Iran, USA e le guerre (invisibili) alla periferia
di Silvina M. Romano (*)
Quello a cui assistiamo nella scalata di tensione a livello internazionale in virtù della ritirata degli USA dall’Accordo nucleare firmato con l’Iran, in definitiva potrebbe essere inquadrato nella ridefinizione di cosa è la guerra, o cosa si intende oggi per guerra e l’impatto che ha il concetto nell’opinione pubblica.
Dalla 2° Guerra Mondiale non ci sono guerre globali: ci
fu la Guerra Fredda tra le potenze che si materializzò o colpì la periferia attraverso guerre limitate di bassa intensità. Nel secolo XXI si parla invece di interventi, conflitti armati,
conflitti di alta intensità. Cambiano anche i modi di utilizzare il vocabolo “guerra”: “guerra alle droghe”, o “guerra al terrorismo”, vocabolo utilizzato a fini propagandistici per generare un
certo impatto, ma che nessuno si aspetta venga interpretato come una guerra “sul serio”.
Sembra che, nel corso dei decenni, il concetto di “guerra” abbia perso forza o sensazione di “realtà”, sempre e quando questi conflitti, che potrebbero essere definiti come “guerra punto e basta”, si sviluppino nella periferia.
In questi spazi, come in Medio Oriente, ci sono conflitti permanenti. La gente vive in una guerra permanente. Tuttavia la stampa internazionale, le opinioni degli esperti, le società che fanno affari in quei paesi la percepiscono/mostrano come uno “stato naturale” di quelle società: là la gente vive “così”.
Invece, quando il conflitto colpisce le potenze
occidentali, allora acquisisce maggiore visibilità, diventa un problema nel quale l’Occidente, e specialmente gli USA, è obbligato ad intervenire per
risolvere, soprattutto in uno schema in cui Cina e Russia si mostrano come contrappesi importanti.
Gli scenari di guerra permanente invisibile che acquisiscono periodicamente visibilità (dovuto agli interessi in gioco, al timing politico e alla disputa geopolitica e geoeconomica di cui sono protagoniste alcune potenze) potrebbero essere l’Iran o la Siria, o anche la Colombia e il Messico.
Alcuni dati. In Siria, negli ultimi 7 anni, il saldo è di più di 510.000 morti, 2 milioni di feriti, 12 milioni tra sfollati e rifugiati. In Colombia, il conflitto “interno” ha lasciato 8 milioni di vittime (compreso sfollati, torture, sparizioni forzate ecc.). La maggioranza delle vittime datano all’anno 2000, a partire dall’applicazione del Plan Colombia. Il picco delle vittime fu nel 2002: 750.000. E tra il 2000 e il 2018 si aggiungono 6,5 milioni di sfollati. In Messico, la “guerra contro la droga” combattuta nei sei anni di presidenza Calderòn, si è portata via 200.000 vittime. Nel 2017 fu contabilizzato il picco degli omicidi in 24.000. Tra il 2007 e il 2016 sono state trovate 1.075 fosse comuni con 2.024 morti.
Gli scenari citati di solito non sono una preoccupazione permanente per la stampa internazionale.
Ma quando invece acquistano visibilità, si evita di storicizzare la congiuntura e si spargono una
serie di parole al vento o concetti che si ripetono più volte perché il pubblico faccia certe associazioni molto superficiali.
Nel caso dell’Iran, si ripetono concetti come: minaccia nucleare, petrolio, autoritarismo, terrorismo.
In questo modo si associano questi concetti tra loro e si genera una immagine (negativa) dell’Iran. In questa ripetizione si omette di commentare la guerra dichiarata dalle potenze occidentali conto i processi di cambio in Medio Oriente (che possano mettere in pericolo o ostacolare i diversi interessi geopolitici e geoeconomici nell’area o in paesi concreti). Ad esempio, si evita il “ricordo” dello scandaloso rovesciamento nel 1953 di Mossadeq, governo che cercò di nazionalizzare il petrolio. Questa misura danneggiava principalmente le industrie petrolifere inglesi, che cercarono l’appoggio degli USA.
Fu la prima operazione “coperta” della CIA.
Allo stesso modo si evita di indagare quanto è relativo a questa guerra permanente non convenzionale dichiarata contro l’Iran, per esempio attraverso le sanzioni.
. Cosa implicano? Restrizioni economiche e finanziarie in relazione al mercato internazionale, tendono ad ostacolare il funzionamento dell’economia interna. Generano crisi di diverso tipo e instabilità.
. Chi colpiscono? In teoria dovrebbero colpire funzionari di governo o società che siano direttamente legate al governo di turno. In pratica colpiscono tutta l’economia, la gente in generale, soprattutto quando vanno verso gli embarghi.
. Da quando esistono? Le prime sanzioni del tipo di quelle che si applicano attualmente furono utilizzate contro l’economia dell’URSS all’inizio della Guerra Fredda; in seguito si applicarono misure di pressione/asfissia contro il Guatemala e indubbiamente emerge il caso di Cuba dopo la Rivoluzione Cubana …. così come le misure applicate contro il governo di Allende in Cile.
. Qual è l’obiettivo? Isolare il paese, generare/approfondire la
crisi interna e la sensazione di caos. Questo scenario, a sua volta, è propizio a spingere ad un cambio di regime.
Si cerca un “cambio di regime” in Iran? E’ probabile. Tra i media di maggiore audience si sottolinea spesso il successo delle manifestazioni contro il governo di turno … creando il clima di “necessità” di un cambio “democratico”.
Rispetto alla “minaccia nucleare” e al terrorismo, si tratta di problemi reali ma che tendono ad essere utilizzati, nominati, esagerati ecc. per manipolare l’opinione pubblica. E’ vero che oggi (più che mai) ci sono vari paesi che hanno armi nucleari, ma è questo il pericolo principale per l’umanità?
Rispetto al terrorismo, indubbiamente esistono cellule terroriste, gruppi estremisti armati, ecc.
che hanno perpetrato attacchi, ma è questo il principale motivo di insicurezza a livello mondiale?
Da un’altra prospettiva potremmo vedere che le armi utilizzate per lo sterminio nel quotidiano sono altre:
- Armi convenzionale con minore o maggiore sviluppo tecnologico che non sono legate al nucleare.
Chi fabbrica queste armi? A chi le vendono? Principalmente USA, Germania, Francia e Russia. I principali compratori sono i paesi del Medio Oriente. Nel caso di USA e America Latina, il Messico è uno dei principali clienti.
- Decisioni e azioni assunte da conglomerati multinazionali a livello nazionale e locale, legati alla “corsa” a risorse come petrolio, acqua, biodiversità, accesso ai mercati, che :
. toccano la produzione e i prezzi degli alimenti, dei prodotti farmaceutici (questo provoca carestie, fame, distruzione dei raccolti, mancanza di medicine, malnutrizione, accesso a prodotti che danneggiano la salute come la Coca Cola ecc.);
. colpiscono l’ambiente, nell’accesso all’acqua ed ai servizi di base.
- Il controllo dei dati, delle informazioni che influiscono sull’opinione pubblica.
- La maggiore o minore incidenza nella definizione delle politiche pubbliche.
- La pressione di organismi e istituzioni internazionali. Ad esempio l’indebitamento. Questo genera scenari
presenti e futuri di mancanza di autonomia e di alternative (colpisce l’educazione, la salute, i piani pensionistici, le condizioni di lavoro ecc.).
Per finire, vanno sottolineate due questioni. La prima è che, come abbiamo detto, la guerra che
si sta facendo in modo permanente in vari spazi della periferia, ma che si rende visibile, “importa” o “preoccupa” quando danneggia in modo diretto gli interessi dei paesi centrali e delle loro
corporations. Un esempio in più del consolidamento di un sistema internazionale asimmetrico, dove le vittime e i conflitti valgono meno nella periferia.
La seconda è che la pratica della guerra permanente, che può apparire invisibile, è frutto di nuove forme di guerra (che colpiscono allo stesso modo la popolazione) che implicano la combinazione di tattiche convenzionali e non convenzionali (operazioni scoperte o coperte, guerra psicologica, ecc.), attori statali e non statali, nuove tecnologie, guerra cibernetica, guerra finanziaria ecc.
Tutto questo confluisce in quelle che si chiamano “guerre ibride”, definite come “combinazione di
diversi tipi di guerre utilizzati allo stesso tempo per adeguarsi in modo flessibile alle mete politiche in determinate circostanze”.
Sono ibride, sì. Ma continuano ad essere guerre, con la sofferenza e la miseria che questo
implica, nonostante non si combattano nei paesi centrali.
(*) Ricercatrice del CELAG, Centro
Strategico Latinoamericano di Geopolitica; da: alainet.org; 11.5.2018
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto San Giovanni)