L’eredità di Allende
Editoriale di “Punto Final” (*)
Rovesciato l’11 settembre 1973 con un cruento golpe militare che né il suo governo né i partiti popolari erano in condizioni di affrontare, Salvador Allende entrò nella storia, tuttavia, con il piglio di un leader vittorioso. La sua eredità politica e morale fornisce insegnamenti importanti per i rivoluzionari di oggi.
In primo luogo, la sua coerenza politica ed il suo coraggio personale, che gli fecero impugnare il fucile per resistere alla Moneda insieme ad un pugno di coraggiosi. Con le sue stesse parole: pagava con la sua vita la lealtà del popolo. La sua immolazione fu un atto cosciente di ribellione per non umiliarsi davanti al tradimento e al crimine dei generali e degli ammiragli. In altre circostanze avrebbe sicuramente guidato la resistenza di un popolo armato e di unità militari costituzionaliste. L’unica cosa che non passò per la mente di Allende nel palazzo in fiamme fu di arrendersi e di negoziare le condizioni di un onorevole esilio. I suoi ultimi messaggi per radio e la sua decisione finale lo coprirono di gloria e, allo stesso tempo, seppellirono nell’infamia i golpisti, la cui vigliaccheria morale venne confermata dai loro crimini e dall’arricchimento illecito dei terribili anni che seguirono.
Non fu solo il suo coraggio e la sua coerenza. Salvador Allende lasciò anche altri insegnamenti. Ad esempio la sua instancabile perseveranza nel forgiare l’unità dei settori popolari, unità intesa quale fattore essenziale di un processo rivoluzionario. Per molti anni Allende progettò anche la nazionalizzazione del rame quale tema legato all’esercizio effettivo della sovranità nazionale. Questa rivendicazione era ben lontana dal dibattito politico quotidiano quando Allende la scelse come bandiera di lotta. Per lungo tempo la sua fu una voce nel deserto.
Allende rifiutò di nascondere le sue idee o di mimetizzarsi nel centro politico che permette qualsiasi tipo di transazione. I rivoluzionari di oggi devono studiare la sua traiettoria politica e le coalizioni politico-sociali che guidò fino ad arrivare alla Moneda con Unidad Popular. La sua vittoria nel 1970 fu ristretta e dovette sottomettersi al verdetto del Congresso. La Democrazia Cristiana lo appoggiò in cambio di uno Statuto di Garanzie Democratiche che il presidente Allende rispettò scrupolosamente. Ma questo Statuto si trasformò in una trappola che impedì il libero sviluppo delle capacità rivoluzionarie del popolo. Quelle limitazioni furono la causa delle contraddizioni che sorsero tra i partiti di Unidad Popular. Esse obbligarono ad utilizzare gli “spiragli legali” per costruire diverse iniziative. Prese quindi forza una corrente indipendente e critica da sinistra che spinse per il potere popolare dei poveri della campagna e della città, con la parola d’ordine “avanzare senza contrattare”.
Allende aveva dichiarato senza mezzi termini che l’obiettivo del suo governo era un socialismo adeguato alle caratteristiche socio-politiche e culturali del paese. La “via cilena al socialismo” fu esplicitata nel suo primo messaggio al Congresso Riunito il 21 maggio 1971. La nazionalizzazione delle miniere di rame e la Riforma Agraria, la statalizzazione delle banche e la requisizione di varie industrie confermarono che era iniziato un processo rivoluzionario inedito, che attrasse l’attenzione del mondo e risvegliò un’ondata di simpatia in America Latina. In effetti si trattava del primo tentativo nella storia di costruire il socialismo per via pacifica e con assoluto rispetto di una Costituzione borghese.
Nonostante questo, la cospirazione golpista era cominciata ben prima che Allende prendesse il comando. L’oligarchia chiese l’intervento nordamericano e il presidente Richard Nixon ordinò alla CIA e al Pentagono di “far piangere” l’economia e creare le condizioni per il rovesciamento di Allende. La fuga dei capitali, il blocco del credito internazionale, il mercato nero, la speculazione, la scarsità e l’inflazione esplosero. I camionisti paralizzarono per due mesi i trasporti di alimenti e di altri articoli di prima necessità. I minatori di El Teniente dichiararono sciopero e marciarono su Santiago. Carichi di rame furono bloccati ad Amburgo e in altri porti. Le donne della borghesia scesero nelle strade battendo le pentole. I mezzi di disinformazione internazionali e nazionali – che godevano di assoluta libertà, compresa quella di insultare e calunniare il presidente – diedero vita alla guerra psicologica. Accusavano Allende di voler instaurare la “dittatura del proletariato” e trasformare il Cile in una seconda Cuba. Cominciarono i sabotaggi alla rete elettrica e alle comunicazioni per mano di bande terroriste di estrema destra, consigliati da ufficiali delle Forze Armate.
Nell’ottobre 1972, su iniziativa democristiana, il Congresso approvò la Legge sul Controllo delle Armi. Il suo proposito era eliminare qualsiasi possibilità del popolo di affrontare il colpo di Stato che era in marcia. Allende e i suoi ministri socialisti José Tohà (Difesa) e Jaime Suàrez (Interni) si videro obbligati a promulgare una legge che dava facoltà alle Forze Armate di effettuare perquisizioni e arrestare militanti di sinistra accusati di possedere o fabbricare armi “domestiche” ed esplosivi. L’opposizione – destra e Democrazia Cristiana – controllava il Congresso Nazionale. Nel luglio 1972 formarono la Code (Confederazione della Democrazia) con l’intenzione palese di rovesciare il presidente tramite un golpe parlamentare. Per questo avevano bisogno di raggiungere i due terzi della Camera dei Deputati nelle elezioni del 1973. Non riuscirono, perché Unidad Popular prese forza dalle debolezze e ottenne il 43,4% dei voti. Il fallimento del golpe per via parlamentare aprì il cammino al golpe militare.
(Fin qui ai lettori sembrerà che stiamo parlando di quanto succede in Venezuela. In effetti questo piano destabilizzatore è quasi identico a quello che Washington utilizzò in Cile. La differenza più notevole è che in Venezuela esiste l’alleanza popolo-forze armate, eredità politica del presidente Hugo Chàvez che l’impero non è riuscito a spezzare).
Rileggere la nostra storia, e in particolare l’esperienza di Unidad Popular, è indispensabile per qualsiasi futuro progetto di cambiamenti democratici con giustizia sociale. Allende seppe dare un “nord” al processo di accumulazione delle forze sociali e politiche. La nazionalizzazione del rame fu l’asse mobilizzatore del programma a cui persino la destra dovette cedere nel Congresso.
La controrivoluzione distrusse questa ed altre conquiste, che è necessario riprendere per assicurare un processo rivoluzionario. La nazionalizzazione del rame (e del litio) rafforzerebbe la sovranità nazionale e fornirebbe enormi risorse allo Stato. Ci sono numerose altre rivendicazioni capaci di mobilitare le forze sociali. Ad esempio la fine delle AFP (i fondi pensione privati, n.d.t.) e il diritto ad una salute e un’educazione di qualità; il riconoscimento dell’autonomia del popolo mapuche; il freno ai danni all’ambiente causati dalle società forestali, elettriche, delle estrazioni minerarie e dei monopoli della frutta; la limitazione dei guadagni spropositati delle banche e delle Isapres (sistema privatizzato di salute ed educazione, n.d.t.); la statalizzazione del trasporto pubblico …
Nessuno di questi obiettivi è possibile senza dar vita ad un processo ideologico che permetta di liberare le coscienze sottomesse alla dittatura culturale ed ideologica del neoliberismo. La battaglia delle idee viene al primo posto perché è là dove la Sinistra ha sofferto la sua peggiore sconfitta.
La strada per superare questo sistema inumano e depredatore passa per un’Assemblea Costituente che proponga al popolo la Costituzione Politica che permetta – infine – di contare sull’istituzionalità di una repubblica democratica e partecipativa. La convocazione di una Costituente aprirebbe spazi per conquistare le forze armate e contare sulla loro partecipazione ad un programma democratizzatore e patriottico.
Avanzando in questa direzione, con l’Assemblea Costituente quale asse del cambiamento, si raccoglierebbe il fondamento della lezione che il presidente eroico ci lasciò.
(*) Editoriale n. 883 del settembre 2017 della rivista cilena Punto Final, nata nel 1965, sospesa durante la dittatura e riapparsa nel 1989. Vi scrissero, tra gli altri, il poeta e rivoluzionario salvadoregno Roque Dalton e lo scrittore Luìs Sepùlveda; da: rebelion.org; 11.9.2017
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)