Pubblicato sulla rivista Scintilla n. 87 di marzo 2018
Risposta a Scintilla
Sul numero 86 del febbraio 2018 di “Scintilla”, sotto il titolo “Risposta a un articolo stimolante”, i compagni di Piattaforma Comunista rispondono a un mio articolo pubblicato nel numero di gennaio 2018 di “nuova unità” dal titolo “Potere operaio e organizzazione comunista”.
Ringrazio i compagni per la risposta e il garbo con cui replicano al mio articolo, aprendo un confronto sul che fare di chi oggi si dichiara comunista. Confronto che raccolgo volentieri.
I compagni di Scintilla concordano su una serie di analisi e affermazioni - in particolare ” pochi operai e proletari rivoluzionari, comunisti, sono costretti a lavorare nel movimento di massa, sindacale, sociale, divisi fra loro, frazionati, dispersi e annacquati fra alcune decine di organizzazioni che si definiscono “comuniste” senza alcun confronto fra loro, alcun dialogo, con gli operai spesso isolati anche nelle loro organizzazioni”. E che occorre “cominciare a interrogarsi sul come uscire dal pantano in cui siamo caduti, come ricomporre la classe proletaria, la nostra organizzazione politica rivoluzionaria”. E che “oggi serve una sola organizzazione di classe proletaria anticapitalista antimperialista di combattimento, indipendente, non di mera rappresentanza”, e “un’unica grande organizzazione di classe che si pone l’obiettivo del potere operaio”.
Ma essi si soffermano sull’ultima frase del mio scritto che afferma “Oggi il “che fare” è: quale deve essere il ruolo dei comunisti nel movimento di massa attuale?”, ritenendo che “La domanda, così come è posta, rischia di far retrocedere il dibattito”.
Scrivono i compagni di Scintilla:”E’ infatti proprio per svolgere un ruolo efficace nel movimento operaio che i comunisti e gli operai di avanguardia devono essere organizzati, devono disporre di una propria organizzazione indipendente e centralizzata, dotata di una teoria rivoluzionaria, non un assemblaggio o un eterogeneo coordinamento. Senza di essa è impossibile condurre una permanente propaganda e agitazione politica, chiamare le masse operaie ad azioni politiche, sviluppare la coscienza politica della classe, fondere il socialismo scientifico col movimento operaio per dargli un orientamento rivoluzionario. Senza una solida organizzazione comunista, un embrione del partito basato sul movimento operaio, non si può uscire dal pantano della frammentazione e del confusionismo ideologico, non si può svolgere un ruolo nella classe e nei suoi movimenti. Questo è il compito fondamentale dei marxisti leninisti, il nostro “che fare”.
Cari compagni, come non essere d’accordo con questa affermazione di principio? Tuttavia non possiamo scambiare i nostri desideri con la realtà, ma dobbiamo partire dall’analisi concreta attuale dell’imperialismo, del movimento operaio, delle sue avanguardie rivoluzionarie e di quelle che si autoproclamano “comuniste”.
Se in Italia la costruzione del Partito Comunista (sezione dell’Internazionale comunista) è stata agevolata e resa possibile
dalla nascita della Terza Internazionale fondata da Lenin e dai 21 punti da essa stabiliti, oggi la classe operaia e proletaria mondiale è divisa e frazionata, come quella italiana, e non ha una
sua organizzazione internazionale.
In questo quadro oggi in Italia i pochi operai e proletari rivoluzionari presenti nei vari partiti e raggruppamenti che si definiscono comunisti sono frazionati, divisi in varie organizzazioni che spesso somigliano a sette, in concorrenza fra loro, senza alcun ruolo dirigente neanche nelle loro organizzazioni, che pure dicono di riconoscere il ruolo dirigente della classe operaia cosciente nella lotta contro la distruzione del sistema capitalista e per il socialismo.
I “comunisti”, autoproclamati e autoreferenziali, o s’ignorano o perdono più tempo a litigare e criticarsi a vicenda che a lottare concretamente contro il capitale e il suo stato.
Il cretinismo parlamentare di alcune di queste organizzazioni non solo porta acqua al sistema capitalista facendo apparire persino la dittatura della borghesia imperialista “democratica”, illudendo se stessi e le masse di poter cambiare in modo “democratico” il sistema, partecipando ai giochi nell’arena borghese, con scarsi risultati che demoralizzano - e rendono ridicola anche la conta di quanti votano la falce e martello con i loro numeri da presidio telefonico - le masse proletarie, i pochi sinceri rivoluzionari che si cimentano su questo terreno.
Certo i comunisti non sono astensionisti di principio ed io penso che oggi non esistano le condizioni per partecipare a
elezioni, ma quei partiti o organizzazioni “comuniste” che hanno deciso di farlo dovrebbero almeno dire che lo stato operaio o il “potere dei lavoratori” non si può ottenere con la croce sulle
schede elettorali perché quello che rivendicano i comunisti è la negazione della democrazia borghese.
Molti operai che si definiscono rivoluzionari e comunisti nei luoghi di lavoro godono fra i loro compagni di lavoro di stima, considerazione e, in alcuni casi, anche di un seguito, dimostrando che, anche nelle lotte di difesa, i migliori sindacalisti sono i rivoluzionari, i comunisti che sanno dirigere le lotte. L’esperienza e la pratica della fabbrica o dei luoghi di lavoro unificano le condizioni di sfruttamento e costringe i comunisti di tutte le tendenze a confrontarsi per lottare uniti e organizzati nelle lotte economiche contro i padroni.
La pratica della lotta di classe s’incarica di dimostrare, agli occhi delle masse proletarie e popolari che partecipano alle lotte, chi sono i parolai che stanno alla coda del movimento, i grilli parlanti che si limitano a pontificare senza esporsi e chi invece si mette alla testa della battaglia, conquistandosi - oltre che la stima dei compagni di lotta - l’odio dei padroni e pagandone spesso un prezzo con denunce, arresti e licenziamenti.
In altre parole lo scontro, il conflitto di classe e l’esito della lotta determinano anche l’esattezza o meno di una linea
politica.
L’esperienza ci insegna che pochi quadri operai comunisti (in fabbrica o nel sociale) possono orientare e dirigere interi
movimenti di lotta; questo avviene già oggi anche in mancanza di un partito della classe, anche se queste lotte - senza una strategia e un partito che lotta per la distruzione del capitalismo e
per il socialismo - sono destinate a rifluire.
Scrivono inoltre i compagni di Scintilla:
Noi non pensiamo che sia il momento di proclamare la costituzione del Partito, a causa
di alcune ragioni, quali la distanza esistente fra quello che resta del movimento comunista e la classe operaia; la scarsità di quadri rivoluzionari proletari, etc. (se c’è chi pensa il contrario
deve dimostrarlo, per non creare l’ennesimo partito campato per aria).
Anche su questo non posso che essere d’accordo. Ma, cari compagni, in mancanza di un partito che formi i quadri proletari rivoluzionari, va ricordato che i quadri rivoluzionari non si formano solo studiando sui libri ma nel fuoco della lotta di classe.
Oggi la maggioranza delle organizzazioni cosiddette comuniste esistenti sulla piazza Italiana è più attenta ad apparire, autoproclamandosi, che ad agire nella classe, snobbando il duro lavoro rivoluzionario nella classe operaia e proletaria - vivendo con loro le lotte, i picchetti, la lotta contro i licenziamenti ecc. - con la scusa che oggi il proletariato è arretrato, dimenticandosi o non vedendo che, se oggi molti proletari ragionano come i loro padroni, è solo perché quelli che si autoproclamano “avanguardie” della classe operaia in realtà sono avanguardia di altre classi e di se stessi.
Non può esistere alcuna organizzazione comunista - e tantomeno il partito comunista avanguardia organizzata della classe - se al suo interno la maggioranza dei quadri e dei militanti non sono operai e proletari.
A differenza di molti pseudo - rivoluzionari che predicano il conflitto senza praticarlo, gli operai, anche quelli meno
coscienti che vivono sulla loro pelle giornalmente lo sfruttamento, si scontrano ogni giorno, loro malgrado, contro il capitale, le sue istituzioni e il suo stato. A differenza di quelli che fanno i rivoluzionari nei salotti e nei centri sociali, oggi gli operai coscienti anche senza una loro organizzazione rivoluzionaria
comunista, non si arrendono. Le contraddizioni del capitalismo generano costantemente nelle classi oppresse e sfruttate ribellioni e conflitti, spontanei, spesso latenti, a volte pacifiche, altre
violente. Senza un partito, una visione del mondo e un programma socialista che lotta contro la proprietà privata del modo di produzione capitalista e considera lo sfruttamento dell’uomo
sull’uomo un crimine contro l’umanità sono destinati a essere soffocate.
Infine i compagni di Scintilla terminano il loro scritto con una proposta, e scrivono: "Siamo invece convinti che vi sono le condizioni per dar vita a un’organizzazione preparatoria del partito che agisca sulla base dei principi del comunismo; che disponga di un giornale politico combattivo del proletariato rivoluzionario, il quale sviluppi una propaganda e un’agitazione a favore delle concezioni e della pratica coerentemente marxiste-leniniste; che lavori quotidianamente per unire il socialismo scientifico al movimento operaio, riunendo i gruppi comunisti e gli operai d’avanguardia".
“E' d'accordo il compagno Michele con questa nostra proposta? Da questo lavoro di consolidamento ideologico e organizzativo, dalla fusione di settori omogenei di proletari rivoluzionari che devono radicarsi nella classe, sorgerà il Partito che crescerà rapidamente nel momento in cui la lotta di classe divamperà di nuovo. Su ciò vale veramente la pena di confrontarsi e di scontrarsi, altrimenti si tornerà da capo alle fallimentari esperienze dei coordinamenti, dei fronti e delle reti eclettiche.”
Formulazione di principio con cui concordo, ma questo non basta. Per molti di noi, le divisioni non sono oggi sui principi del marxismo–leninismo in cui ci riconosciamo, ma sulla loro applicazione pratica.
Il marxismo leninismo è una bussola che serve a orientarci e agire nella realtà in cui siamo inseriti per cambiarla, ma come agiscono nella classe operaia e nel movimento proletario i militanti delle varie organizzazioni che si dichiarano “comuniste”?
La lotta teorica è importante e determinante ma deve servire a guidare una pratica conseguente, non possiamo continuare a comportarci come sette in concorrenza. Purtroppo oggi - per errori e limiti nostri e per capacità dei nostri nemici - il movimento comunista è frazionato e diviso come la classe operaia e proletaria, e addirittura cristallizza organizzativamente le divisioni sindacali e politiche esistenti nel proletariato.
Se riconosciamo che Il marxismo–leninismo è la teoria della liberazione dalla classe operaia dallo sfruttamento capitalista e una guida per l’azione, bisogna darsi degli strumenti, trovare o costruire ambiti e momenti di confronto teorici e pratici.
Purtroppo la presunzione di chi si sente già partito e chiede l’adesione, l’annessione e la critica e l’autocritica agli altri
senza mai mettersi in discussione, continua a ritardare l’unificazione della classe e della sua avanguardia, compresa la ricostruzione di un unico partito della classe operaia e proletaria,
l’unica classe che se organizzata passando “dalla classe in se alla classe per se” è in grado di dirigere e di costruire un blocco sociale con altre classi sfruttate.
Cominciare a discutere, confrontarci, dividerci se necessario sulle tattiche, ma unirci sulla strategia e sui problemi e sulla storia del movimento comunista è importante. Tuttavia ancora più importante è unirsi nella lotta contro il capitalismo, contro l’imperialismo, non combattere in ordine sparso. E’ nella lotta per il socialismo - che per noi comunisti non significa genericamente potere ai lavoratori, ma la dittatura del proletariato - che oggi possiamo fare i primi passi per rompere le gabbie e l’isolamento in cui siamo confinati.
Oggi, in particolare in Italia, il problema di quelli che si considerano comunisti non è solo quello di unirsi sui principi,
importantissimi e determinanti, ma è il confronto su come si applicano i principi del comunismo nella realtà dello scontro delle classi.
Oggi il primo passo per rompere le divisioni e la concorrenza fra “comunisti” è quello di costruire ambiti per discutere e
confrontarci come militanti su come le organizzazioni che si definiscono comuniste intervengono nella classe operaia e proletaria, con quale agitazione e propaganda, su quali parole d’ordine e
obiettivi. Confrontarsi su questo significa cominciare a rompere i muri che impediscono un corretto confronto politico nell’interesse delle lotte su obiettivi condivisi: è questo, secondo me, il
primo passo per arrivare, come voi sostenete, a “ dar vita a un’organizzazione preparatoria del partito”.
Saluti
Michele Michelino