LA SITUAZIONE DELLA CLASSE OPERAIA IN ITALIA NEL 2018
Negli ultimi 25 anni la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale è salita a dismisura, a scapito dei salari e delle pensioni, tagliandoli e riducendoli, dimostrando che la lotta di classe dei capitalisti continua e finora l’hanno vinta loro, sia in Italia e negli altri Paesi capitalisti.
In Italia, negli ultimi vent’anni, il rapporto salari/Pil è diminuito del 7-8 per cento e questo significa di fatto che oltre 100 miliardi sono passati “dai salari al profitto e alle rendite”.
L’aumento dello sfruttamento degli operai e dei proletari occupati comporta anche un peggioramento della condizione dei cosiddetti “lavoratori poveri”, più di otto milioni, ai quali si sommano molti degli oltre quattro milioni di “poveri assoluti” (in forte aumento, oggi al 7,6 per cento rispetto al 6,8 per cento del 2014). L’8 per cento del Pil di oggi è uguale a circa 120 miliardi di euro e se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di vent’anni fa, oggi quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece che in quelle dei capitalisti. Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbe dire 5 mila 200 euro in più, in media, all’anno, se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po’ di qui, un po’ di là. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro tonde in più in busta paga. Altro che flat tax e taglio delle aliquote con l’Irpef che avvantaggiano ancora una volta solo i ricchi attraverso la rapina dei poveri.
La civiltà di un paese si misura da come è trattato chi produce la ricchezza del paese. La condizione della classe operaia è la base e il punto di partenza per verificare il grado di progresso e di civiltà di una nazione.
Secondo il Trades Union Congress(TUC) - che ha analizzato i dati dell’OCSE e ha fatto una previsione della crescita dei salari nelle economie sviluppate nel corso del 2018 – in Italia è prevista una decrescita dei salari, in particolare del salario reale, ossia la quantità di beni e servizi che il lavoratore può acquistare con il suo salario o stipendio, cioè il suo potere d’acquisto. Il salario reale si calcola tramite il rapporto tra il salario nominale (ovvero la quantità di moneta ricevuta come stipendio) e l’inflazione. La TUC, la confederazione che unisce i sindacati del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (in inglese: United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland; abbreviato in UK), ha messo in risalto la situazione difficile del mercato del lavoro dell’UK da diversi anni, chiedendo che con l’accordo Brexit siano trovate delle soluzioni per incrementare l’occupazione e i salari. Dai dati si evidenzia che, mentre per i lavoratori dei Paesi dell’Europa orientale – come Ungheria, Lettonia e Polonia si prevede una crescita dei salari rispettivamente del 4,9%, del 4,1% e del 3,8%, l’Italia in questa classifica si trova nella penultima posizione, precedendo appunto il solo Regno Unito. Inoltre in Italia, insieme all’UK e alla Spagna, è previsto un calo degli stipendi nel 2018
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Il calo dei salari
Gli apologeti del capitalismo cercano di nascondere la brutalità del sistema di produzione capitalista ingigantendo gli aspetti positivi e nascondendo le conseguenze negative sulla
classe operaia e proletaria che lo sviluppo del capitalismo comporta. La rivoluzione industriale, con la proprietà privata dei mezzi di produzione in mano ai borghesi e la ricerca del massimo profitto, comporta un peggioramento continuo della condizione sociale dei lavoratori che le lotte sindacali ed economiche possono solo cercare di arginare.
Morti sul lavoro e di sfruttamento per il profitto
In Italia molte grandi fabbriche sono state chiuse, scomparse, delocalizzate in tutto il mondo, in particolare nei paesi dell’Est, in Russia, Cina, Africa, Asia, o in America, lasciando nelle ex aree industriali italiane una scia di morti, invalidi, malati, terreni inquinati che faranno ammalare in futuro, se non bonificati, altre generazioni.
Nelle città industriali, come ad esempio Taranto, Monfalcone, Genova, Mantova, La Spezia, o ex industriali come Casale Monferrato, Broni, Sesto San Giovanni, Milano, Brescia, Trieste, Priolo e molte altre, solo per citare alcune di quelle passate alla cronaca per i morti d’amianto e gli inquinamenti ambientali, la mortalità causata da malattie professionali è da 4 a 10 volte superiore a quella nella campagna circostante, e la percentuale della mortalità circa 10 volte più alta. Gli infortuni mortali sul lavoro in questi anni sono aumentati anche se sono diminuiti i lavoratori occupati.
Nel 2017 ci sono stati 1.350 morti sul lavoro e in itinere (dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro).
Leggermente minori sono i dati diffusi dall’ INAIL che dichiara in 1.029 i morti sul lavoro fra i suoi assicurati, (ricordiamo che questi dati non conteggiano i circa 3 milioni e mezzo di lavoratori in nero e quelle categorie di lavoratori non soggetti ad assicurazione Inail).
Per quanto riguarda il 2018, dai dati Inail si rileva che solo nei primi mesi dell'anno (fino al 28 maggio) ci sono stati 286 morti sul lavoro in Italia, 24 in più del 2017, in crescita del 9,2%; un vero bollettino di guerra, a cui vanno aggiunte decine di migliaia di morti ogni anno a causa delle malattie professionali (solo per amianto più di 4mila).
Dati statistici su infortuni e malattie professionali
Mentre l’infortunio deriva da una causa violenta che si verifica in modo immediato, istantaneo e in modo traumatico rispetto alla salute del lavoratore (la c.d. causa violenta), la malattia professionale è prodotta o deriva da una causa lenta che si sviluppa nel tempo per l'esposizione ad un fattore di rischio presente sul posto di lavoro.
La malattia professionale (spesso definita anche “tecnopatia”) è una patologia che il lavoratore contrae in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa, dovuta all’esposizione nel tempo a fattori presenti nell’ambiente e nei luoghi in cui opera (polveri e sostanze chimiche nocive, rumore, vibrazioni, radiazioni, misure organizzative che agiscono negativamente sulla salute).
Le malattie professionali previste dall’INAIL sono di due tipi: quelle TABELLATE e quelle DI ORIGINE PROFESSIONALE PRESUNTA in cui l’onere della prova è a carico del lavoratore.
L’andamento delle malattie professionali negli ultimi anni ha registrato, in tutte le aree del Paese, una crescita molto sostenuta: le denunce di malattia professionale sono passate da 26.745 del 2006 a 42.397 nel 2010 (fonte archivi Banca dati statistica INAIL) sia a seguito dell'entrata in vigore delle nuove tabelle (D.M. 9 aprile 2008) che, classificando come "tabellate" molte patologie (in particolare quelle dell'apparato muscolo-scheletrico da sovraccarico bio-meccanico e movimenti ripetuti) prima "non tabellate", hanno in pratica esonerato il lavoratore dall'onere della prova dell'origine lavorativa di queste malattie, incentivando così il ricorso alla tutela assicurativa.
Il record di denunce spetta alle malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee, dovute prevalentemente a sovraccarico bio-meccanico, rappresentanti ormai, circa il 60% del complesso. Tra queste, in particolare, spiccano le affezioni dei dischi intervertebrali e le tendiniti, patologie più che raddoppiate negli ultimi 5 anni. Seguono, principalmente, l’ipoacusia da rumore, le malattie da asbesto (amianto) (asbestosi, neoplasie e placche pleuriche) per oltre 4 mila casi l’anno (in crescita) e le malattie respiratorie (circa 2 mila l’anno, escludendo quelle correlate all’asbesto).
In realtà, come sanno bene i lavoratori, anche i dati INAIL sulle malattie professionali sono molto sottostimati, perché essendo l’INAIL l’ente che deve accertare la malattia e anche quello che deve risarcirlo ha tutto l’interesse a non riconoscerle, costringendo i lavoratori a lunghe e costose cause in Tribunale come sanno bene gli ex lavoratori esposti amianto e tutti quelli che si sono ammalati per cause professionali
La mappa del Ministero della Salute
Dati più che preoccupanti arrivano direttamente dalla mappa del Ministero della Salute: in Italia esistono ben 44 aree inquinate oltre ogni limite di legge, in cui l’incidenza di tumori sta aumentando statisticamente a dismisura. Nelle zone maggiormente contaminate, le malattie tumorali sono aumentate anche del 90% in soli 10 anni.
Agli impressionanti dati del Ministero della Salute si aggiungono quelli di “Mal’Aria di Città 2016”, pubblicato da Legambiente, da cui si evince che l’inquinamento in Italia uccide quasi 60 mila cittadini residenti in Italia e costa alle casse dello Stato (quindi a tutti noi) almeno 47 miliardi di euro.
Basti pensare che nel 2015 in 48 capoluoghi di provincia più della metà del totale hanno superato i limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 misurate dalle centraline, fissati in 50 microgrammi per metro cubo per più di 35 giorni. Si tratta del numero massimo di superamenti consentiti dalla legge in un anno.
Secondo dati del 2016 l'incrocio di mortalità, incidenza oncologica e ricoveri fa emergere dati sempre più drammatici. A Taranto l’eccesso di tumori alla tiroide, in dieci anni è aumentato di +58% tra gli uomini e + 20% tra le donne.
In altre parti del paese la popolazione aspetta da decenni una bonifica che non arriva mai e nei pochi casi in cui avviene assume la forma di speculazione politica ed economica. La mortalità è in continuo aumento a causa dell’inquinamento industriale; ma non solo, in molte zone del paese, a cominciare dalla valle dei fuochi in Campania, o in Piemonte grazie allo scavo della TAV. Ormai in molte zone del paese, in particolare Sardegna e Sicilia, si assiste anche ad un altro inquinamento: quello bellico e militare, dove l’incidenza oncologica, in particolare cancro della tiroide, tumore alla mammella e mesotelioma sono in aumento, e dove il tasso di mortalità generale è significativamente più alto rispetto alla media nazionale.
Ma la mappa riporta molti altri esempi:
I Comuni di Cologno Monzese e Sesto San Giovanni
Esaminando i dati del Ministero della Salute si vede che ad esempio per i Comuni di Cologno Monzese e Sesto San Giovanni, il “ Decreto di perimetrazione dei Siti di Interesse nazionale” (SIN) elenca la presenza delle seguenti tipologie di impianti: impianti chimici, petrolchimico, raffineria, metallurgia, elettrometallurgia, meccanica, produzione energia, area portuale e discariche, che provocano un eccesso per tutti i tumori in particolare per le malattie dell’apparato respiratorio e digerente per uomini e donne.
Inoltre sono presenti malattie circolatorie, malattie respiratorie e dell’apparato genitourinario, mentre i tumori del polmone e della pleura sono in eccesso sia tra uomini sia tra le donne”
Nei Comuni di La Spezia e Lerici.
Il “Decreto di perimetrazione” del SIN elenca la presenza delle seguenti tipologie di impianti: chimico e discarica di rifiuti urbani e speciali. Tra gli uomini si è osservato un eccesso della mortalità per le cause tumorali e per le malattie dell’apparato digerente. Tra le donne si è osservato un eccesso di mortalità per le malattie dell’apparato circolatorio e per le malattie dell’apparato digerente. Inoltre, l’eccesso di mortalità per tumore dello stomaco osservato tra gli uomini può essere riconducibile a una “esposizione occupazionale».
Il Decreto del SIN rileva inoltre “la presenza di una raffineria, un impianto siderurgico, un’area portuale e di discariche di RSU con siti abusivi di rifiuti di varia provenienza. Il lungo elenco di malattie comprende: eccesso tra il 10% e il 15% nella mortalità generale e per tutti i tumori in entrambi i generi; eccesso di circa il 30% nella mortalità per tumore del polmone, per entrambi i generi; eccesso, in entrambi i generi, dei decessi per tumore della pleura, che permane; eccesso compreso tra il 50% (uomini) e il 40% (donne) di decessi per malattie respiratorie acute; associato a un aumento di circa il 10% nella mortalità per tutte le malattie dell’apparato respiratorio; eccesso di circa il 15% tra gli uomini e 40% nelle donne della mortalità per malattie dell’apparato digerente; incremento di circa il 5% dei decessi per malattie del sistema circolatorio soprattutto tra gli uomini; quest’ultimo è ascrivibile a un eccesso di mortalità per malattie ischemiche del cuore, che permane, anche tra le donne un eccesso per la mortalità per condizioni morbose di origine perinatale (0-1 anno), con evidenza limitata di associazione con la residenza in prossimità di raffinerie/poli petrolchimici e discariche, e un eccesso di circa il 15% per la mortalità legata alle malformazioni congenite, che non consente però di escludere l’assenza di rischio”.
Facendo un raffronto con il passato, esaminando sia i salari dei lavoratori che le loro condizioni di vita si evidenzia come i lavoratori della “moderna” industria 4.0 non solo tendono ad avere redditi più bassi rispetto ai loro coetanei pre-industriali, ma anche che la qualità della vita in alcune zone addirittura peggiora rispetto ai lavoratori dell’800 che vivevano in ambienti più sani e piacevoli.
Nel sistema capitalista-imperialista lo sfruttamento sempre più intensivo della forza-lavoro, il peggioramento della condizione operaia e proletaria è causato della proprietà privata dei mezzi di produzione finalizzata alla ricerca del massimo profitto, qualsiasi forma, più o meno sviluppata, esso possa assumere.
Quanto più il capitale produttivo cresce, tanto più si estendono la divisione del lavoro e l’impiego della macchine. Quanto più la divisione del lavoro e l’impiego della macchine si estendono, tanto più si estende la concorrenza fra gli operai, tanto più si contrae il loro salario.
La lotta sindacale, economica, per quanto necessaria per difendersi dal capitale se non cambia i rapporti di forza rimane sempre sul terreno del padrone e le conquiste di oggi saranno rimangiate domani.
Oggi serve un’organizzazione operaia, un partito operaio che dichiari apertamente i suoi obiettivi: il potere operaio, che lotti per la liberazione dallo sfruttamento capitalista, che rivendichi l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo; obiettivi che possono realizzarsi solo distruggendo dalle fondamenta questo sistema, col rovesciamento di tutto l'ordinamento sociale finora esistente. E’ questo l’incubo delle classi dominanti.
Proletari di tutti i paesi uniamoci.
Michele Michelino, da nuova unità n. 4