Il Sultano, l’Europa e la guerra
di Daniela Trollio (*)
“L’Europa sta commettendo crimini di guerra” contro la Turchia, Germania e Olanda hanno “attitudini fasciste”, “proprie dei nazisti”. Si potrebbe, con parecchi distinguo, essere d’accordo, non fosse che questi giudizi vengono da Recep Erdogan, il presidente turco dichiaratamente ammiratore di Hitler, e dai suoi ministri, non proprio brillanti campioni di democrazia e di libertà.
Cosa sta succedendo a quello che è stato lo strumento principe della guerra di aggressione alla Siria, con il sostegno ormai riconosciuto persino dai nord-americani dato dal governo turco all’ISIS, con i suoi campi di addestramento per i terroristi che entravano comodamente in Siria attraverso la lunga frontiera che i due stati condividono (frontiera oggi ermeticamente chiusa per i profughi, grazie all’accordo Unione Europea-Turchia sui rifugiati)?
Facciamo un passo indietro. Nel giugno 2015, alle elezioni generali, il Partito Democratico dei Popoli (HDP), che riunisce il movimento kurdo di liberazione e settori della sinistra turca e delle minoranze etniche del paese, guadagna inaspettatamente ben 80 seggi in parlamento, una vittoria definita “storica” dai kurdi. Erdogan non accetta la sconfitta e indice un referendum, da tenersi nell’aprile di quest’anno, con cui chiede gli vengano ampliati i poteri presidenziali. Chiede quindi a Germania, Austria e Olanda, paesi con una forte immigrazione turca, di poter tenere comizi elettorali sul loro territorio. L’Olanda – che accoglie circa 400.000 turchi - rifiuta in toto, impedendo addirittura l’atterraggio dell’aereo del ministro turco degli esteri e arrestando e rimandando in Turchia, via Germania, la ministra turca della Famiglia. La Germania – che ospita ben 4 milioni di persone di origine turca e kurda - decide di permettere tali comizi, ma a macchia di leopardo, in una città sì e in altre no. Ma, sentendosi definire “nazi”, Berlino ha permesso una cosa inaudita per i turchi: una manifestazione di 30.000 kurdi a Francoforte con alla testa le immagini di Abdullah Ocalan.
Questo è l’antefatto.
La guerra in Siria
La Turchia di Erdogan è stata, dicevamo, la più importante retrovia per USA, UE e monarchie del Golfo nella guerra contro la Siria che avrebbe dovuto spazzare via il governo legittimo di Assad e permettere al paese ‘ottomano’ di recuperare un ruolo strategico nella regione. Dal suo territorio sono entrati in Siria migliaia di “combattenti” e mercenari, dall’Esercito Libero Siriano al Fronte al-Nusra, allo Stato Islamico. Il paese ha fornito ospedali, campi di addestramento, centrali di comunicazione e intelligence a sostegno di tutta questa feccia, che pagava i suoi debiti con il petrolio che il Califfo Ibrahim pompava dai territori occupati in Siria e Iraq. L’intervento in Siria ha permesso al Sultano Erdogan di operare, en passant, contro i suoi storici nemici, i kurdi (quelli siriani, stavolta).
Ma la guerra in Siria non è andata come Erdogan sperava, la Siria non è la Libia e resiste e contrattacca. L’Unione Europea in quanto formazione politica – sempre più pericolosamente incoerente quando cerca di attuare una politica “propria”– non ha pagato i suoi debiti: niente ingresso della Turchia nella UE; neanche gli USA l’hanno fatto: niente consegna del più importante nemico di Erdogan, il multimilionario religioso sufi Fethullah Gulen, esiliato negli Stati Uniti dal 1999.
E così assistiamo, nella più perfetta applicazione della realpolitik, al rovesciamento degli equilibri. Oggi Erdogan si è avvicinato a Mosca, a Teheran ed ha persino dichiarato che farà tutto il possibile per collaborare con Assad. Il nuovo socio è stato accolto senza domande.
Questo faccia riflettere le anime belle che considerano Putin, il quale ha interessi economici e geopolitici piuttosto importanti nella regione, quasi un anti-imperialista.
il popolo turco ha già pagato questa giravolta con circa 10 attentati terroristici che hanno fatto più di 500 morti.
E la NATO dove sta?
La Turchia è un paese che, oltre ad essere membro della NATO, ha la seconda forza armata più numerosa dell’organizzazione atlantica, 411.000 effettivi. Oltre a varie basi militari USA, sul suo territorio ospita l’enorme base nordamericana di Incirlik, luogo fondamentale per le politiche militari nord-americane nella regione, sia rispetto al Medio Oriente che alla Russia. L’esercito turco ha storicamente strettissimi legami con i militari USA in tutti i campi. Eppure, nel luglio del 2016, un gruppo di alti ufficiali tenta un colpo di stato, fermato in meno di 48 ore. Arresti, uccisioni, incarcerazioni, stato di emergenza, purghe. Auto-golpe di Erdogan o rivolta di parte dell’esercito? La domanda vera è se la NATO ci ha messo lo zampino per dare un avvertimento a Erdogan, rimasto con il cerino in mano dopo che l’amministrazione Obama, costretta dalla resistenza siriana, aveva deciso di non rischiare l’intervento di terra con le proprie truppe visto che i mercenari avevano fallito.
Il mercato del bestiame
A complicare le cose, nella primavera del 2016, la UE sottoscriveva l’accordo sui rifugiati, a seguito della crisi in Grecia, con un finanziamento per iniziali 3 miliardi di euro, che poteva arrivare ai 6,4, mettendo in pratica la più grande deportazione di massa dalla 2° guerra mondiale. Sei mesi dopo che la fotografia del piccolo Aylan annegato sulla spiaggia di Bodrum aveva fatto il giro del mondo causando fiumi di lacrime - di coccodrillo - l’accordo della vergogna veniva candidamente firmato.
Il succo dell’accordo (che non è materia di questo articolo) è l’esternalizzazione delle politiche di rifiuto e di repressione dei rifugiati, subappaltando il lavoro sporco a Erdogan. Un corollario dell’accordo, poco pubblicizzato, è la definizione della Turchia come “paese sicuro”, cioè che risponde ai criteri di protezione legati al diritto di asilo. Naturalmente nessuno verifica cosa succede nei campi di concentramento sotto controllo militare, perché di questo si tratta, ma l’Europa ha la memoria corta. Persino l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) rifiuta di essere implicata in quello che definisce “un incarceramento dei rifugiati”. Nel bel mezzo di una campagna mediatica senza precedenti sui pericoli di una “invasione” senza controllo, cifre alla mano, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, usa questa immagine per ristabilire la realtà: “Se l’Europa dovesse accogliere la stessa percentuale di rifugiati che accoglie il Libano in relazione alla sua popolazione, dovrebbe alloggiare 100 milioni di rifugiati”.
Ma l’accordo, lungi dal risolvere alcunché, in questi giorni si è trasformato in un boomerang per la UE.
Dopo l’inasprimento delle relazioni con Olanda e Germania, il ministro turco dell’Interno, Süleyman Soylu, ha dichiarato molto chiaramente e molto concretamente: “Se volessimo, ogni mese potremmo aprire la strada a 15.000 rifugiati e voi perdereste la testa”.
Abbiamo cercato di ricordare alcuni elementi che ci permettano di capire quello che sembra un balletto di ubriachi: il Sultano Erdogan che insegue il sogno di un nuovo Impero Ottomano, l’Europa “minacciata” di invasione dai rifugiati, nuovi pericoli di guerra per l’aspro scontro in atto.... Sappiamo, in realtà, dove andranno a parare queste interpretazioni: abbiamo bisogno di maggiore sicurezza!! E qui le cose si fanno più chiare.
L’industria europea della “sicurezza” è dominata dalle grandi società produttrici di armi, come le francesi Airbus, Thales &Safran, la spagnola Indra e ... sorpresa sorpresa... l’italiana Finmeccanica. Tutte vendono armi a paesi del Medio Oriente e del Nord d’Africa per un totale, nel 2015, di 95.000 milioni di euro.
I governi europei le hanno beneficiato due volte: prima concedendo loro le licenze per la vendita diretta di armi, e poi concedendo loro i contratti per la sicurezza di frontiera per far fronte alle conseguenze.
Lo scontro – annunciato – con la Turchia è parte di quel gioco mortale in cui i cittadini europei - primi fra tutti i proletari, alle prese ogni giorno con il taglio dei salari, dei diritti, con l’azzeramento delle conquiste degli ultimi 50 anni - sono le vittime, finora inconsapevoli, di politiche che sui cadaveri di molti, moltissimi, fanno la fortuna di pochi capitalisti.
L’imbarbarimento del capitalismo non guarda in faccia a nessuno, la guerra non riguarda più le periferie, è già nel cuore del nostro continente. Non è ora di dire e, soprattutto, di fare qualcosa?
(Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto San Giovanni)
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