendeva a tutta la cultura fino a raggiungere un climax durante i cinque anni scuri, dal 1971 al 1976: il “quinquennio grigio”.
Il Consiglio Nazionale della Cultura censura decine di artisti, alcuni di essi vengono fatti oggetto di persecuzione. Che questo succedesse nel momento in cui Cuba si appoggiava fortemente all’Unione Sovietica non era evidentemente frutto del caso. Dopo un fallimento economico nel 1970, il paese era diventato membro del Comecon, il blocco economico dei paesi comunisti. “Il patto con l’Unione Sovietica aveva enormi vantaggi in termini economici, ma c’erano degli svantaggi sul piano ideologico”, doveva dichiarare Fidel.
Fidel, all’epoca, era su un’altra lunghezza d’onda, ma anche in posizione minoritaria.
Nel corso di una visita in Cile nel 1971, egli sostenne un’alleanza tra cristiani e marxisti, non su una base tattica ma strategica, cioè “definitiva”. Sei anni più tardi , egli riproponeva questo messaggio In Giamaica.
Dopo i “cinque anni grigi” si assiste ad un disgelo delle relazioni tra i Protestanti e la rivoluzione. I Protestanti erano, all’epoca, da una parte meno legati all’establishment e, dall’altra, non si erano mai comportati politicamente in modo ostile all’incontro con la lega rivoluzionaria.
Un’apertura doveva aver luogo nel 1984. Quell’anno un pastore nero - Jesse Jackson, candidato alla presidenza degli USA - visita Cuba e Fidel assiste ad un servizio religioso con Jackson. Una rottura con il passato, che fu sottolineata dalla radio e che doveva apparire su tutti i giornali e le riviste possibili e immaginabili.
L’anno dopo il Dominicano brasiliano Frei Betto intervistava Fidel, un’intera giornata, e l’intervista veniva pubblicata in forma di un libro con il titolo “Fidel e la religione”, scatenando, a quel tempo, un piccolo tsunami. Questo libro segna l’arresto all’escalation delle posizioni antireligiose allora correnti tra i marxisti. Alla domanda se la religione è l’oppio dei popoli, egli allora risponde che “può essere una droga o un mezzo meraviglioso a secondo che sia utilizzata per difendersi dagli oppressori e dagli sfruttatori o per essere dalla parte degli oppressori e degli sfruttatori”.
Una visita ufficiale di Fidel Castro in Brasile, nel 1990, fu l’occasione di un importante incontro delle chiese protestanti con Fidel. Questa riunione rappresenta una svolta definitiva per quel che riguarda le relazioni con i dirigenti rivoluzionari. L’anno seguente il partito comunista modificava i suoi statuti, e l’obbligo di essere atei per diventare membro del partito fu tolto dalle condizioni preliminari. La costituzione fu ugualmente modificata e il carattere ateo dello stato fu eliminato, con una nuova legge che rendeva possibile per un cristiano assumere un mandato politico.
Questa fu anche l’occasione per un riavvicinamento con la chiesa cattolica permettendo, allo stesso tempo, di appianare le asperità che potevano sussistere.
Punto culminante di questo processo, la visita nel 1998 del papa polacco, noto per le sue prese di posizione duramente anticomuniste. L’accoglienza a Cuba fu molto calorosa e il papa si espresse contro l’embargo economico degli USA. Era stato dato il tono per gli anni futuri e questo ha permesso alla chiesa di giocare un ruolo di intermediario importante nei negoziati tra USA e Cuba.
Il papa attuale ha agito nello stesso modo per il ristabilimento delle relazioni tra l’Avana e Washington. Non si tratta ancora di una reale normalizzazione delle relazioni, tanto che il blocco resta attuale. Si tratterà di vedere se il papa Francesco si pronuncerà a questo proposito.
Il fatto che egli combini la sua visita nell’isola con quella che farà negli USA è, in ogni caso, un segnale che conta.
(*) Filosofo ed economista belga; autore di numerosi libri sulle relazioni Nord-Sud, America Latina, Cuba e Cina; da: michelcollon.info; 21.9.2015
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S. Giovanni)
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