La linea

 

 

La linea

 

di David Brooks (*); da: jornada.unam.mx; 26.6.2018

 

 

 

Attraversano una linea e improvvisamente agenti in uniforme strappano loro dalle braccia i figli. Non sono casi isolati (ce ne sono stati oltre 2.000 di questi atti per quanto se ne sa ad oggi), né si tratta di abuso di autorità, non si tratta di un’aberrazione. E’ la politica ufficiale degli Stati Uniti.

 

Di fronte a ciò, c’è un’altra linea che si sta attraversando, molto chiara e definita per tutti da entrambi i lati della frontiera. Una linea che definisce se esiste ancora la coscienza o se siamo già così sopraffatti da tale violenza, così abituati all’orrore, che non reagiamo più davanti a questa barbarie, un’altra di più.

  

Questi bambini sono incarcerati temporalmente – a volte questo significa per vari mesi e in alcuni casi per più di un anno – in centri di detenzione, mentre la burocrazia cerca di sistemarli in case, di solito con i familiari se questi esistono ed hanno il coraggio di presentarsi (corrono il rischio di essere detenuti se non hanno documenti).

In alcuni di questi centri i bambini separati dai loro genitori, o quelli che arrivano non accompagnati, vivono con altre centinaia di minori in attesa di essere processati. Viene loro prestato qualche servizio medico e ci sono centinaia di ufficiali che mostrano compassione ma, alla fine dei conti, sono bambini ingabbiati senza i loro genitori, alcuni con meno di 4 anni.

  

Bisogna segnalare che tutto questo non è cominciato con Trump, ma che – a fronte della cosiddetta crisi dei minori di età che migrano non accompagnati di qualche anno fa - il governo di Barak Obama già li alloggiava in centri di detenzione (anche se formalmente non si chiamavano così). L’Arizona Republic già nel 2014 ottenne alcune delle prime immagini di un centro di detenzione specializzato per bambini a Nogales, dove li si vede dormire sul pavimento di un capannone suddiviso in gabbie.

 

Ma ora la politica ufficiale è la separazione dei minori di età dalle loro famiglie quando attraversano la linea di frontiera con il Messico. Oggi questi centri sono già arrivati al 90% della loro capacità e le autorità stanno cercando nuovi luoghi dove mettere i minori di età perchè presto non ci sarà più spazio, e tra le opzioni ci sono alcune basi militari.

  

In decine di città del paese sono scoppiate proteste, organizzazioni come l’Unione Americana delle Libertà Civili ed altre ancora hanno presentato cause davanti ai tribunali nazionali e persino alla Commissione Interamericana del Diritti Umani; altri promuovono petizioni o campagne di lobby al Congresso per esigere la fine di queste pratiche.

 

Ma, davanti all’estrema crudeltà di questa politica – e alle sue ovvie conseguenze di traumatizzare rifugiati e immigranti che fuggono dalla violenza, attraversano uno o vari paesi in condizioni estremamente pericolose solo per essere criminalizzati e separati dai figli che cercavano di proteggere  dopo la loro grande fuga – ci si aspetterebbe una risposta molto più di massa e universale, sia qui che dei paesi da dove provengono o che hanno attraversato: o no? (In questo stesso spazio del giornale, la settimana scorsa abbiamo parlato dello stesso problema, con la stessa domanda. Una settimana dopo, e ci scusiamo con i lettori per l’insistenza, bisogna ripeterla).

  

Non ci vuole molto ad immaginare – come riportato nei reportage e anche fotografato – le grida di paura e dolore, di terrore. Più e più volte gli agenti dell’immigrazione, che si suppone abbiano anch’essi figli, hanno portato via bambini che piangevano e gridavano dalle braccia delle loro madri, e alla fine della giornata sono tornati a cenare con la loro famiglia, e certamente hanno abbracciato i loro figli: stanno solo facendo il loro lavoro, ordinato da Washington.

  

Molti diconono – compresi familiari delle vittime – che i nazisti facevano lo stesso. Uno striscione , durante una protesta, segnalava: “Per favore, non facciamo i buoni tedeschi”, riferendosi a come ufficiali, burocrati e militari nazisti giustificavano i loro crudeli compiti asserendo di essere semplicemente buoni patrioti  e di aver solo obbedito agli ordini (è urgente rileggere nuovamente Hannah Arendt, che esplorò questo discorso).

  

Il peggior terrore che un bambino può provare è essere strappato ai suoi genitori.

Bambini biondi con gli occhi azzurri saranno mai trattati così brutalmente sulle nostre frontiere? No, il trumpismo è razzismo; ‘Dio mio, in cosa ci siamo trasformati?” ha commentato l’attore e comico Jim Carrey (molti uomini di spettacolo si sono trasformati nei portavoce della coscienza in questo paese).

  

Tristemente, questo tipo di pratiche non sono nuove in questo paese. Migliaia di bambini delle comunità indigene furono separati dalle autorità e inviati nelle scuole per indiani a migliaia di chilometri dai loro villaggi, dove sistematicamente veniva cancellato il loro idioma, la loro cultura, la loro storia, a volte con l’accompagnamento di castighi fisici e di abusi di ogni genere; una pratica iniziata nel secolo XIX e continuata per un altro secolo, fino al 1970.

 

Anche i bambini degli schiavi africani e i loro discendenti furono rubati alle loro madri dai loro padroni. Giorno e notte si potevano ascoltare uomini e donne che gridavano ... i loro famigliari venivano strappati senza alcun avviso. La gente moriva di crepacuore, ricordò in un’intervista nel 1938 una testimone delle aste degli schiavi. Un ex schiavo raccontò nel 1849 come un bambino fosse strappato dalle braccia di sua madre, tra le grida terribili di entrambi da un lato e le frustate crudeli dei venditori dall’altro, prima che la madre fosse venduta al miglior offerente, come del resto documenta una mostra al Museo di Storia Afroamericana del Smithsonian Institute di Washington chiamata “Tempo di pianto”, scrisse il Washington Post.

  

No, non è qualcosa di nuovo ma è invece il momento in cui uno deve decidere se è stata o no oltrepassata una linea che dovrebbe essere assoluta e rigida: sono nostri figli, figli di tutti, di entrambi i lati della frontiera.

 

 (*) Giornalista canadese/statunitense.

 (traduzione di Daniela Trollio

 Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 Via Magenta 88, Sesto San Giovanni)

 

 

News