USA ESCONO UNESCO

I 15 motivi e obiettivi del regime degli USA per andarsene dall’Unesco

 

di Nazanin Armanian (*); da: publico.es; 17.10.2017

 

Alcuni giorni dopo la riconciliazione tra Hamas e Al Fatah e il ripristino dell’Autorità Nazionale Palestinese a Gaza (che aumenta la possibilità della dichiarazione di uno Stato Palestinese), gli USA e Israele hanno annunciato il loro ritiro dall’Unesco per il suo “pregiudizio anti-israeliano”. Si tratta del culmine di anni di ricatto politico e finanziario di Washington contro l’ONU e le sue agenzie. Nel 1983 il governo di Ronald Reagan si ritirò dall’Unesco perchè questo “serviva gli interessi dell’URSS”, e Barak Obama sospese nel 2011 il suo contributo finanziario all’Unesco per “aver ammesso la Palestina quale stato membro”. Netanyahu, che paragona l’Unesco con l’Isis mentre appoggia l’organizzazione terroristica, celebra la decisione di Trump.

 

 

 

E’ falso che l’ONU e i suoi organismi siano anti-israeliani: gli USA e Israele confondono la critica con l’ostilità. Ad esempio la Risoluzione 2334, che condanna la colonizzazione israeliana, è stata una burla per i palestinesi, visto che l’ONU non ha mai preso alcuna misura per costringere Tel Aviv a rispettare la legalità internazionale. L’ONU non è neanche “anti giapponese” perchè mette il Massacro di Nankino (violazioni e uccisioni di 300.000 civili e prigionieri di guerra cinesi da parte dell’esercito giapponese nel 1937) nel programma “Memoria del mondo”. Anche Tokio ha minacciato di togliere i suoi fondi.

 

Tra i “delitti” dell’Unesco, secondo gli USA, ci sono:

 

-          Ritenere “senza valore giuridico” l’annessione di Gerusalemme orientale a Israele e chiedere il blocco degli scavi;

 

-          Dichiarare Israele “potenza occupante”;

 

-          Paragonarla al regime dell’apartheid in Sudafrica;

 

-          Riconoscere la città vecchia di Hebron e la moschea di Ibrahim come patrimonio palestinese.

 

Ma i motivi reali sono:

 

-          Le decisioni di una parte dei governanti USA dipendono dalle “bustarelle” che ricevono: si stima che il gruppo “Configurazione del Potere Sionista” (ZPC) abbia regalato ai legislatori USA circa 100 milioni di dollari negli ultimi 3 anni. Diceva Jack Straw, il diplomatico britannico, che “i gruppi che sviluppano politiche a favore di Israele, come l’ AIPAC, contano su fondi illimitati per canalizzare la politica USA”, cosa che il senatore William Fullbright denunciava nel 1973: “Gli israeliani controllano la politica del Congresso e del Senato”. Certo è che il senatore Tom Cotton ha ricevuto circa 1 milione di dollari dal Comitato d’Emergenza per Israele per firmare una lettera aperta contro l’accordo nucleare di Obama con l’Iran. Esistono numerose leggi che legano la politica degli USA agli interessi del piccolo paese ed una di queste prevede il restringimento dell’appoggio USA agli organismi dell’ONU che riconoscono la Palestina.

 

-          Il trionfo di “Israel first” nell’amministrazione Trump. La sua rappresentante all’ONU, Nikki Haley, ha promesso alla lobby filo israeliana dell’AIPAC di essere “un nuovo sceriffo” in difesa di Israele (in un altro paese sarebbe stata accusata di essere “una traditrice e un agente di un paese straniero”. Haley ha avvertito il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU (UNHRC) di frenare le sue critiche ad Israele per il blocco di Gaza, annunciando che l’agenda del Consiglio di Sicurezza nei suoi dibattiti mensili  sul Vicino Oriente si incentreranno su Iran, Siria, Hamas ed Hezbollah ma non su Israele.

 

-          Gli USA stanno facendo un doppio gioco: mentre abbandonano l’agenzia (e conservano il posto di osservatori), rafforzano la posizione di israele. Nello scorso marzo, la giordana Rima Jalaf, segretaria esecutiva della Commissione Economica e Sociale per l’Asia Occidentale, è stata costretta a dimettersi perchè ha rifiutato di ritirare il rapporto che criticava il trattamento da apartheid di Israele verso i palestinesi. Parallelamente l’Unesco ha elevato Danny Danon – ex vice ministro della Difesa israeliano durante l’attacco di Israele a Gaza nel 2014 in cui morirono circa 500 bambini palestinesi – alla vice-presidenza dell’Assemblea Generale dell’ONU. Questa settimana l’ebrea francese (e figlia di un banchiere) Audrey Azoulay è diventata la nuova direttrice dell’Unesco.

 

-          Riabilitare Israele nei forum mondiali, a costo del proprio prestigio. Trump sta riuscendo a far sì che gli USA abbiano nuovamente lo stato di ‘paria’ guadagnato nell’era Bush.

 

-          Anche se non osa trasferire l’ambasciata USA a Gerusalemme, Trump lascia che Israele vada avanti con i suoi progetti. Egli non farà teatrali rimproveri (come i suoi predecessori) al suo alleato.

 

-          Preparare il terreno per abbandonare l’accordo nucleare con l’Iran, come richiesto da Israele (e dall’Arabia Saudita) anche se questo danneggia gli USA.

 

-          Gli USA hanno già perso l’egemonia nell’agenzia, quindi non sentono la necessità di restarvi. L’UNESCO fu creata nel 1945 da 37 nazioni – soprattutto occidentali – con due principali obiettivi: la “de-nazificazione” dell’educazione in Europa e la difesa del sistema liberal-capitalistico a fronte del socialismo dell’URSS. La situazione cambia quando, nel 1980, la maggioranza dei circa 160 paesi che la compongono provengono dall’Africa e dall’Asia  e puntano più sul blocco socialista che su quello capitalista. Gli USA non vedono quindi l’utilità di continuare a pagare le fatture dell’Unesco. Altro dato curioso: gli USA nel 2003, mentre Bush veniva criticato per l’invasione dell’Iraq, tornarono dopo 20 anni di assenza, con l’immagine ripulita. Ora, e nell’anniversario dell’11 Settembre, gli USA non vedono la necessità di mettersi d’accordo con il mondo.

 

-          Continuare la politica del ritiro dagli accordi collettivi. Trump è già uscito dalla Convenzione dull’Ambiente di Parigi in giugno. Forse pretende che i vecchi trattati internazionali vengano rifatti in base agli interessi attuali degli USA, anche se questo provocherà il disordine a livello mondiale. Egli disprezza apertamente il principio di cooperazione internazionale per imporre la sua volontà arbitraria (ora che non la può imporre militarmente).

 

-          Così gli USA aumentano la pressione sull’ONU perchè “si riformi”, obbedendo alle loro politiche. Senza il loro denaro, l’Unesco dovrà tagliare i programmi e ricorrere ai volontari. Oggi la grande maggioranza dei suoi impiegati godono di un buon salario e risiedono in Europa.

 

-          Premere sulle altre potenze “pagatrici”. O si allineano a Trump o dovranno coprire il deficit di bilancio che lascia Washington. Così è: chi paga ... comanda!

 

-          Trump fa finta di seguire la sua agenda economica, risparmiando un po’ di dollari per convincere i contribuenti di agire bene, mentre toglie loro il pane per finanziare le sue vacanze. Uscendo dall’Unesco, gli USA potranno rifiutarsi di pagare i 500 milioni di dollari che devono a questa istituzione.

 

 

 

Israele aspira ad avere un seggio nel Consiglio di Sicurezza. Le sue solide relazioni con i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) – grazie alle vendite di armi e all’interscambio di intelligence – possono rendere reale questo sogno, mentre i palestinesi – più orfani che mai – temono che gli altri paesi li considerino responsabili del collasso delle istituzioni internazionali.

 

Ciò nonostante, il gesto di USA e Israele si deve alla loro frustrazione: è una reazione alla resistenza palestinese e alla sincera e crescente solidarietà internazionale con questo popolo.

 

 

 

(*) Giornalista e scrittrice iraniana. Vive in Spagna.

 

 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.tagarelli”

 

Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

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