Anno terzo (dopo Chàvez), con una Patria Grande orfana
di Aram Aharonian (*)
Tre anni fa moriva Hugo Chàvez, l’uomo che ha cambiato il cammino del Venezuela e dell’America Latina, a cui bastò pronunciare due parole nel 1992 per entrare nella storia del Venezuela e trasformarsi in un nuovo referente politico. Le immagini televisive, di appena 1 minuto e 15 secondi, trasmesse alle 10.30 del 4 febbraio 1992 diedero alla posterità il suo riconoscimento del fallimento del tentativo rivoluzionario, “per adesso”.
Il cancro mise fine alla sua vita mentre stava per cominciare il terzo mandato e diede inizio al mito. Tre anni fa scrivevo del dolore per la morte di chi mi aveva onorato della sua amicizia. Non importava il mio, ma l’immenso dolore di tutto un popolo desolato nelle strade. Ma, come diceva Alì Primera, il cantautore rivoluzionario venezuelano, quelli che muoiono per la vita non si possono dire morti.
Il sognatore, a volte ingenuo, chiacchierone, il guerriero, quello che aveva sempre voluto essere un giocatore di baseball, quello dagli occhi vivaci, giocherelloni, viso da malandrino, da pavone burlone, che soffrì anche la solitudine del potere, che seppe combinare il pensiero politico ed ideologico con il pragmatismo, se n’è andato all’improvviso, quando più avevamo bisogno di lui. “Ci sono nella vita colpi così forti … Non so!”avrebbe detto César Vallejo.
Il Venezuela non è lo stesso di tre anni fa. La Rivoluzione Bolivariana passa per il suo peggior momento, ma non è sconfitta nonostante la destabilizzazione interna ed esterna. Ma la strada per uscire dalla crisi non sembra essere una sola e dal cammino che si prenderà dipende il suo futuro. Il governo di Nicolàs Maduro propende per le soluzioni a medio-lungo termine, ma la piazza ha urgenze immediate.
I gravi problemi di approvvigionamento di prodotti di prima necessità a prezzi regolati sono ormai endemici. E da almeno un anno colpiscono specialmente un’area molto delicata: i medicinali. Alla già nota assenza di medicinali specifici per le malattie croniche si aggiunge ora l’assenza di qualsiasi antibiotico e antiallergico, tra gli altri.
Negli ultimi due anni l’opposizione di destra è riuscita a mantenere un clima di ansietà e di angoscia nel paese con i suoi propositi nell’Assemblea Nazionale (dove ha la maggioranza), sfinendosi in attacchi e iniziative estranee ai problemi concreti dei cittadini: mancanza di alimenti e medicine, carestia, inflazione, insicurezza. Continua ad essere senza idee né proposte da offrire alla cittadinanza.
Ci sono quelli che avvertono che il Venezuela potrebbe trovarsi in un momento in cui si può dare un giro rivoluzionario, anche se questa prospettiva manca di direzione e/o di guida. Il timore è verso un popolo cosciente e forse per questo alcuni leaders della MUD dichiarano che andare adesso al governo sarebbe un serio problema di governabilità … e si infognano nella proposta di destituire il governo attuale.
L’intellettuale Luis Britto Garcìa ci ha dato un brillante testo metaforico (Titanic) che interpreta il sentimento di ansietà che i suoi connazionali soffrono. La nave – che apparentemente non poteva naufragare – si trova di fronte ad un iceberg e alla possibilità di affondare. Si parla, si creano commissioni, si danno ordini, ma il pericolo resta lì, soprattutto perché sembra non si sia capita completamente la necessità di cambiare radicalmente la rotta che si segue e che potrebbe finire con l’inabbissarsi della nave.
Le gesta chaviste
Il Venezuela, l’America Latina e i Caraibi, la regione più disuguale del mondo, non sono gli stessi dopo Hugo Chàvez, che sparse sul pensiero latinoamericano la percezione che le urgenti trasformazioni strutturali non solo erano ormai necessarie, ma anche perfettamente possibili.
Hugo Chàvez, la locomotiva che spinse la costruzione quotidiana della Patria Grande, quella dei popoli,lasciò tre anni fa una patria orfana. Furono 14 anni che trasformarono il Venezuela ma anche la Nostra America. Egli simbolizza l’emergenza del pensiero regionale emancipatorio del cambiamento di epoca, con critiche anticapitaliste di segno marxista, con una concezione umanista che riscattò l’idea del socialismo come orizzonte utopico.
Egli fu colui che ebbe chiaro che le nostre grandi masse, quelle rese invisibili dalle élites e dai media egemonici, non erano solo oggetti ma si potevano trasformare in soggetti della politica e osò quello che molti consideravano (o credevano) impossibile, come scontrarsi con l’imperialismo, o rompere con le buone abitudini della democrazia formale e liberista, istituzionale e declamatoria, capendo che bisognava dare potere ai poveri, dando loro accesso all’educazione, alla casa, alla salute per tutti.
Chàvez comprese che bisognava passare da una tappa di più di 500 anni di resistenza ad una di costruzione delle nazioni sovrane, di una vera democrazia partecipativa, di costruzione del potere popolare, tramite una rivoluzione con mezzi pacifici, avanzando verso l’integrazione e l’unità dei nostri popoli – e non del nostro commercio – attraverso la complementazione, la cooperazione e la solidarietà, lontani dai diktat del Consenso di Washington.
Egli capì bene quello che diceva Simòn Rodrìguez, il maestro di Bolìvar: è necessario crearsi un simbolo ideologico proprio. E Chàvez lo pensò basato su uno Stato efficace, che regoli, spinga, promuova il processo economico, la necessità di un mercato, ma che sia sano e non monopolizzato né oligopolizzato, e l’uomo, l’essere umano. Nella sua proposta di rottura con il capitalismo egemonico appare un modello umanista con basi marxiste e questo risponde alla pretesa e alla necessità della costruzione di un modello ideologico proprio, da guardare con occhi venezuelani e latinoamericani.
“La democrazia (formale) è come un mango, se fosse verde sarebbe maturata. Ma è marcita e quello che bisogna fare è prenderla come un seme, che ha il germe della vita, seminarla, concimarla perché cresca una nuova pianta ed una nuova situazione, in un Venezuela diverso”, era solito dire.
Per più di un decennio, in America Latina siamo passati per un nuovo momento storico, quello della ricerca delle strade per superare il neo-liberismo. Il Venezuela, per mano di Hugo Chàvez, è stato l’avanguardia e ha creato le condizioni perché altri si muovessero. Senza la locomotrice Chàvez, il processo di integrazione regionale, basato sulla complementarietà e la solidarietà sviluppate dal governo bolivariano nell’ultimo decennio, abbiamo cercato di seguire la stessa rotta.
I successi della pacifica, sui generis, irriproducibile Rivoluzione Bolivariana sconfiggono il mito della povertà dell’America Latina e del Caraibi. Per ottenerli basta destinare ad obiettivi sociali le ricchezze di cui prima beneficiavano solo le élites e le società multinazionali.
Chàvez potenziò la partecipazione politica e sociale mediante l’impulso della democrazia partecipativa, e mise insieme i movimenti sociali con lo Stato e i partiti, attraverso le Missioni.
Nel 1999, quando salì al potere, il paese “ostentava” un 62% di povertà e un 24% di povertà critica, vergognosi indicatori di abbandoni scolastici, morti alla nascita, mortalità delle madri, denutrizione generalizzata. E, nonostante errori e ritardi su aspetti come le cooperative e le comuni, il Venezuela raggiunse risultati spettacolari: raggiunse anticipatamente sei delle otto Mete del Millennio, il cui compimento l’Onu aveva fissato per il 2015. In Venezuela ha attualmente il minor Indice di Gini di Disuguaglianza dell’America Latina capitalista.
In meno di un decennio il Venezuela sradicò la povertà estrema; ottenne che andasse a scuola il 95% dei bambini in età scolare; avanzò più del 79% nell’uguaglianza di genere e nel potere sociale della donna; combattè efficacemente il paludismo, l’AIDS e altre malattie e garantì la sostenibilità dell’ambiente (vietò anche una legge che avrebbe permesso la privatizzazione di fiumi, laghi e lagune).
Con la Missione Barrio Adentro e altre iniziative garantì l’assistenza medica nelle zone povere, creò un sistema pensionistico che copre tutti gli anziani e garantì a questi il trasporto pubblico gratuito. Si tratta di dare potere ai poveri, includerli per la prima volta nella storia nell’accesso alla nutrizone, alla salute, all’educazione, trasformando i cittadini in soggetti (e non in meri oggetti) della politica, capaci di scegliere il proprio destino.
Dall’aprile del 2002 l’oligarchia locale e gli Stati Uniti puntano continuamente su un golpe (prima di Stato, poi morbido, sempre mediatico) per strappare al paese la sua industria principale, Petròleos de Venezuela, che utilizzava direttamente le sue risorse in una spesa sociale di circa il 64% del PIL. Ma non solo questo: il governo boliariano recupera imprese strategiche (elettricità, telefonia, siderurgica e alluminio) privatizzate nella IV Repubblica neoliberista. Espropria latifondi e sviluppa cooperative, imprese recuperate, comuni e fondi zamorani (unità di produzione agroalimentari inseriti nei piani di sviluppo rurale e di sicurezza alimentare coordinati dallo Stato, n.d.t.) come unità produttive di proprietà sociale.
Senza dubbio l’attuale guerra economica pianificata e organizzata dall’oligarchia mercantile e finanziaria per rovesciare la Rivoluzione Bolivariana e appropriarsi della totalità della rendita petrolifera è, semplicemente, una nuova fase della lotta di classe in Venezuela.
Come forse aveva cercato di fare trent’anni prima Salvador Allende in Cile, Chàvez scommette sulla via pacifica al socialismo, e questa strada è continuamente bombardata (per fortuna senza successo) dalla destra locale, latinoamericana e globalizzata, con tentativi di golpe, destabilizzazione e sabotaggio economico, violenza, continuo terrorismo mediatico e omicidi.
Chàvez sconfisse almeno tre miti: quello della fine della storia e delle ideologie (nella nostra regione la storia è appena cominciata), l’incompatibilità dei militari con la democrazia e il “sessantottismo” che alle masse non interessa il socialismo. La Costituzione socialista fu approvata per referendum con il 72% dei voti, mettendo in marcia quella democrazia partecipativa con “solo” 17 consultazioni elettorali in meno di tre lustri.
Chàvez segnalava che la base per costruire una società socialista è formata dai collettivi sociali, dal Potere Popolare, che devono essere capaci di partecipare come protagonisti e coscientemente alla costruzione di tale società e – di conseguenza – alle lotte per sconfiggere la povertà, la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale, l’individualismo e l’egoismo, che sono gli anti-valori sui quali si regge il sistema capitalista e il dispotismo neoliberista.
A differenza di altri paesi latinoamericani, lì esercito venezuelano è poli.classista. Anche gruppi di suoi ufficiali si unirono alla guerriglia degli anni ’60 e furono protagonisti di rivolte rivoluzionarie. Chàvez seppe ravvivare la coscienza nazionalista dei militari impedendo così che nel 1999, con la scusa della catastrofe naturale avvenuta nello Stato di Vargas, i marines entrassero su suolo venezuelano. “Che truppe gringas calpestino la patria di Bolìvar è già un affronto; l’altro è che potremmo scacciarli solo con una guerra” prevedeva.
La Forza Armata Nazionale Bolivariana, a fronte delle proposte antimperialiste e anticapitaliste spinte da Chàvez, prese una posizione storica in base al sentimento di responsabilità per i fatti funesti del Caracazo del 27 e 28 febbraio 1989.
Il governo bolivariano, inoltre, diversificò l’acquisto di armi per evadere il blocco degli USA, e creò una riserva di un milione di effettivi.
Chàvez, che non aveva una formazione di sinistra tradizionale, non credette mai che esistessero temi proibiti. Dimostrò che la demoralizzazione avvenuta dopo le sconfitte di Jacobo Arbenz, Salvador Allende, Juan Velasco Alvarado, Omar Torrijos e Joao Goulart tra gli altri, aveva ampie possibilità di rettificazione storica e iniziò una diplomazia latinoamericana con la sconfitta dell’ALCA, l’impulso all’ALBA, alla Unasur e alla CELAC e l’ingresso del Venezuela nel Mercosur. In nessuna di queste istituzioni partecipano gli Stati Uniti e il Canada, i veri padroni dell’OEA.
Fu il Venezuela bolivariano quello che favorì il passaggio dal mondo unipolare a quello multipolare: ri-potenziò l’Organizzazione dei Paesi Esortatori di Petrolio e ridiede nuovamente valore al prezzo degli idrocarburi; aiutò il processo di pace in Colombia e denunciò i trattati che subordinavano la sovranità nazionale a organismi come il Ciadi, l’Organizzazione Mondiale del Commercio e la Commissione Interamericana dei Diritti Umani.
Oggi il Venezuela è il terzo paese “lettore” della regione. Sradicò l’analfabetismo tramite la Missione Robinson. L’82% dei venezuelani legge qualsiasi materiale; il 50,2% libri; uno ogni tre venezuelani studia: uno ogni nove segue l’educazione superiore grazie al fatto che le scuole secondarie e le università bolivariane gratuite rimediano all’esclusione per la cronica mancanza di fondi o per le alte tasse delle istituzioni cattoliche e private.
Il 20 ottobre 2012 Chàvez lasciò le sue istruzioni: il “Colpo di Timone”, per il periodo 2013-2019, dove insisteva sulla necessità di un potere popolare che disarticolasse la trama di oppressione politica, lo sfruttamento del lavoro e la dominazione culturale. “L’autocritica è per rettificare, non per continuare a agire nel vuoto, o gettandola nel vuoto. E’ per agire ora, signori ministri, signore ministre”, segnalava, esortandoli a dare un colpo di timone.
Chàvez segnalò la necessità del dibattito di fondo per affrontare la logica della cosiddetta istituzionalizzazione della Rivoluzione e i suoi effetti di spostamento a destra e di burocratizzazione: “Qualcuno deve organizzare un grande foro sulla via al Socialismo. Là si discuterà, per esempio: si può arrivare al Socialismo in presenza del capitalismo? Si può separare la relazione economica dalla formazione della coscienza del Dovere Sociale, fondamento del Socialismo? Si possono “costruire” nuovi uomini d’affari capitalisti senza coscienza capitalista, come alcuni propongono? L’assenza di discussione ci porta al fallimento”.
Già il Che Guevara aveva denunciato i vani tentativi di “costruire il socialismo con le armi spuntate del capitalismo: proprietà privata, mercato, denaro, merce, competitività”.
A tre anni dalla sua morte ed in piena offensiva neo-conservatrice, la domanda sospesa nell’aria è se l’America latina e i Caraibi sarebbero differenti, con la presenza di quella locomotiva dei processi di integrazione, di sovranità dei nostri popoli, di dignità.
Come ci manchi, comandante!
(*) Giornalista e direttore generale di TeleSur.; da: rebelion.org; 7.3.2016
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S. Giovanni)
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