Fidel Castro nel suo novantesimo compleanno
Il miglior omaggio a Fidel: guardare nella sua stessa direzione
di Marta Harnecker (*)
Più di mezzo secolo fa, mentre nelle case latinoamericane si celebrava l’inizio del nuovo anno, succedeva una buona cosa a Cuba: un esercito guerrigliero, con base sociale contadina, trionfava nell’isola caraibica liberando il paese dalla tirannia batistiana. Si inaugurava così un processo politico che pretendeva non solo di rovesciare un dittatore ma di seguire una linea coscientemente rivoluzionaria: trasformare profondamente la società a beneficio delle grandi maggioranze.
Questo trionfo delle forze popolari, guidate dal Movimento 26 Luglio e dirette dal giovane avvocato Fidel Castro Ruz, risvegliò la simpatia della maggior parte della sinistra occidentale, ma in particolar modo della sinistra dell’America Latina. Era una luce che si affacciava nell’oscuro ambiente conservatore che si viveva allora nel sub-continente.
Aveva rotto con due tipi di fatalismo molto diffusi nella sinistra latinoamericana: uno geografico e l’altro militare. Il primo affermava che gli Stati Uniti non avrebbero tollerato una rivoluzione socialista nella loro area strategica e Cuba trionfava molto vicino alle sue coste. Il secondo sosteneva che, data la sofisticazione che gli eserciti avevano raggiunto, non era più possibile vincere un esercito regolare, ma la tattica guerrigliera impiegata dai rivoluzionari dimostrò che era possibile indebolire l’esercito nemico fino ad arrivare a sconfiggerlo.
Era logico, allora, che – dopo il trionfo cubano – il tema della lotta armata passasse ad essere il tema centrale della discussione della sinistra della nostra regione. Ma dietro le armi e la tattica guerrigliera c’era molto di più; esisteva tutta una strategia politica costruita ed abilmente applicata da Fidel, senza la quale non si può spiegare la suddetta vittoria.
Il massimo dirigente cubano capì molto bene che la politica non poteva essere l’arte del possibile – una visione conservatrice della politica – ma l’arte di costruire una correlazione di forze sociale, politica e militare che permettesse di trasformare quello che sembrava impossibile in quel momento in qualcosa di possibile nel futuro.
Ho selezionato, come contributo a questa rivista, le conclusioni del mio libro La strategia politica di Fidel. Dal Moncada alla vittoria (1) perché le considero di assoluta attualità.
La prima di queste si riferisce al nemico immediato e all’ampiezza del fronte politico. Lì segnalo le grandi lezioni che si possono apprendere dall’enorme flessibilità tattica che Fidel impiegò per costruire l’ampia alleanza di tutte le forze anti-batistiane. Il leader cubano capì che per ottenere il trionfo contro il dittatore era necessario unire il massimo di forze sociali e così, passo per passo, costruì l’unità non solo con le classi e i settori rivoluzionari ma anche con settori riformisti e, ancora, con quei settori reazionari che avessero la minima contraddizione con il dittatore. Per ottenere questo obiettivo dovette ripiegare su molti aspetti, ma mai su questioni di fondo: non accettò mai una possibile ingerenza straniera per facilitare le cose, né l’utilizzo di un golpe militare con gli stessi obiettivi, né l’esclusione di alcuna forza rappresentativa di alcun settore del popolo.
La seconda si riferisce ai criteri che usò per costruire l’unità delle forze rivoluzionarie. In questa parte del testo segnalo gli insegnamenti che possiamo trarre dalla sua stessa pratica e dai suoi discorsi. Nessuno quanto lui lottò per l’unità, trasformandola in un pilastro della sua strategia politica prima e dopo la vittoria. Fidel preferì evitare le discussioni teoriche per incentrare la sua energia nell’applicare una strategia politica corretta; egli era convinto che sarebbe stata la pratica a risolvere, con meno guasti interni, le differenze ideologiche e politiche dei diversi gruppi rivoluzionari.
Per finire questa piccola presentazione, voglio ricordare una frase di Antoine de Saint-Exupéry: “Amare non è guardarsi l’uno con l’altro; è guardare insieme nella stessa direzione”.
Penso che la più grande espressione di amore e il più grande omaggio che possiamo fare a Fidel nel suo 90° compleanno sia guardare nella sua stessa direzione.
Marta Harnecker
Fidel: La strategia politica della vittoria (Selezione)
Conclusioni
1. Il nemico immediato e l’ampiezza del fronte politico
La strategia seguita da Fidel per formare il blocco di forze sociali che permise il rovesciamento di Batista e in seguito la marcia verso il socialismo ci fornisce grandi lezioni.
Nonostante che il dirigente cubano sapesse perfettamente che le uniche forze rivoluzionarie conseguenti erano solo quelle che formavano il suo concetto di “popolo”, sapeva anche che le classi dominanti contavano su mezzi molto potenti per mantenere il regime vigente, tra cui l’appoggio del paese imperiale più potente del mondo.
Suo grande merito storico è stato aver saputo definire con chiarezza qual era l’anello decisivo che avrebbe permesso di afferrare tutta la catena e così far avanzare la rivoluzione, e questo non era altro che la lotta contro Batista ed il regime da lui incarnato. Era necessario unire il massimo delle forze sociali per rovesciare la tirannia, unire non solo le classi ed i settori rivoluzionari ma anche i settori riformisti e persino quei settori reazionari che avessero la più piccola contraddizione con il dittatore.
E’ per questo che nel programma del Moncada si prevedevano solo misure di tipo “democratico-borghese” e anche se si proponevano misure che avrebbero colpito gli interessi nordamericani non si fece mai una dichiarazione formale antimperialista. Poi, nel Patto della Sierra, come abbiamo già visto, sparirono anche le misure relative alle nazionalizzazioni, per finire con il Patto di Caracas, con un programma minimo ridotto alle misure più essenziali: castigo dei colpevoli, difesa dei diritti dei lavoratori, ordine, pace, libertà, compimento degli impegni internazionali e ricerca del progresso economico, sociale e istituzionale del popolo cubano.
Ciò su cui Fidel non cedette mai fu nelle questioni di fondo, le uniche che potevano rallentare lo sviluppo del processo rivoluzionario, e queste furono: la non accettazione dell’ingerenza straniera, il rifiuto del golpe militare e il rifiuto a formare un fronte che escludesse qualche forza rappresentativa di un settore del popolo.
Le linee più generali circa la necessità di formare un ampio fronte antimperialista e antioligarchico vennero espresse nella 2° Dichiarazione dell’Avana, il 4 febbraio 1962. Per questo, dodici anni dopo, preoccupato per la divisione delle forze democratiche e progressiste del Cile e, in concreto, per l’assenza di criteri comuni all’interno della stessa Unità Popolare (fronte politico che appoggiava Allende), in un momento in cui già l’offensiva delle forze reazionarie era evidente, decide di ricordare quelle parole. E lo fa, giustamente, nella parte finale del suo discorso di commiato, dopo aver visitato il Cile per varie settimane, il 2 dicembre 1971.
Vediamo cosa dice al riguardo:
“L’imperialismo, utilizzando i grandi monopoli cinematografici, le sue agenzie di notizie, le sue riviste, libri e giornali reazionari, arriva alle menzogne più sottili per seminare il divisionismo e inculcare tra la gente più ignorante la paura e la superstizione verso le idee rivoluzionarie, che possono e devono spaventare solo gli interessi dei potenti e degli sfruttatori e i loro secolari privilegi.
“Il divisionismo, prodotto di ogni tipo di pregiudizi, idee false e menzogne; il settarismo, il dogmatismo, la mancanza di ampiezza per analizzare il ruolo che corrisponde a ogni gruppo sociale, ai suoi partiti, alle sue organizzazioni e ai suoi dirigenti, mettono in difficoltà l’unità di azione imprescindibile tra le forze democratiche e progressiste dei nostri popoli. Sono vizi di crescita, malattie dell’infanzia del movimento rivoluzionario che devono restare indietro. Nella lotta antimperialista e antifeudale è possibile organizzare l’immensa maggioranza del popolo verso mete di liberazione che uniscano lo sforzo della classe operaia, dei contadini, dei lavoratori intellettuali, della piccola borghesia e degli strati più progressisti della borghesia nazionale. Questi settori comprendono l’immensa maggioranza della popolazione e agglutinano grandi forze sociali capaci di spazzar via il dominio imperialista e la reazione feudale. In questo ampio movimento possono e devono lottare uniti per il bene delle loro nazioni, per il bene dei loro popoli e per il bene dell’America, dal vecchio militante marxista fino al cattolico sincero che non abbia nulla a che vedere con i monopoli yankee e i signori feudali della terra.
“Questo movimento potrebbe trascinare con sé gli elementi progressisti delle forze armate, umiliate anche dalle missioni militari yankee, dal tradimento degli interessi nazionali delle oligarchie feudali e dall’immolazione della sovranità nazionale ai diktat di Washington.”.
“Queste idee – dice – furono espresse 10 anni fa e non si discostano di un millimetro dalle idee di oggi.” (2).
Ma questa ampia politica delle alleanze che Fidel aveva in mente dagli inizi, e in cui c’era una preoccupazione speciale per recuperare il massimo di elementi dell’apparato repressivo dello stato (ricordare le parole dirette ai militari e ai giudici nella sua autodifesa), fu sviluppata seguendo, a sua volta, determinate considerazioni strategiche. Fidel cerca in primo luogo l’unità delle forze rivoluzionarie ed è solo dopo aver realizzato uno sforzo in questo senso che progetta un’unità più ampia. E’ importante qui osservare che la non piena realizzazione dell’unità tra rivoluzionari non lo ferma nella sua avanzata verso l’unità più ampia. Ma fa passi concreti verso di essa quando il Movimento 26 Luglio è riuscito a costituirsi in una forza rispettabile e la sua strategia di lotta è stata provata con successo nella pratica, cioè quando è riuscita a raggiungere una ripercussione decisiva sullo scenario politico. Diversamente si corre il rischio, come già segnalavamo, di rimanere alla coda delle forze borghesi.
Riflettendo, nel dicembre del 1961, sul processo di unità con le forze borghesi e concretamente sulla rottura del Patto di Miami, dice:
“… Rimanemmo soli ma realmente in quel momento valeva diecimila volte camminare da soli che male accompagnati.
“… perché in quell’epoca, quando noi eravamo centoventi uomini armati, non ci interessava quell’unità ampia con tutte le organizzazioni che si trovavano in esilio e, tuttavia, in seguito, quando già noi avevamo migliaia di uomini, allora ci interessava l’unità ampia? Molto semplice: perché quando eravamo centoventi uomini l’unità avrebbe fornito un’aperta maggioranza agli elementi conservatori e reazionari o rappresentanti di interessi non rivoluzionari, anche se erano contro Batista. E in quell’unione noi eravamo una forza molto ridotta. Ma, quando alla fine della lotta ormai tutte quelle organizzazioni si erano convinte che il movimento marciava vittoriosamente in avanti e che la tirannia sarebbe stata sconfitta, (e) erano interessate all’unità, noi eravamo ormai una forza decisiva all’interno di quella unità.” (3).
2. Criteri sull’unità delle forze rivoluzionarie
In relazione alla conformazione dell’unità delle forze rivoluzionarie, Fidel fornisce alcuni criteri di grande interesse in una conversazione con studenti cileni nel 1971:
“L’ideale in politica è l’unità dei criteri, l’unità delle forze, l’unità del comando come in una guerra. Perché una rivoluzione è questo: è come una guerra. E’ difficile concepire la battaglia se si sta nel mezzo di essa con dieci comandi diversi, dieci criteri diversi, dieci dottrine militari differenti e dieci tattiche. L’ideale è l’unità. Ora, questo è l’ideale. Il reale è un’altra cosa. E credo che ogni paese deve abituarsi a condurre la sua battaglia nelle condizioni in cui si trova. Non ci può essere un’unità totale? Bene, andiamo a cercare l’unità su questo criterio, su quest’altro e su quell’altro. Bisogna cercare l’unità di obiettivi, l’unità in determinate questioni. Visto che non si può realizzare l’ideale di un’unità assoluta in tutto, mettersi d’accordo su una serie di obiettivi.
“Il comando unico – se si vuole – lo stato maggiore unico, questo è l’ideale, ma non il reale. E quindi bisognerà adattarsi alla necessità di lavorare con quello che c’è, con il reale.” (4).
Riguardo al processo di unificazione delle forze rivoluzionarie, possiamo trarre tre grandi lezioni dall’esperienza cubana:
La prima, già espressa nelle parole di Fidel precedentemente citate: è necessario che i dirigenti rivoluzionari abbiano come preoccupazione centrale l’avanzare nel processo di unità delle forze rivoluzionarie e per questo non bisogna partire dalle mete massime ma dalle mete minime. Un esempio di questo è il Patto del Messico tra il Movimento 26 luglio e il Direttorio Rivoluzionario.
La seconda: ciò che più favorisce l’unificazione delle forze rivoluzionarie è la messa in pratica di una strategia che dimostri di essere la più corretta nella lotta contro il nemico principale. Se questa produce frutti soddisfacenti si andranno ad unire ad essa durante la lotta, nel momento del trionfo o nei mesi o anni successivi, il resto delle forze veramente rivoluzionarie.
Se l’unità a tutti i livelli si realizza prematuramente, prima che siano sufficientemente mature tutte le condizioni per questo, quello che può succedere è che o si arrivi a formare un’unità puramente formale che tende a cadere a pezzi davanti al primo ostacolo che appare sul cammino, o si può produrre l’inibizione di strategie corrette rappresentate da gruppi minoritari che, in favore dell’unità, decidono di rinunciarvi per sottomettersi al criterio della maggioranza, con le conseguenze negative che questo avrà per il processo rivoluzionario nel suo insieme.
E, terzo, cosa molto importante per realizzare l’unità durevole delle forze rivoluzionarie – e di cui Fidel è sempre stato il massimo promotore – valorizzare in modo corretto l’apporto di tutte le forze rivoluzionarie senza fissare quote di potere né in relazione al loro grado di partecipazione al trionfo della rivoluzione né in relazione alla quantità di militanti che ogni organizzazione ha. Cioè, stabilire l’uguaglianza di diritti di tutti i partecipanti, combattendo qualsiasi “”complesso di superiorità” che possa presentarsi in alcune delle organizzazioni che formano l’unità.
I contributi più importanti di Fidel su questo tema si producono nella sua lotta contro il settarismo, particolarmente nel cosiddetto primo processo a Escalante, nel marzo 1962, quando Anìbal Escalante, segretario di organizzazione delle ORI (Organizzazioni Rivoluzionarie Integrate, n.d.t.) – primo sforzo per istituzionalizzare l’unità delle forze rivoluzionarie dopo il trionfo della rivoluzione – comincia ad occupare tutti i posti e le funzioni con “vecchi militanti marxisti”, il che a Cuba non voleva dire altro che essere dei militanti del PSP, unico partito marxista prima della rivoluzione.
Invece di promuovere un’organizzazione libera di rivoluzionari, si stava creando una “cinghia”, una “camicia di forza”, un “giogo”, “un esercito di rivoluzionari addomesticati e ammaestrati”. Fidel insiste, in quel momento, sul fatto che è necessario combattere sia il settarismo “della Sierra” che il settarismo “dei vecchi militanti comunisti marxisti”.
E al riguardo sostiene:
“La rivoluzione è al di sopra di tutto quello che ognuno di noi ha fatto: è al di sopra ed è più importante di ognuna delle organizzazioni che c’erano qui, Ventisei, Partito Socialista Popolare, Direttorio, tutto. La rivoluzione in se stessa è molto più importante di tutto questo.
“Che cos’è la rivoluzione? La rivoluzione è un grande tronco che ha le sue radici. Queste radici, partendo da punti diversi, si sono unite in un tronco; il tronco comincia a crescere. Le radici hanno importanza, ma quello che cresce è il tronco di un grande albero, di un albero molto alto, le cui radici vennero e si unirono nel tronco. Il tronco è tutto quello che già abbiamo fatto uniti, da quando ci siamo uniti; il tronco che cresce è tutto quello che abbiamo bisogno per fare e che continueremo a fare uniti (…).
“L’importante non è quello che ognuno, separato, ha fatto, compagni; l’importante è quello che faremo uniti, quello che da un po’ già stiamo facendo uniti: e quello che stiamo facendo uniti interessa a tutti, compagno, ugualmente (…) (5).
Quello stesso giorno dirà in un altro discorso, riferendosi al suo caso personale: “Anch’io appartenni ad un’organizzazione. Ma le glorie di quella organizzazione sono le glorie di Cuba, sono le glorie del popolo, sono le glorie di tutti. E io un giorno – aggiunge – smisi di appartenere a quell’organizzazione. Che giorno fu? Il giorno in cui noi abbiamo fatto una rivoluzione più grande della nostra organizzazione; il giorno in cui noi avevamo un popolo, un movimento molto più grande della nostra organizzazione, verso la fine della guerra, quando già avevamo un esercito vittorioso che sarebbe stato l’esercito della rivoluzione e di tutto il popolo; al trionfo, quando tutto il popolo si aggiunse e mostrò il suo appoggio, la sua simpatia, la sua forza.
E nel marciare attraverso paesi e città, ho visto molti uomini e molte donne, centinaia, migliaia di uomini e donne che avevano l’uniforme rossa e nera del Movimento 26 Luglio, ma altre e altre migliaia avevano un’uniforme che non era né rossa né nera, ma camicie di lavoratori e di contadini e di uomini umili del popolo. E da quel giorno, sinceramente, nel più profondo del cuore, passai da quel movimento che amavamo, sotto le cui bandiere lottarono i compagni, passai al popolo, appartenni al popolo, alla rivoluzione, perché davvero avevamo fatti qualcosa di superiore a noi stessi”. (6).
[1] . Scritto nel 1985 e pubblicato in numerosi paesi dell’America Latina e in inglese. Si può trovare in formato digitale in: http://www.rebelion.org/docs/89864.pdf
[2] . Fidel Castro, 2 dicembre 1971, en Cuba—Chile, Comisión de Orientación Revolucionaria, La Habana, 1972, p.487.
[3] . F. Castro, Apparizione in TV del 1° dicembre 1961;O.R., op.cit. pp.27—28; La rivoluzione cubana.., op. cit. p.407.
[4] . Fidel Castro, Conversazione con gli studenti dell’Università di Concepción, en Cuba—Cile, Cile, 18 novembre, 1971, op.cit. p. 274.
[5] . Fidel Castro, Discorso del 26 marzo 1962, in Opera rivoluzionaria Nº 10, p.29—30; La rivoluzione cubana .., op.citp. p.539.
[6] . Fidel Castro, Discorso del 26 maggio 1962, in Opera rivoluzionaria Nº11, 27 marzo, 1962, pp.36—37; La rivoluzione cubana .., op.cit. pp.545—546.
(*) Scrittrice e sociologa cilena, comunista, ha studiato in Francia deveè stata allieva di Louis Althusser. Le sue opere sono conosciutissime in tutta l’America Latina. Da: rebelion.org; 12.8.2016
traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto San Giovanni (MI)
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