GRAN BRETAGNA

 

I rifugiati di Calais, una dimenticanza del Brexit

 

Di Guadi Calvo (*)

 

Mentre Regno Unito e Unione Europea risolvono la disputa matrimoniale che ha portato al divorzio e dirigenti e tecnocrati affilano la punta delle loro matite nell’ora della divisione dei beni, a qualcuno, vai a sapere chi, è successo di ricordare che in un remoto angolo di Francia rimaneva un problema che i britannici stavano lasciando da risolvere a loro piacere a Parigi o Bruxelles, nel senso di quest’ultima in quanto capitale dell’Unione Europea.

 

Anche se, guardandolo bene, non è un problema ma 10 mila problemi: alcuni poi stimano che il numero potrebbe arrivare a 13 mila rifugiati che abitano la Giungla, come giornalisticamente è conosciuto il campo dei rifugiati eretto dai suoi stessi abitanti con cartoni, latte, plastica e legni. Il che fa sì che la Giungla, che manca di servizi sanitari e delle minime condizioni di salubrità, non sia un campo di rifugiati ma una bidonville, forse la più miserabile d’Europa.

 

 

 

La formazione dell’accampamento nelle vicinanze della città di Calais, vicina all’entrata dell’Eurotunnel che mette in comunicazione con la città britannica di Folkestone, cominciò nei primi mesi dello scorso anno quando i rifugiati cercavano di fuggire da guerre e persecuzioni che proprio l’Unione Europea, insieme al suo socio di maggioranza, gli Stati Uniti, avevano cominciato nel 2011.

 

Già dalla metà degli anni Ottanta Calais si era trasformata in una specie di sala di pre-imbarco per migliaia di migranti che volevano fare il grande salto sopra il canale della Manica. Erano i kossovari che fuggivano dalla guerra dei Balcani, che nel corso degli anni Novanta arrivarono in gran numero e cominciarono a stabilirsi nei depositi e nei capannoni abbandonati lungo la costa.

 

 

Da anni migliaia di migranti si ammassano nelle vicinanze della città portuale di più di 20 mila abitanti, ma le ondate del 2015 e la chiusura delle frontiere da parte di Londra hanno oltrepassato tutte le previsioni: una media di 70 nuovi rifugiati arrivano ogni giorno nella zona.

 

 

 

L’allora primo ministro David Cameron ha rifiutato di continuare a ricevere rifugiati, dopo averli definiti una masnada di indesiderabili o swarm of people, come ha detto durante una visita in Vietnam, ributtando la palla in campo francese.

 

 

 

Il flusso di rifugiati ha cominciato a concentrarsi alla bocca del tunnel, aspettando un’opportunità per raggiungere le isole britanniche, clandestini sui treni e sui camion che attraversano il tunnel o pagando piccole fortune ai padroni di diverse imbarcazioni che fanno il tragitto Calais-Dover.

 

 

 

L’unica risposta fino ad ora del governo francese è stata di  reprimerli, mentre Marine Le Pen, la leader dell’ultra destro Fronte Nazionale, li ha utilizzati come bersaglio dei suoi discorsi xenofobi durante le campagne elettorali per le regionali del dicembre 2015.

 

Fino ad ora François “Flamby” Hollande non ha trovato soluzione migliore, nel febbraio scorso, che  scacciarli a forza, con annesso anche un incendio. Anche se la misura non ha riportato grande successo; come il dinosauro di Augusto Monterroso, i rifugiati sono ancora là.

 

Nel marzo 2015 è finita la formazione della Giungla, abitata non solo da siriani ma anche da subsahariani, afgani, pakistani, yemeniti, eritrei ed etiopi, saturando le poche installazioni locali preparate allo scopo.

 

Nello stesso mese un rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) denunciava le condizioni di vita di questi “rifugi”, che definiva “sconosciuti in Europa”: con soli 3 mila abitanti erano dotati di 30 rubinetti per l’acqua potabile, 60 docce, 20 sanitari, scarsa alimentazione e praticamente nessuna assistenza medica. Le installazioni sanitarie non si sono moltiplicate alla stessa velocità con cui è aumentato il numero di rifugiati che oggi è fra le 10 e le 13 mila persone, che devono sguazzare nel fango e sopportare temperature e piogge della regione praticamente senza riparo.

 

 

 

Durante questi mesi la strategia dell’Eliseo per sgonfiare Calais è stata di far pressione su Londra per togliere le restrizioni rispetto ai rifugiati. Alcune ONG affermano che circa 3 mila di loro cercano di attraversare clandestinamente il Canale della Manica ogni giorno, pagando fra i 2 e i 6 mila euro alle mafie che controllano il passo di Calais, con contatti dall’altra parte.

 


La società che gestisce l’Eurotunnel assicura che durante il 2015 sono state intercettate circa 40 mila persone che cercavano di attraversarlo e che questo le causa una perdita di più di 10 milioni di euro. Secondo il Ministero dell’Interno britannico, ogni tre minuti viene sorpreso un immigrante che cerca di attraversare il tunnel. Certo, non si saprà mai quanti alla fine ci siano riusciti.

 

 

 

Le soluzioni dell’inverno

 

La nuova Primo Ministro britannico Theresa May ha minimizzato l’impatto della crisi dei rifugiati in Europa e tutta la politica di asilo, anche se la principale causa della questione di Calais si deve al rifiuto britannico di aprire una via per un negoziato riguardo alla crisi.

 

Fino al giugno di quest’anno, ad esempio, Londra ha dato asilo a solo 2.563 siriani con la condizione di rifugiati, mentre altri 2.682 sono stati spostati direttamente dal Medio Oriente alla Gran Bretagna in virtù di un meccanismo di re-ubicazione delle persone. Il numero è infimo paragonato ai 300 mila accolti in Germania. May ammette solo una concessione per i bambini rifugiati a Calais che abbiano familiari in Gran Bretagna.

 

May aveva già espresso la sua posizione rispetto all’asilo in una conferenza del partito conservatore nello scorso ottobre, dove aveva manifestato la sua pretesa di ridurre ancor più il numero delle istanze dei rifugiati, negando qualsiasi diritto ad indennizzazioni e reclami di coloro che vengano accettati come rifugiati dal Regno. La nuova dama di ferro ha affermato che il diritto della Gran Bretagna si basa sull’essere “il più ricco, più fortunato e più forte paese”, per cui darà asilo solo ai rifugiati “più meritevoli”.

 

 

 

Anche se Londra dice che la cooperazione rispetto alla Giungla si estenderà durante “i prossimi anni” a seguito delle esigenze francesi di trasportare l’accampamento su suolo britannico, si sono sforzati solo di fare spionaggio all’interno del campo per individuare possibili “terroristi”, mentre non ci sono atti concreti per regolarizzare la vita dei rifugiati su un lato e sull’altro del Canale.

 

 

 

Come hanno dichiarato il segretario agli Interni Ambar Ruddy e il suo omonimo francese Bernard Cazeneuve: i due paesi continueranno a lavorare insieme per rafforzare la sicurezza del campo a fronte della delinquenza organizzata e a portare aiuti, anche se non si specifica come si farà.

 

Xavier Bertrand, presidente della regione francese del Nord-Pas-de-Calais-Picardie, dove si trova Calais, e che appoggia Nikolas Sarkozy per le prossime presidenziali, ha avvertito che la crisi umanitaria potrebbe mettere in pericolo il trattato di Le Touquet 2003, in base al quale il Regno Unito può effettuare controlli di frontiera in territorio francese., per evitare il passaggio dei senza documenti che viaggiano su camion o treni con destinazione nel suo territorio. 

 

Da parte sua l’ex presidente francese Sarkozy, nuovamente candidato per le presidenziali che si terranno tra aprile e maggio 2017, ha dichiarato in un meeting: “Sto chiedendo con fermezza l’apertura di un centro in Gran Bretagna visto che la Giungla non deve stare a Calais né in alcun altro luogo di Francia; quelli che non hanno diritto a stare qui devono tornare al loro paese”. Così ha enfaticamente dichiarato il piccolo Nicolàs esigendo da Londra, per finire, che faccia il suo lavoro e che risolva la questione di Calais.

 

 

 

Chissà che  qualcuno degli “umanitari” che vivono su entrambi i lati del Canale della Manica trovi  una qualche soluzione, prima che l’inverno che arriverà gli complichi il problema.

 

 

 

(*) Scrittore argentino, giornalista e analista politico internazionale ; 31.8.2016

 

 

 

 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

 

 

 

N.d.t.: Il giorno 7 settembre qualcuno una soluzione l’ha trovata.

 

 

 

Da Repubblica:  “Gran Bretagna pronta a costruire muro anti-immigrazione a Calais”. 

 

Di seguito alcuni estratti dell’articolo di Enrico Franceschini.

 

Secondo le prime stime, Londra pagherà due milioni di sterline per una barriera di cemento lunga quasi due chilometri. Immediate le polemiche, Kate Gibbs, direttrice della Road Haulage Association, la lobby degli autotrasportatori: "Scandaloso spreco di denaro pubblico".

 

La Gran Bretagna ha raggiunto un accordo con la Francia per erigere un muro anti-immigrati clandestini alto 4 metri a Calais, e sarà il governo di Londra a pagarne il costo. Si tratterà di una barriera di cemento armato lunga quasi due chilometri, attorno all'autostrada che porta all'imbarco dei traghetti per Dover e del tunnel per i treni che passano sotto la Manica……

 

…… I lavori di costruzione del muro cominceranno presto, riporta stamane il Daily Mail in prima pagina, ma ancora prima sono cominciate le polemiche. Kate Gibbs, direttrice della Road Haulage Association, la lobby degli autotrasportatori, afferma che si tratta di uno "scandaloso spreco di denaro pubblico" che si limiterà a spostare il problema un po' più a sud ma non cambierà niente nella sostanza. "Quei soldi sarebbero spesi meglio se investiti nel rafforzamento della sicurezza nelle strade che portano a Calais", accusa Gibbs. "La chiamano già la 'Grande Muraglia di Calais' ma a che cosa servirà? Sarà un minuscolo ostacolo nei pressi del porto, ma i clandestini potranno continuare a nascondersi sui camion un po' prima del muro". Per il ministro dell'Immigrazione britannico Robert Goodwill, tuttavia, l'iniziativa realizzerà l'obiettivo di limitare il flusso di migranti o, come minimo, interrompere lo stato d'assedio a cui sono sottoposti l'imbarco dei traghetti e l'ingresso dell'Eurotunnel. "Il muro impedirà i tentativi di disturbare gli autoveicoli che si apprestano ad attraversare la Manica", sostiene il ministro. [..]

 

 

 

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