Riportiamo dalla rivista “nuova unità” di novembre 2015 due interessanti articoli sulla trasformazione delle cooperative che spesso venendo meno ai principi di “solidarietà mutualistica e democratica” licenziano i lavoratori.
Ma quali cooperative?
Nonostante la lotta di resistenza, senza una lotta di classe generalizzata i salari dei lavoratori immigrati e degli italiani verranno sempre più spinti sotto il livello di sussistenza
Michele Michelino
Lo scandalo di Roma capitale in cui le cooperative “rosse” di Buzzi (legate a lega coop) insieme a faccendieri neri (Carminati e camerati) facevano affari sulla pelle di immigrati, rom, ex carcerati ecc in combutta con Istituzioni e amministrazioni di centrodestra e centrosinistra, ha evidenziato agli occhi dell’opinione pubblica una pratica che ormai avveniva da molto tempo.
Le cooperative sociali, nate come forma di organizzazione del movimento operaio contro lo sfruttamento del lavoro bracciantile e proletario proprio nella pianura padana dell’inizio del secolo scorso, hanno subito un radicale cambiamento andando di pari passo con lo sfaldamento dei partiti operai e le organizzazioni sindacali.
Inserendosi e sostenendo la società capitalista i sindacati concertativi, ma ancora più le forze politiche PSI e PCI, a ogni avvicinamento o inserimento nell’area di governo e sottogoverno borghese si sono fatti sostenitori e spesso sono stati promotori, di leggi statali e regionali che hanno cambiato statuti e fini delle cooperative.
Così hanno trasformato le cooperative che oggi non sono più uno strumento nelle mani dei lavoratori ma il mezzo legale con cui dei nuovi padroni travestiti da soci utilizzano una “moderna” forma di caporalato per sfruttare gli altri soci lavoratori, e fare profitti che si intascano.
Ormai in queste false cooperative il rapporto associativo nasconde in realtà una forma di lavoro dipendente più flessibile, precario e sottopagato di quelle tradizionali; e spesso in nero. La socia e il socio lavoratore senza diritti, per esempio non possono ammalarsi perché non vengono pagati, se si infortunano, si ammalano o subentra una gravidanza vengono subito licenziati/e, altro che rapporto mutualistico.
Questo aspetto è particolarmente rilevante nel settore della logistica (ma non solo) dove le condizioni di lavoro di migliaia di operai (si calcolano in circa centomila e forse più) sono a livelli di sfruttamento sono bestiale, in alcuni casi oltre il limite della sopportazione umana.
Il caso di agosto, dei braccianti – una donna italiana e due immigrati - uccisi per la fatica da padroni senza scrupoli che nella ricerca del massimo profitto non hanno esitato a mandare a morte dei lavoratori per due – tre euro l’ora non è un caso isolato.
Questa realtà non e confinata solo in Puglia, nel Casertano o a Rosarno, luoghi venuti alla ribalta attraverso i media nazionali, ma è diffusa su tutto il territorio nazionale.
Attraverso finte comparative che dichiarano fini mutualistici solo sulla carta, i padroni sfruttano i benefici su fisco e costo del lavoro previsti dalle leggi borghesi, come qualsiasi impresa
capitalistica, secondo le regole del mercato, della ricerca del massimo profitto e del comando in azienda.
Nei grandi centri logistici, situati spesso in posti sperduti lavorano degli esseri umani, per la stragrande maggioranza immigrati ma anche italiani super sfruttati, che giorno e notte lavorano
in condizioni disumane per rifornire gli scaffali dei supermercati. Questi lavoratori formalmente, soci di cooperative che dovrebbe partecipare agli utili, in realtà sono lavoratori di serie B
(qualcuno li ha definiti i nuovi schiavi) sono persone, dei proletari, che stanno ancora peggio dei lavoratori dipendenti dell’industria che nonostante i continui attacchi al salario qualche
straccio di diritto ancora lo mantengono. Si calcola che queste imprese cooperative spesso in combutta o in mano alla criminalità organizzata producano un valore aggiunto do oltre di 40 miliardi
di euro, il tre per cento del totale nazionale.
La crisi economica e la latente lotta di classe che cova sotto la cenere è spesso esplosa ed è stata evidenziata in questi ultimi anni dalle lotte che hanno visto questi lavoratori organizzati dai Cobas, aiutati da compagni solidali, scendere in lotta per i loro diritti di lavoratori. Queste lotte hanno rappresentato e rappresentano uno dei pochi episodi di conflitto sociale, di lotta di classe in cui i proletari (immigrati e italiani) combattono insieme per gli stessi interessi senza distinzione di appartenenza nazionale, religiosa, o di etnia.
Nel corso di queste lotte la repressione padronale, statale e poliziesca è stata spesso di una violenza inaudita: pestaggi, manganellate, denunce, arresti, licenziamenti, fogli di via, ritiro dei permessi di soggiorno, espulsione dall’Italia.
E’ questo il prezzo pagato per voler essere trattati con dignità, come operai salariati, esseri umani con gli stessi doveri e diritti di tutti gli altri.
La radicalità delle forme di lotte per raggiungere obiettivi come il contratto di lavoro, un salario contrattuale, non a discrezione del presidente della Cooperative (in realtà il padrone o il suo prestanome) e della logistica, in alcuni casi ha portato a importanti risultati nella lotta economica-sindacale.
In queste lotte sono cresciuti anche politicamente dei compagni che hanno capito che la lotta economica è un aspetto della lotta di classe contro il capitale che sfrutta tutti al di la del colore della pelle e delle nazionalità. Il razzismo – alla base della politica della Lega Nord, di Fratelli d’Italia e tutte le siglette fasciste - salvaguardia il potere dei padroni e dello Stato alimentando la guerra fra poveri e mettendo proletari contro proletari.
Lottare per i propri interessi significa riconoscersi come classe sociale con gli stessi interessi che sono contrapposti a quelli dei nostri padroni. Nonostante la lotta di resistenza, senza una lotta di classe generalizzata i salari dei lavoratori immigrati e degli italiani verranno sempre più spinti sotto il livello di sussistenza. La lotta di questi lavoratori non è solo un episodio della resistenza operaia allo sfruttamento capitalista, ma un esempio di unità di classe internazionale che si deve propagare a livello generalizzato. Lottando fianco a fianco molti hanno capito che Il vero nemico lo abbiamo in casa nostra: sono gli stessi padroni che ci sfruttano entrambi, perché i Consigli di Amministrazione delle varie cooperative che dovrebbero amministrare e gestire la società in realtà si sono trasformati nei nuovi padroni.
Lo sfruttamento bestiale a cui sono sottoposti questi lavoratori porta enormi vantaggi ai suoi padroni.
Ad Ancona, il 20 luglio 2015 il presidente di Legacoop nazionale, Mauro Lusetti, ha illustrato le motivazioni della campagna "Stop false cooperative", promossa dall'Alleanza delle Cooperative Italiane per una legge di iniziativa popolare contro le false cooperative. In una conferenza stampa che si è svolta al margine della direzione regionale di Legacoop Marche ha affermato: "Nel mercato pulito e trasparente, le persone oneste ovviamente vincono. In un mercato opaco, chi è più furbo può avere diritto di cittadinanza e questo in un Paese civile non può esistere. La lotta contro le false cooperative, ancor prima che un dato economico, è un dato di civiltà sociale, di opposizione all'illegalità e per un mercato pulito e trasparente". Le stesse parole sono state ripetute sui maggiori mass-media nazionali, stampa, TV ecc.
Belle parole, non c’e dubbio. Solo che nella pratica spesso le stesse cooperative legate a Legacoop si comportano al pari delle altre false cooperative per cui sorge legittimo il dubbio che in realtà si voglia solo far fuori la concorrenza. Un esempio per tutti ed è solo l’ultimo caso, è quello di ABITARE Società Cooperativa con sede in Milano, una delle più grosse cooperative abitative a società indivisa e mista, con più di 8000 soci che recentemente ha deciso di esternalizzare alcuni servizi, licenziando una lavoratrice comportandosi come qualsiasi società privata o come le “false cooperative” che si dice di voler combattere.
COOPERATIVA ABITARE licenzia e concilia in Tribunale
Paga ad una lavoratrice 16 mensilità
Il 9 settembre scorso, in occasione dell’udienza davanti al giudice del lavoro di Milano che doveva decidere nel merito sul licenziamento di una lavoratrice che è anche socia della Cooperativa ABITARE, il giudice dott. Martello ha invitato le parti a conciliare affermando che in caso contrario sulla base delle carte in suo possesso avrebbe deciso subito la sentenza.
Le parti dopo essersi consultate con i loro avvocati (per la Cooperativa ABITARE erano presenti il Presidente Silvio Ostoni e l’avvocato Alessandro Costa, per la lavoratrice licenziata l’avvocato Sergio Romanotto) hanno firmato un verbale di conciliazione, trovando un accordo che mette fine a un contenzioso che da mesi vedeva contrapposti il Consiglio di Amministrazione di ABITARE Società Cooperativa da una parte e la lavoratrice licenziata (sostenuta dal sindacato CUB e da un gruppo di soci della Cooperativa ABITARE).
La conciliazione comporta una transazione economica. In cambio di una rinuncia a impugnare il licenziamento da parte dell’ex lavoratrice ora disoccupata, la Cooperativa paga un importo lordo pari a 45000 euro (circa16/17 mensilità lorde). L’accordo prevede anche la compensazione delle spese legali, soldi che - insieme alle parcelle degli avvocati - dovranno uscire dalle tasche dei soci di Abitare, mentre l’avvocato dell’ex lavoratrice licenziata e del sindacato, per vincolo di solidarietà non ha richiesto compensi per non pesare né sull’ex lavoratrice licenziata né sui soci della cooperativa.
Prima dell’accordo, una decina di soci di ABITARE che nei mesi scorsi hanno raccolto oltre 300 firme contro il licenziamento hanno portato la loro solidarietà alla socia ex lavoratrice sostando davanti all’ufficio del giudice all’interno dello scintillante nuovo Tribunale del Lavoro di Milano (inaugurato da pochi mesi).
L’opposizione al licenziamento della dipendente che è anche socia della cooperativa che si era già evidenziato più volte in assemblee si è formalizzato per iscritto il 4 giugno scorso in occasione dell’Assemblea Generale della Cooperativa che doveva votare il bilancio, anche perché nel frattempo si sono fatte nuove assunzioni.
Come si legge nel Verbale dell’Assemblea Generale Ordinaria dei Soci del 4 giugno 2015 (pag. 301): “Il socio ……...riprende la relazione al Bilancio citando i fatti avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio, più precisamente riguardo al licenziamento di una dipendente e si dichiara contrario alle esternalizzazioni, cita inoltre il cambio del servizio di assistenza fiscale e pensa che nel lungo periodo queste esternalizzazioni andranno ad aumentare i costi della Cooperativa e si riverseranno quindi sui Soci oltre che spianare la strada ad ulteriori licenziamenti ed esternalizzazioni, ad esempio dei custodi. Presenta infine una mozione scritta al Presidente dell’assemblea, di cui si riporta il con tenuto integrale:
Il licenziamento della socia-lavoratrice Paola C. (cui va la solidarietà di numerosi soci per il lavoro svolto con diligenza e professionalità) e l’esternalizzazione di alcuni servizi ai soci giustificato dal CdA di Abitare con la motivazione della riduzione dei costi, sono in contrasto con i principi e gli scopi sociali della Cooperazione e in ogni caso ci trovano in disaccordo.
In realtà queste scelte comporteranno nel medio periodo un aggravamento delle spese e dei costi di gestione e rischiano di spianare la strada ad altri licenziamenti di personale che sono anche soci della cooperativa.
Pertanto i soci che sostengono questa mozione riuniti nell’assemblea per l’approvazione del bilancio sociale di Abitare chiedono al CdA di ritirare il licenziamento e impegnarsi per trovare un accordo con la lavoratrice-socia nell’interesse di entrambi le parti e di tutti i soci della cooperativa. Per il contenzioso davanti al giudice i soci potrebbero dover pagare oltre al danno morale e materiale provocato alla lavoratrice, anche avvocati spese legali altro ancora per scelte sbagliate fatte dal CdA.
Per ridurre i costi di gestione e le spese, nell’interesse di tutti esistono altre strade.
La mozione contro licenziamento, fu bocciata dal Presidente dell’Assemblea Roberto Camagni (ex vicesindaco di Milano) con la motivazione che: “La mozione non può essere posta in votazione, in quanto l’assemblea deve votare solo ed esclusivamente sui punti iscritti nell’ordine del giorno”.
In più occasioni, durante le assemblee, diversi soci di ABITARE si sono espressi CONTRO I LICENZIAMENTI E ESTERNALIZZAZIONI, affermando pubblicamente che queste scelte politiche economiche non fanno altro che indebolire una Cooperativa che – nei suoi principi - e una Cooperativa solidale, mutualistica e democratica, chiedendo il reintegro nel suo posto di lavoro della lavoratrice licenziata e il blocco di ogni esternalizzazione. Obiettivi in linea con la campagna partita nei mesi scorsi contro “le forme sleale di concorrenza” promossa da Legacoop dal titolo “STOP FALSE COOPERATIVE” .
Il presidente di Legacoop nazionale, Mauro Lusetti, illustrando le motivazioni della campagna "Stop false cooperative", promossa dall'Alleanza delle Cooperative Italiane per una legge di iniziativa popolare contro le false cooperative, in conferenze stampa e in TV ha più volte affermato: “Nel mercato pulito e trasparente, le persone oneste ovviamente vincono. In un mercato opaco, chi è più furbo può avere diritto di cittadinanza e questo in un Paese civile non può esistere. La lotta contro le false cooperative, ancor prima che un dato economico, è un dato di civiltà sociale, di opposizione all’illegalità e per un mercato pulito e trasparente”, un dato valido per tutte le vere Cooperative.
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