Avvoltoi tricolori sul Niger
di Daniela Trollio (*)
“Paesi specializzati nel guadagnare e paesi specializzati nel rimetterci: ecco il significato della divisione internazionale del lavoro…… La nostra ricchezza ha sempre generato la nostra povertà per accrescere la prosperità degli altri: gli imperi e i loro caporali locali”
Eduardo Galeano, Le vene aperte dell’America Latina
Mentitori, come sempre. Nello scorso maggio 2017 il Ministero della Difesa “smentisce le notizie relative all’invio di militari italiani in Niger”. Si trattava di quella che già tutti chiamavano Operazione “Deserto Rosso”. In settembre
i ministri Roberta Pinotti e Kalla Moutari firmano un accordo di cooperazione, senza che ne siano precisati i contenuti. Il 17 gennaio 2018 la 27° legislazione si conclude con il voto favorevole
- oltre al proseguimento delle attuali missioni militari…. scusate, “interventi umanitari”, li chiamano loro … - ad una nuova missione, quella in Niger, “nel quadro di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area”, oltre ad un intervento in Tunisia.
Qualche dato
Il Niger è uno degli ultimi 10 stati nel mondo per PIL pro capite. La sua è una delle più povere economie degli stati del Terzo Mondo ed è basata essenzialmente sulla pastorizia e sull’agricoltura. Il paese importa prodotti alimentari di base come olii, latte in polvere, farine, zucchero e cereali. Esporta cipolle e fagioli secchi! Il 13,9% della popolazione nigerina è malnutrito, il 59,5% vive sotto la soglia della povertà, che colpisce in particolare la popolazione rurale (il 63,9%). I due terzi dei 19 milioni di abitanti vivono con meno di un dollaro al giorno.
Ma … c’è un ma: come nel caso di altri paesi estremamente poveri, il Niger è ricco di minerali. Uranio, carbone, ferro, fosfati, oro e petrolio, tant’è vero che è il 5° paese al mondo per estrazione dell’uranio (più di 3.000 tonnellate l’anno), estrazione gestita in gran parte dalla multinazionale francese Areva.
“Deserto Rosso”
Di uno degli obiettivi dichiarati, quello di “combattere il terrorismo”, non è neanche il caso di parlare: l’Europa si lecca le ferite sanguinanti di questa lotta e non è certo finita, purtroppo.
Un altro, invece, è quello di bloccare il ‘nodo’ di Agadez, passo obbligato verso l’imbarco successivo sulle coste libiche dei gruppi di migranti provenienti dall’Africa occidentale che cercano di attraversare il Mediterraneo. Obiettivo un po’ in ritardo, visto che l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM), a fine 2016, aveva registrato una significativa diminuzione: “L’affluenza è diminuita in modo importante dal settembre 2016, quando l’azione del governo contro i trafficanti ha cominciato ad essere più visibile e forte” affermava il capo della missione OIM in Niger, Giuseppe Loprete.
Viene naturale, quindi, chiedersi cosa c’è sotto.
Tanto per cominciare, l’imperialismo italiano è solo l’ultimo arrivato: la Francia, che possedeva la colonia fino al 1963, gioca in casa grazie al suo passato coloniale facendo la parte del leone, con 4.000 soldati e decine di basi militari sparse nell’area; la Germania ha circa 1.000 militari nel Sahel e una base nella capitale nigerina. Gli Stati Uniti hanno la base militare per i droni più grande dell’Africa sub sahariana poco fuori Agadez e da tempo conducono missioni sia in Niger che in Burkina Faso utilizzando aerei-spia, forze speciali e contractors con basi a Ougagadougou, Niamey e Agadez.
Pur essendo in po’ in ritardo, l’Italia è comunque il terzo investitore al mondo nel continente. ENI e ENEL sono in testa, seguono aziende delle costruzioni, del settore infrastrutture, ecc.
Ma c’è un inciampo a questa nuova corsa dell’imperialismo europeo, e questo inciampo si chiama Cina.
L’Africa è un continente allo stesso tempo poverissimo e ricchissimo, dipende da chi la guarda: materie prime, metalli preziosi e strategici, terre coltivabili, manodopera a bassissimo costo.
Con più di un miliardo di persone da sfamare, con le terre coltivabili che vanno perdute per il riscaldamento globale, zitta zitta la Cina ha
fatto acquisti in tutto il continente, Niger compreso, tant’è vero che è il principale creditore del Paese. Numerose sono le imprese cinesi attive nel campo
dell'estrazione del petrolio nella regione di Diffa e nella raffinazione nella regione centrale del Paese. E se la multinazionale francese Areva estrae l’uranio che contribuisce per il 30%
al fabbisogno di casa, la Cina ha recentemente ottenuto la concessione per lo sfruttamento delle miniere di Azelik.
Manodopera a bassissimo costo, dicevamo. Ed ecco spiegato il ritornello che ripetono tutte le istituzioni e i partiti: “aiutiamoli a casa loro”.
Erigendo muri, tagliando a milioni di uomini, donne e bambini ogni possibilità di sfuggire a guerre, violenze, fame e miseria attraverso l’intervento e il controllo militare diretto sul territorio, ecco che gli imperialisti disporranno di un’immensa riserva di schiavi salariati da sfruttare alle peggiori condizioni possibili, oltre ad incrementare l’unica industria che tira, anche in tempi di crisi: quella delle armi.
Ma quanto mi costi!
L’operazione annunciata da Gentiloni al termine del G5 Sahel prevede l’invio di 470 uomini e 150 veicoli.
Si stima che il costo dell’operazione sarà di circa 1.500 miliardi, che pagheranno i proletari italiani con ulteriori tagli alla sanità, all’istruzione, alla sicurezza sul lavoro, a quello che resta del welfare, insieme ai costi delle altre missioni “umanitarie”.
A questo proposito, il pacifista cattolico Alex Zanotelli, che è uno che se ne
intende, negli ultimi giorni del 2017 ha fatto un riassunto delle “iniziative di pace” presenti e future, con i relativi costi. Qui sotto riportiamo alcuni paragrafi.
“Nel 2015 è stata inaugurata a Lago Patria (parte della città metropolitana di Napoli) una delle più importanti basi NATO d’Europa, che il 5 settembre scorso (2017) è stata trasformata nell’Hub contro il terrorismo (centro di spionaggio per il Mediterraneo e l’Africa). Sempre a Napoli, la famosa caserma della Nunziatella è stata venduta dal Comune di Napoli per diventare la Scuola Europea di guerra. Ad Amendola (Foggia) è arrivato lo scorso anno il primo cacciabombardiere F-35 armabile con le nuove bombe atomiche B 61-12. In Sicilia, la base militare di Sigonella (Catania) diventerà nel 2018 la capitale mondiale dei droni. E sempre in Sicilia, a Niscemi (Trapani) è stato installato il quarto polo mondiale delle comunicazioni militari, il cosiddetto MUOS.
Sempre più spese in armi e sempre meno per l’istruzione, sanità e welfare. Basta vedere il Fondo di investimenti del governo italiano per i prossimi anni per rendersene conto. Su 46 miliardi previsti, ben 10 miliardi sono destinati al Ministero della Difesa: 5.3 miliardi per modernizzare le nostre armi e 2.6 per costruire il Pentagono italiano, ossia un’unica struttura per i vertici di tutte le nostre forze armate, con sede a Centocelle (Roma).
Quest’anno il governo italiano spenderà 24 miliardi di euro in Difesa, pari a 64 milioni di euro al giorno. Per il 2018 si prevede un miliardo in più.
Ma è ancora più impressionante l’esponenziale produzione bellica nostrana: Finmeccanica (oggi Leonardo) si piazza oggi all’8° posto mondiale. Lo scorso anno abbiamo esportato per 14 miliardi di euro, il doppio del 2015! Grazie alla vendita di 28 Eurofighter al Kuwait per otto miliardi di euro, merito della ministra Pinotti, ottima piazzista d’armi. E abbiamo venduto armi a tanti paesi in guerra, in barba alla legge 185 che ce lo proibisce. Continuiamo a vendere bombe, prodotte dall’azienda RMW Italia a Domusnovas (Sardegna), all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen, dov’è in atto la più grave crisi umanitaria mondiale secondo l’ONU (e questo nonostante le quattro mozioni del Parlamento Europeo!).L’Italia ha venduto armi al Qatar e agli Emirati Arabi con cui quei paesi armano i gruppi jihadisti in Medio Oriente e in Africa (noi che ci gloriamo di fare la guerra al terrorismo!). Siamo diventati talmente competitivi in questo settore che abbiamo vinto una commessa per costruire quattro corvette e due pattugliatori per un valore di 40 miliardi per il Kuwait.
Non meno preoccupante è la nostra produzione di armi leggere : siamo al secondo posto dopo gli USA! Sono queste le armi che uccidono di più! E di questo commercio si sa pochissimo.
Quest’economia di guerra sospinge il governo italiano ad appoggiare la militarizzazione della UE. E’ stato inaugurato a Bruxelles il Centro di pianificazione e comando per tutte le missioni di addestramento, vero e proprio quartier generale unico. Inoltre la Commissione Europea ha lanciato un Fondo per la Difesa che a regime svilupperà 5,5 miliardi di investimento l’anno per la ricerca e lo sviluppo industriale nel settore militare. Questo fondo, lanciato il 22 giugno, rappresenta una massiccia iniezione di denaro pubblico nell’industria bellica europea. Sta per nascere la PESCO - Cooperazione Strutturata Permanente della UE nel settore militare (la Shengen della Difesa!). “Rafforzare l’Europa della Difesa – afferma la Mogherini, Alto Rappresentante della UE per gli Affari Esteri – rafforza anche la NATO.”
La NATO, di cui la UE è prigioniera, è diventata un mostro che spende 1000 miliardi di dollari in armi all’anno. Trump chiede ora ai 28 paesi membri della NATO di destinare il 2% del Pil alla Difesa. L’Italia destina oggi 1,2 % del Pil per la Difesa. Gentiloni e la Pinotti hanno già detto di sì al diktat di Trump. Così l’Italia arriverà a spendere 100 milioni al giorno in armi.
…….. Fa parte di questo piano anche l’ammodernamento delle oltre duecento bombe atomiche B61, piazzate in Europa e sostituite con le nuove B61-12 . Il Ministero della Difesa ha pubblicato in questi giorni sulla Gazzetta Ufficiale il bando di costruzione a Ghedi (Brescia) di nuove infrastrutture che ospiteranno una trentina di F-35 capaci di portare cadauno due bombe atomiche B61-12. Quindi solo a Ghedi potremo avere sessantina di B61-12, il triplo delle attuali! Sarà così anche ad Aviano? Se fosse così rischiamo di avere in Italia una forza atomica pari a 300 bombe atomiche di Hiroshima! Nel silenzio più totale!
Mai come oggi, ci dicono gli esperti, siamo vicini al ‘baratro atomico’. Ecco perché è stato provvidenziale il Trattato dell’ONU, votato il 7 luglio scorso, che mette al bando le armi nucleari.
Eppure l’Italia non l’ha votato e non ha intenzione di votarlo.”..
Non c’è bisogno di commentare quanto sopra, che dimostra che quello italiano non è affatto un imperialismo “straccione” come molti tendono a pensare
Nella realtà della nuova ri-colonizzazione e della spartizione dei mercati noi ci siamo immersi fino al collo; la guerra non è mai stata tanto vicino a noi. Non solo perché tocca le nostre vite con il peggioramento delle condizioni di lavoro e sociali.
Sono in atto alcuni meccanismi classici di tutte le guerre imperialiste: la militarizzazione quale strumento di risoluzione di tutti i problemi sociali e il conseguente appello al “patriottismo”, in base al quale dovremmo smettere di rivendicare i nostri diritti; la creazione di un “nemico” a cui addebitare i nostri problemi: quei nostri fratelli di classe che chiamano – spersonalizzandoli – “migranti”, che “ci rubano il lavoro” e sono causa dell’insicurezza del nostro paese (non solo del nostro, visto che il discorso tocca tutto il mondo, Trump dixit…). Se torniamo con la memoria al periodo immediatamente precedente la 2° guerra mondiale, che non è poi così lontano, ce li ritroviamo tutti.
Verrà il giorno, purtroppo, - e bisogna dirlo chiaramente – in cui saremo chiamati anche noi a versare
il nostro sangue per i padroni, sangue che già versiamo visto che i morti di lavoro sono circa 5.000 all’anno, se non capiremo che - come diciamo da
anni – il nemico è in casa nostra, se non decidiamo di dire “basta”. Basta alle guerre imperialiste, basta allo sfruttamento, ormai senza freni, basta ad una società dove conta solo il massimo
profitto dei capitalisti.
Oggi, nel nostro paese, pare che – nonostante le cose agghiaccianti che avete letto sopra – ci sia un unico problema: le elezioni. Può davvero cambiare qualcosa? Decisamente no e, tanto per restare in tema con l’articolo, ricordiamo che tutte le avventure militari italiane hanno sempre goduto del sostegno bi-partisan delle forze politiche.
Le elezioni passano, i padroni restano. Il resto sono solo vuote chiacchiere, che ci rifilano da
troppo tempo, contando sulla nostra mancanza di memoria e, soprattutto, di organizzazione.
(*) Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto San Giovanni (MI)
Pubblicato sulla rivista nuova unità, febbraio 2018