Referendum all’italiana e crisi bancaria
di Alejandro Nadal (*); da: lahaine.org; 9.12.2016
Il sistema bancario in Italia è come un piatto di spaghetti super-cucinati e mal conditi. Non si trova nè l’inizio nè la fine di ogni spaghetto. Tutti aggrovigliati, sembrano un serpente dalle mille teste, ma tutti sono infettati dallo stesso male, i loro crediti inesigibili. La cosa grave è che, dato che l’Italia è la terza economia dell’Unione Europea, una crisi bancaria in questo paese sarebbe una minaccia mortale per l’euro e non potrà essere scopata sotto il tappeto.
Per il primo ministro Matteo Renzi, il referendum della scorsa domenica sulle riforme costituzionali avrebbe fornito un impianto più dinamico all'amministrazione pubblica per uscire dalla paralisi politica e dalla stagnazione economica. Ma i critici della riforma hanno rifiutato la maggiore centralizzazione del potere politico ed economico risultante dalla vittoria del Si.
Il risultato è stato schiacciante: circa il 60 per cento dei votanti hanno rifiutato le riforme proposte. In alcune regioni dove la disoccupazione è più elevata (ad esempio nel Mezzogiorno) il rifiuto ha raggiunto il 70 per cento.
Cos’ha a che fare tutto questo con le banche italiane e l’euro?
Immersa nella stagnazione e nella disoccupazione, l’Italia affronta anche la più grave instabilità bancaria della sua storia. La verità è che l’economia italiana non ha recuperato dalla crisi del 2008. Dal 2009 ha sofferto una contrazione più alta del 10 per cento e l’anno scorso è cresciuta solo dello 0,8 per cento, il che ha aggravato il problema dei crediti inesigibili che oggi raggiungono i 400 mila milioni di euro (circa il 20 per cento del PIL).
Dopo vari tentatiti, falliti, di riscattarle e rimetterle di nuovo in piedi, le banche italiane continuano la loro discesa all’inferno dei numeri rossi. Tra le banche più importanti con problemi gravi si trovano il Monte dei Paschi di Siena (la banca più antica del mondo), la Banca Popolare e Unicredit. Tutte hanno un coefficiente di crediti inesigibili a capitale (più le riserve) superiore a 100, il che significa che non hanno sufficienti risorse per coprire le loro perdite.
Quando scoppiò la crisi finanziaria, molte banche italiane comprarono buoni del Tesoro, pratica promossa allora dalla Banca Centrale Europea (BCE).
Ma la crisi in Grecia dimostrò che non era una buona idea e la BCE e l’Unione Europea (UE) fecero marcia indietro quando si resero conto che il livello della leva finanziaria del governo italiano era eccessivo.
Oggi la politica sui salvataggi nella UE cerca di impedire che un governo dia aiuti per ricapitalizzare le proprie banche e sostiene l’idea che, in caso di crisi, i primi ad assorbire le perdite siano gli investitori delle banche stesse. Le nuove regole vorrebbero evitare i salvataggi ‘perversi’ in cui l’irresponsabilità dei padroni delle banche sia ricompensata con risorse fiscali e che il debito privato si trasformi in debito pubblico. Questo ha un senso, ma i salvataggi privati ignorano l’interdipendenza del sistema bancario e le conseguenze sistemiche di un collasso di una delle grandi banche.
L’irritazione che le nuove regole hanno provocato in Italia è notevole perché esistono centinaia di migliaia di piccoli investitori che hanno comprato titoli delle banche deteriorate e oggi vedono minacciati i loro risparmi. Questo spiega una parte del voto di castigo contro il primo ministro italiano nello scorso referendum.
Per superare l’ostacolo imposto dalle nuove regole della UE, Renzi e il suo ministro delle finanze Pier Carlo Padoan hanno adottato l’idea di creare una banca “cattiva”, cioè una banca privata capace di comprare i titoli tossici delle banche italiane più esposte. Il risultato è stato due fondi speciali, Atlante I e II, per ricapitalizzare e comprare crediti inesigibili, rispettivamente.
Ma gli Atlanti non hanno sufficienti risorse per affrontare un problema di questa grandezza. Oltre alla mancanza di trasparenza delle loro decisioni su quali banche dovevano essere aiutate, i fondi non hanno potuto tranquillizzare i mercati che ritengono che, prima o poi, dovrà esserci un’altra iniezione di fondi pubblici, con il che il debito pubblico aumenterà e, con esso, i problemi del suo finanziamento sui mercati di capitali internazionali.
Il governo italiano e l’euro sono di fronte ad un grave dilemma. I fondi Atlante (la banca cattiva) non sono riusciti a portare a termine il salvataggio delle banche. Ed è evidente che un governo che annega in un pantano di debiti non possa continuare ad operare questo salvataggio con denaro pubblico (la relazione debito/PIL in Italia supera il 132 per cento, il che colloca questo paese al secondo posto dopo la Grecia). E neppure si vede un’uscita dal lato di un’iniezione di risorse di paesi come la Germania.
La crisi della banche italiana è anche la crisi delle banche europee, le cui azioni sono cadute quest’anno. Così, anche se non è più vero che tutte le strade portano a Roma, la verià è che oggi la crisi delle banche europee passa per l’Italia.
(*) Economista italiano
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via magenta 88, Sesto S.Giovanni)
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