Il compagno partigiano Carlo Rovelli ci ha lasciato Il 24 maggio a 91 anni.
Carlo, membro del PC clandestino, aveva partecipato alla Resistenza giovanissimo, come tanti altri ragazzi come lui.
Era un comunista e tale è rimasto fino allo scioglimento del PCI; in seguito è stato, come tanti di noi, un comunista senza partito, iscritto solo all’ANPI.
Anche negli ultimi mesi, quando non poteva più camminare, è sempre stato lucido, un attento lettore dei giornali e gli piaceva essere informato.
Nel ricordarlo, voglio riportare qualche brano delle lunghe chiacchierate fatte quando andavo a trovarlo al Circolino e a casa sua, dove andavo a cambiargli una lampadina o a riparargli un guasto all’impianto elettrico e quando gli portavo il giornale "nuova unità", che commentavamo insieme – lui, sua moglie Adriana ed io.
A 18 anni Carlo, figlio di un antifascista riparato in Francia, inizia la sua attività antifascista e antinazista a Niguarda (quartiere operaio e popolare di Milano) – dove poi parteciperà, il 24 aprile – alla liberazione, con altri suoi coetanei, distribuendo volantini e facendo scritte sui muri.
Riconosciuto da alcune spie, per evitare la galera o la fucilazione, Carlo è costretto ad andare in montagna a combattere i nazifascisti, ed entra nelle brigate partigiane. Nel marzo del ‘44 arriva in Val Grande e si unisce al Battaglione “Valdossola” guidato dal comandante Superti. Entra a far parte della Compagnia numero 14, formata solo da comunisti e, come racconta lui stesso, “appena arrivato, come a tutti ci hanno dato un soprannome; il mio era “Rovo”, da Rovelli. In montagna ho sofferto la fame, c’erano giorni in cui non mangiavamo e facevamo il “pasto dell’atleta”, cioè lo saltavamo.
Io, con altri miei compagni, ero addetto all’organizzazione di sabotaggi e retate contro gli avamposti nemici, facevamo le imboscate. I fucili erano fondamentali, senza le armi non avremmo potuto difenderci o attaccare. Saremmo stati in balìa del nemico. Io sono ancora qui anche perché ho avuto fortuna”.
Così Carlo ricordava anche un episodio che gli era accaduto in Val Grande.
“Una volta insieme con due miei compagni stavamo facendo una perlustrazione vicino a una baita, quando sono arrivati due giovani soldati delle SS della mia stessa età o forse anche più giovani. Appena ci hanno visto, hanno iniziare a sparare uccidendo uno dei miei amici. Io mi sono nascosto all’interno della casa, in un angolo, sotto un pentolone per fare il formaggio e sono rimasto lì sotto per tutto il tempo senza fiatare. Vedevo gli stivali neri di uno dei due nazisti a pochi centimetri e in quel momento pensavo che fosse giunta la mia ora, ma ho avuto fortuna. Se avessero guardato meglio, ora sarei morto e non sarei qui a raccontarla”.
Ciao Carlo, grazie a te, a tutti i compagni comunisti e antifascisti, per le battaglie che avete combattuto contro il nazifascismo e per un mondo diverso.
E’ un onore averti conosciuto ed essere stato tuo amico e compagno.
Michele Michelino