La lotta di classe in Catalogna
di Miguel Manzanera Salavert (*)
C’è un’apparente contraddizione negli argomenti filo-spagnoli contro l’autodeterminazione catalana: da un lato ci si dice che si tratta di un processo guidato dalla borghesia, e dall’altro si afferma che le società se ne andranno dalla Catalogna nel caso ci sia l’indipendenza. Di fatto l’esodo degli industriali è già cominciato davanti alla mera possibilità che diventi effettiva la disconnessione catalana dallo Stato spagnolo. Ma dato che la borghesia è formata dall’insieme degli imprenditori, quali sono i suoi motivi per guidare il processo indipendentista e poi andarsene dal paese indipendente? Lo fa per affondare l’economia catalana portandosi via le ricchezze del paese? Suona paradossale.
La situazione si può chiarire se consideriamo la struttura della classe borghese, divisa in settori differenziati in concorrenza fra loro, e non come un’unità senza crepe. E’ un dato ovvio della nostra vita sociale che i motivi fondamentali di ogni membro della società capitalista sono gli interessi economici individuali nella loro versione monetaria, che sia il profitto per il capitale investito o che sia la retribuzione economica per il lavoro. E sappiamo che la concorrenza per ottenere profitti e retribuzioni avviene a tutti i livelli della vita sociale ma, specialmente, negli strati dirigenti. L’associazione tra individui si realizza per interessi corporativi, cioè per comunità di interessi all’interno di un’organizzazione sociale data.
L’identità nazionale è un tratto sufficientemente forte per creare questi interessi corporativi?
Dal punto di vista della razionalità capitalista è un dato irrilevante e controproducente. Ma se da un lato sembra che la nazionalità sia superata dalla globalizzazione economica, dall’altro vediamo che gioca un ruolo importante negli avvenimenti internazionali attraverso la configurazione statale dell’ordine mondiale. La politica non può essere ridotta né subordinata alla razionalità capitalista, ma consiste nella creazione di una razionalità alternativa.
Specialmente, in una fase del capitalismo in crisi con una lunga depressione negli Stati imperialisti – com’è quella attuale – appaiono e si sviluppano le contraddizioni inerenti alla società capitalista.
L’assottigliamento delle classi medie nei paesi capitalisti sviluppati (mal sviluppati) e l’aumento del coefficiente Gini in tutti i paesi (da: wikipedia: Il coefficiente di Gini è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza. È un numero compreso tra 0 ed 1. Valori bassi del coefficiente indicano una distribuzione abbastanza omogenea, con il valore 0 che corrisponde alla pura equidistribuzione, ad esempio la situazione in cui tutti percepiscono esattamente lo stesso reddito; valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il valore 1 che corrisponde alla massima concentrazione, ovvero la situazione dove una persona percepisca tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri hanno un reddito nullo), sono indici del fatto che la concorrenza per ottenere profitti si è fatta feroce e sta sacrificando il benessere di milioni di persone in tutto il mondo.
Allo stesso tempo attraversiamo una fase dello sviluppo capitalistico caratterizzata dalla distruzione di forze produttive su larga scala, come si è potuto vedere in Medio Oriente e in Africa, il che è complementare allo sviluppo di movimenti fascisti in tutto il mondo. E’ un esacerbazione di quello che alcuni economisti chiamano la “distruzione creativa” del capitalismo e che ha il suo paradigma esemplare nelle guerre mondiali del secolo scorso.
Torniamo al tema catalano. Come considerare questa differenziazione interna della borghesia in questo caso concreto? Ci si propone una divisione basata sul suo carattere nazionale: borghesia spagnola contro borghesia catalana – la teoria dello ‘scontro di treni’ – interpretando in questa chiave lo scontro del PdeCat con il PP (Partito Democratico Europeo Catalano di Puigdemont e Partido Popular di Mariano Rajoy, premier spagnolo, n.d.t.), dove il più forte liquiderà senza remissione il più debole. Ma questa soluzione semplicistica non sembra sufficiente per interpretare un’economia complessa e globalizzata come è il capitalismo post-moderno e liberista.
Ma si è anche detto che il capitale non ha patria e che non c’è nulla di più codardo del denaro – come non smette di dire Jiménez Losantos (giornalista e scrittore, ha militato in gruppi di sinistra, n.d.t.); cioè che gli investitori se ne andranno dalla Catalogna nel momento in cui vedranno in pericolo i loro interessi, e non pare possibile spiegare questo fenomeno sulla base della cecità di una borghesia catalana riguardo ai propri interessi. Anche se si potrebbe dire che la borghesia catalana è messa alle corde dalla borghesia spagnola, che ha dimostrato sufficientemente nel corso della sua storia il suo carattere mafioso.
Abbiamo bisogno, quindi, di una spiegazione più sviluppata.
Ci sono tre tipi di capitalismo che svolgono la loro funzione nell’economia: finanziario, commerciale e industriale. Nella lotta per il profitto trionfa il più forte, cioè quello che realizza funzioni più importanti per la struttura sociale – il che nella società capitalista consiste nel maneggio del denaro, il capitale finanziario. Nell’economia di mercato comandano le banche, perché controllano il denaro come unità di conto e mezzo essenziale dell’interscambio.
Cioè il governo spagnolo rappresenta gli interessi della borghesia finanziaria, che ha sufficienti risorse per controllare la borghesia commerciale e industriale, grazie al potere che dà il denaro.
Forse allora possiamo considerare che il capitale finanziario ha provocato la crisi catalana per saccheggiare la Catalogna, e che gli altri strati della borghesia stiano cercando di difendere i loro interessi attraverso una lotta per il controllo del potere politico e chiamando alla mobilitazione generale il popolo catalano.
Ci troviamo, quindi, nella tipica situazione di lotta nazionale guidata dalla borghesia catalana contro un imperialismo finanziario imposto dalle politiche neoliberiste predominanti nelle società occidentali.
Per tutto quanto detto, questa è una lotta persa all’interno dei parametri della società capitalista neoliberista.
A meno che la classe operaia prenda in mano la guida della lotta politica catalana, proponendo un’alternativa che trasformi le strutture stesse dell’ordine sociale vigente.
Sarebbe possibile? Possiamo osservare che la classe operaia europea manifesta una completa subalternità a fronte degli interessi del capitale finanziario dominante, e in Catalogna ci sono ampi settori di lavoratori che abbracciano l’unionismo spagnolo come strumento di lotta contro la propria borghesia nazionale. Non è un fenomeno nuovo, basta guardare alla storia per rendersi conto che si tratta di un fenomeno ricorrente, che costituisce la base sociale dell’imperialismo dai secoli finali della Repubblica di Roma.
Come si può vedere, siamo davanti ad un problema politico di difficile soluzione che condiziona gravemente il futuro dei popoli dello Stato spagnolo. La chiave interpretativa della congiuntura storica è lo scontro economico e politico del vecchio imperialismo occidentale con le nuove potenze emergenti in Asia. Dato che la battaglia economica è già persa per l’occidente, l’imperialismo è passato a sviluppare un confronto militare tra la NATO e gli Stati raggruppati attorno all’alleanza della Repubblica Popolare Cinese con la Federazione Russa. Questa contraddizione ci si presenta anche nel conflitto catalano, dove una società cinese ha fornito le urne che hanno reso possibile il referendum contro la repressione dello Stato spagnolo. E’ un simbolo che sembra una barzelletta; ma è molto serio ciò che sta succedendo.
Altro sull’analisi di classe: possiamo classificare i borghesi in base alla dimensione delle loro proprietà in grande borghesia, media borghesia e piccola borghesia. C’è l’impressione – qualcuno mi smentisca se ha dati che provano altro – che l’enorme mobilitazione del popolo catalano il giorno 1° ottobre sia stata spinta principalmente da settori della piccola borghesia catalana, legati alla piccola e media impresa, ai settori del commercio, dell’industria e dell’agricoltura, compresi le piccole ditte dei lavoratori autonomi, i lavoratori qualificati e gli intellettuali di professione liberale.
Classi medie in via di proletarizzazione che saranno le più colpite dalla distruzione del tessuto economico in Catalogna, e che hanno presentato un fronte di lotta importante e ben coordinato. E’ stata una mobilitazione esemplare, con un alto grado di organizzazione e con tattiche pacifiste di resistenza passiva, che ha commosso l’opinione pubblica mondiale. Ci fa pensare a Gandhi e a Martin Luther King, e dimostra la forza del tessuto sociale in Catalogna, così come l’enorme influenza che l’anarchismo ha sempre avuto in questo paese.
Settori della classe operaia hanno appoggiato a denti stretti questa mobilitazione; ma hanno cominciato ad appoggiarla. Questo è fondamentale e lo si può considerare un passo importante per il trionfo della causa repubblicana nella penisola iberica. Una classe operaia subalterna al grande capitale finanziario ci dà uno Stato spagnolo allineato con l’imperialismo della NATO, come abbiamo visto negli anni del bipartitismo “juancarlista”. Uno Stato che ora è immerso in un processo trasformista verso il fascismo di Felipe VI. Invece solo una classe operaia organizzata e alleata alla piccola borghesia contadina e intellettuale, capace di affermare la sua egemonia politica in una democrazia partecipativa per la costruzione del socialismo, può essere garanzia di un futuro migliore.
Se la grande borghesia ha intenzione di saccheggiare la Catalogna per mantenere il tasso di profitto dei suoi investimenti, solo la lotta decisa della classe operaia, con l’appoggio dei settori in via di proletarizzazione, potrebbe offrire una resistenza sufficiente ai suoi piani. Altrimenti l’estorsione finanziaria riuscirà ad abbattere la resistenza della piccola borghesia.
Così va interpretato il discorso di Puigdemont che proclama l’indipendenza e poi la pospone per proporre il dialogo con le forze sociali in sintonia con Ada Colau (sindaca di Barcellona, espressione di una lista “civica”con Verdi, Sinistra Civica e Podemos, n.d.t.) e con i consigli dei dirigenti di Podemos (di area socialista democratica, contrario alle politiche di austerità della UE; è il terzo partito del Congresso, n.d.t.).
Sarebbe un errore, invece, che questa posizione fosse considerata il preambolo per sottomettersi ai diktat del grande capitale finanziario e alla sua strategia distruttiva della società contemporanea.
(*) Professore di filosofia, scrittore e attivista politico spagnolo.
da: rebelion.org;12.10.2017.
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto San Giovanni).