THOMAS SANKARA

Thomas Sankara: il rivoluzionario africano aveva qualcosa da dire all’Europa

 

di Nick Dearden (*); da: lahaine.org; 24.10.2017

 

 Il 15 ottobre 1987 si interruppe brutalmente e sanguinosamente un processo rivoluzionario con l’assassinio di Thomas Sankara, presidente del giovane Stato del Burkina Faso. Negli anni che seguirono al suo assassinio, pianificato dal suo ex amico Blaise Compaoré – dirigente oggi del Burkina Faso – la rivoluzione di Sankara naufragò e il suo paese si trasformò in un altro feudo africano del Fondo Monetario Internazionale. Ma non va dimenticato che, per un breve periodo di quattro anni, il Burkina Faso brillò come tenace esempio di quello che si può realizzare anche in uno dei paesi più poveri del mondo. 

 

Sankara era un ufficiale subalterno dell’esercito dell’Alto Volta, ex colonia francese amministrata quale fonte di mano d’opera a basso costo a beneficio di una piccola classe dominante della vicina Costa d’Avorio e dei suoi padrini di Parigi. Mentre era studente, in Madagascar, Sankara radicalizzò le sue idee a seguito delle ondate di manifestazioni e scioperi in quel paese. Nel 1981 fu nominato funzionario del governo militare dell’Alto Volta, ma il suo aperto appoggio alla rivolta del popolo, manifestato all’interno e all’esterno delle frontiere, finì per farlo incarcerare. Nel 1983 il suo amico Blaise Compaoré organizzò il colpo di stato che avrebbe portato Sankara alla presidenza, alla giovane età di 33 anni.

 

Sankara concepiva il suo governo  come parte di un ampio processo di liberazione del suo popolo. Non tardò a convocare manifestazioni e formazione di comitati in difesa della rivoluzione. Questi comitati diventarono la pietra angolare della partecipazione popolare all’esercizio del potere. Vennero dissolti i partiti politici perché Sankara li considerava rappresentanti delle forze del vecchio regime. Nel 1984 Sankara cambiò il nome del paese in Burkina Faso, che significa “terra del popolo integro”. 

Sankara purgò la corruzione del governo, tagliò gli stipendi dei ministri e adottò un modo di vita spartano. La giornalista Paula Akugizibwe dice che Sankara “andava al lavoro in bicicletta prima di passare, su insistenza del suo gabinetto, a guidare una Renault 5, una delle auto meno care in Burkina Faso a quell’epoca. Viveva in una casetta di mattoni e vestiva solo di cotone prodotto, tessuto e cucito in Burkina Faso”.

 

Di fatto l’adozione degli indumenti e degli alimenti di produzione nazionale fu uno degli elementi centrali della strategia economica disegnata da Sankara perchè il paese rompesse con la dominazione occidentale. E’ famosa la sua frase “Dov’è l’imperialismo? Nei nostri piatti di riso, di mais e miglio importati ... questo è imperialismo”.

 

La sua soluzione stava nell’agricoltura con la parola d’ordine “Consumiamo unicamente quello che è sotto il nostro controllo”. Il risultato fu incredibile: il paese raggiunse l’autosufficienza alimentare in quattro anni. Jean Zigler, ex relatore Speciale dell’ONU per il Diritto all’Alimentazione, sosteneva che la massiccia distribuzione delle terre, dei fertilizzanti e dell’irrigazione avesse favorito l’apogeo della produttività agricola e “la fame divenne un retaggio del passato”.

 

Vennero raggiunti notevoli successi nella salute pubblica grazie alla vaccinazione di milioni di bambini e nell’educazione, in un paese che soffriva di un analfabetismo superiore al 90%. Venne costruita l’infrastruttura di base per sviluppare le comunicazioni interne, vennero nazionalizzate le risorse e si costruì l’industria nazionale. Vennero piantati milioni di alberi per frenare la desertificazione del territorio. 

Questi sforzi richiesero l’intensa mobilitazione del popolo burkinese, un popolo che cominciò a costruire il proprio paese con le sue mani, cosa fondamentale secondo Sankara.

 

Pochi rivoluzionari hanno sottolineato così tanto l’importanza della liberazione delle donne come Sankara. Per lui l’emancipazione delle donne era cruciale per spezzare il sistema feudale imposto la paese. Questa emancipazione comprendeva l’accesso delle donne a tutte le professioni, comprese quelle dell’esercito e dell’amministrazione pubblica, oltre all’interruzione delle pressioni sociali perchè le donne si sposassero, e il coinvolgimento delle donne quali protagoniste della mobilitazione rivoluzionaria dalla base. 

Non parliamo dell’emancipazione delle donne come di un atto di carità, né come un gesto di compassione umana. Si tratta di una necessità fondamentale per il trionfo della rivoluzione”. Sankara concepiva la lotta delle donne in Burkina Faso come “parte della lotta di tutte le donne del mondo”.

 

Sankara fu più che un dirigente e un visionario ... forse ciò che oggi è per noi più interessante della sua guida è il modo in cui trasformò gli incontri internazionali in piattaforme per esigere dalle sue controparti la sfida contro le profonde ingiustizie strutturali che paesi come il Burkina Faso affrontavano. A metà del decennio del 1980 questa esigenza puntava a pronunciarsi contro il debito estero. 

Durante la Conferenza dell’Organizzazione per l’Unità Africana organizzata nel 1987, Sankara prese la parola per convincere gli altri dirigenti africani a rifiutare il pagamento dei loro debiti pubblici con queste parole: “Il debito è un’intelligente manovra per riconquistare l’Africa. Si tratta di una riconquista che ci trasforma, ognuno di noi, in schiavi finanziari”. Nell’osservare come ogni governante si avvicinava all’Occidente per cercare una piccola ristrutturazione del debito pubblico, propose l’organizzazione di azioni collettive per liberare tutto il continente africano dalla dominazione occidentale e dichiarò: “Se il Burkina Faso è l’unico paese che rifiuta di pagare il debito pubblico, non vivrò per assistere alla prossima conferenza”. Disgraziatamente le sue furono parole profetiche.

 

E’ vero che non tutte le politiche di Sankara funzionarono. Tra le più discusse figura la sua reazione ad uno scioperi dei maestri: dopo aver licenziato migliaia di docenti, decise di sostituirli con un esercito di cittadini, in maggioranza non qualificati. Il suo sistema di tribunali rivoluzionari fu veicolo di abusi da parte di coloro che avevano rancori personali. E proibì sindacati e partiti. 

Alcune di queste misure, insieme alla trasformazione radicale della società, gli guadagnarono nemici. Sankara fu assassinato durante un colpo di Stato progettato da Blaise Compaoré. Tutto indica che Compaoré contò su appoggi dall’estero, almeno dal presidente della Costa d’Avorio Félix Houphouët-Boigny, un servo del governo francese. La rivoluzione di Sankara fu abbandonata da chi era stato suo compagno e il Burkina Faso tornò ad essere un altro paese africano la cui economia è sinonimo di povertà e disperazione. 

Oggi Sankara non è conosciuto al di fuori dell’Africa: la sua personalità e le sue idee non calzano con la nozione dell’Africa che l’Occidente ha fabbricato negli ultimi 30 anni. E’ difficile trovare al mondo un dirigente meno corrotto e meno interesata all’autocompiacimento di Thomas Sankara; e anche la sua persona non calza con l’immagine che le organizzazioni caritative usano per riferirsi ai “poveri bisognosi” dell’Africa. Sankara aveva ben chiaro il ruolo degli aiuti occidentali e il ruolo del debito pubblico come strumento per controllare l’Africa.

 

La radice della malattia è politica, la cura non può essere che politica. Naturalmente accettiamo l’aiuto che ci aiuta a smettere di aver bisogno d’aiuto. Ciò nonostante, in termini generali, le politiche assistenzialiste sono riuscite solo a disorganizzarci, a sottometterci e a toglierci il senso di responsabilità verso i nostri stessi interessi economici, politici e culturali. Scegliamo il rischio di tracciare nuove strade per raggiungere un benessere maggiore”.

 

Gli incredibili risultati nella qualità di vita del popolo burkinese furono il risultato delle politiche di Sankara; tuttavia egli non sarebbe sorpreso di sapere che queste politiche sono state sistematicamente minate da governi e organizzazioni occidentali che dicono di voler realizzare tali risultati per se stessi. 

Forse oggi le parole di Sankara sono più che pertinenti per guardare alla nostra stessa crisi europea. Le sue parole trovano eco nel popolo greco, in quello portoghese, in quello spagnolo o nel popolo irlandese, che a malapena sanno chi era Sankara: “Quelli che ci hanno indotto al debito pubblico stavano speculando come se si fossero trovati in un casinò. Oggi parlano di crisi, ma mentono: hanno scommesso ed hanno perso. Non possiamo pagare il debito pubblico perchè non abbiamo con che pagarlo. Non possiamo pagare il debito perchè non è responsabilità nostra”.

 

Thomas Sankara credeva profondamente nel popolo, non solo nel popolo burkinese o nei popoli africani, ma nei popoli del mondo. Era convinto che il cambiamento deve essere creativo, lontano dal conformismo, e che deve anche possedere “una certa pazzia”. Credeva che il cambiamento radicale sarebbe avvenuto solo quando il popolo ne fosse convinto e fosse attivo invece che passivo e sottomesso. Credeva, anche , in soluzioni politiche non di beneficienza.

 

Non c’è dubbio sull’importanza straordinaria di Sankara, proprio oggi, per le nostre lotte per la giustizia in Europa e nel resto del mondo.

  

(*) Direttore di Global Justice Now 

 

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

 

 

News