Daniela
Trollio * | nuovaunita.info
giugno 2018
Nel 57°
anniversario della vittoria di Playa Giròn, Raùl Castro ha passato il testimone a Miguel Dìaz-Canel Bermùdez, un ingegnere figlio di un meccanico e di una maestra che diventa presidente dei
Consigli di Stato e dei Ministri
Il 19 aprile scorso - "Anno 60 della Rivoluzione" - l'eroica (e non c'è alcuna retorica nel definirla in questo modo, ma un semplice riconoscimento della realtà storica) "generazione
della Sierra" ha fatto un passo indietro e ha ceduto il posto ai rappresentanti della nuova generazione, quella nata dopo la Rivoluzione. Nel 57° anniversario della vittoria di Playa
Giròn, Raùl Castro ha passato il testimone a Miguel Dìaz-Canel Bermùdez, un ingegnere figlio di un meccanico e di una maestra di Villa Clara, che diventa così presidente dei Consigli di Stato e
dei Ministri.
Il passaggio era già stato annunciato due anni fa, in chiusura del 7° congresso del Partito Comunista di Cuba, quando Raùl disse che la sua generazione avrebbe consegnato "ai nuovi
alberi le bandiere della Rivoluzione e del Socialismo, senza il minimo accenno di tristezza o pessimismo, con l'orgoglio del dovere compiuto, convinta che sapranno continuare e ingrandire l'opera
rivoluzionaria per cui diedero le energie migliori e la vita stessa generazioni di compatrioti". E tale passaggio è già in atto da diversi anni, visto che il 77,4% dei membri del
Consiglio di Stato è nato dopo il trionfo della Rivoluzione e l'età media dei membri dell'Assemblea Nazionale del Potere Popolare (il parlamento di Cuba) è di 48 anni.
E già che ci siamo, qualche dato sull'Assemblea Nazionale del Potere Popolare. Il 53,22% dei suoi membri è donna, i neri e i mulatti sono il 40,66%, i laureati sono l'86%. I deputati che vivono e
lavorano nei municipi (così si chiamano i comuni dell'isola) formano una maggioranza del 62,6%. Il nuovo Presidente spiega così questi numeri: "Se qualcuno
volesse vedere Cuba in un insieme di cittadini, per la sua composizione di età, razziale, di genere e di occupazione, basterebbe che guardasse e studiasse l'integrazione della nostra Assemblea e
la rappresentanza di donne, neri e mulatti, giovani e persone della terza età che occupano incarichi decisionali nelle istanze superiori del governo quasi nella stessa proporzione con cui le
statistiche definiscono la nazione". Quale dei nostri paesi "democratici" può dire lo stesso?
In queste brevi note, abbiamo scelto di fare ampie citazioni del discorso di Miguel Dìaz-Canel che, sicuramente, ha deluso molti di coloro che, come sempre, erano pronti a pronosticare la fine
della Rivoluzione.
Perché ogni volta che a Cuba si muove una foglia, schiere di leccapiedi – che non imparano mai – danno subito voce al desiderio più grande dell'imperialismo: che Cuba torni ad essere il cortile
posteriore degli USA e la smetta di dimostrare che è possibile ribellarsi, che è possibile vincere, che è possibile - pur con enormi difficoltà, tentativi, errori - costruire quel sistema che
chiamiamo socialismo, la negazione dell'esistente che sta portando, con immani sofferenze, l'umanità e il pianeta intero verso la catastrofe.
Noi, che viviamo nei paesi capitalisti "democratici", siamo abituati a non credere a quello che ci dicono i nostri "rappresentanti".
A Cuba non funziona in questo modo, per varie ragioni.
Dice Dìaz-Canel a questo proposito: "Non sono qui
a promettere nulla, come mai lo ha fatto la Rivoluzione in questi anni". È vero, la Rivoluzione non ha mai mentito al suo popolo: chi ha memoria ricorderà che i cubani appresero che
li aspettava un "periodo speciale in tempo di pace", alla dissoluzione dell'Unione Sovietica, non da una trasmissione televisiva o dai giornali ma direttamente da Fidel che, davanti a centinaia
di migliaia di persone riunite nella Piazza della Rivoluzione, spiegò con estrema chiarezza i sacrifici cui Cuba avrebbe dovuto far fronte.
E continua: "Qui non c'è
spazio per una transizione che rinneghi o distrugga l'eredità di tanti anni di lotta. A Cuba, per decisione del popolo, c'è solo da dare continuità all'opera, con l'unità delle generazioni nate e
educate nella Rivoluzione e la generazione fondatrice, senza cadere davanti alle pressioni, senza paura e senza regredire, difendendo le nostre verità e le nostre ragioni, senza rinunciare alla
sovranità, all'indipendenza, ai programmi di sviluppo... e ai nostri sogni". "In questa
legislatura non ci sarà spazio per quelli che aspirano ad una restaurazione capitalista; questa legislatura difenderà la Rivoluzione e continuerà il perfezionamento del
Socialismo".
E non si ferma qui: "A quelli che
per ignoranza o malafede dubitano dell'impegno delle generazioni che oggi assumono nuove responsabilità nello Stato cubano, abbiamo il dovere di dire con chiarezza che la Rivoluzione continua e
continuerà (ad essere) viva, con senso del momento storico, cambiando tutto quello che deve essere cambiato; emancipandoci da noi stessi e con i nostri sforzi; sfidando poderose forze dominanti
all'interno e fuori dell'ambito sociale e internazionale; difendendo i valori in cui crediamo al prezzo di qualsiasi sacrificio; con modestia, disinteresse, altruismo, solidarietà ed eroismo;
lottando con audacia, intelligenza e realismo. Impegnati nel non mentire mai né violare i principi etici e con la profonda convinzione, che ci ha trasmesso Fidel con il suo concetto di
Rivoluzione, che non esiste forza al mondo capace di schiacciare la forza della verità e delle idee. E non dimentichiamo neanche per un attimo che la Rivoluzione è unità, indipendenza, è lottare
per i nostri sogni di giustizia per Cuba e per il mondo, che è la base del nostro patriottismo, del nostro socialismo e del nostro internazionalismo".
Se la Rivoluzione cubana ha resistito per tutti questi anni – all'imperialismo in armi, all'aggressione economica, politica, mediatica, persino alla natura che ogni anno la castiga con cicloni e
inondazioni – questo si deve alla decisione del suo popolo di non essere più schiavo, alla sua capacità di sognare e di agire conseguentemente. Il nuovo presidente lo esprime così:
"Nessun paese
ha resistito per tanti anni senza arrendersi all'assedio economico, commerciale, militare, politico e mediatico che Cuba ha affrontato. Ma non c'è miracolo in questa prodezza. C'è, in primo
luogo, una Rivoluzione autentica che è emersa dalle viscere del popolo, una direzione conseguente che mai si è posta al di sopra di questo popolo ma al suo fronte nelle ore di maggior pericolo e
rischio ed un esercito nato in mezzo ai monti con e per i popoli della terra, il cui valore e la cui perizia trascendono le nostre frontiere e che si è dimostrato tanto coraggioso nella guerra
quanto creativo in pace. Cioè necessità, originalità, immaginazione, coraggio, o 'creazione eroica' secondo Mariàtegui" (il grande pensatore marxista peruviano, secondo cui
"il
socialismo latinoamericano non dovrà essere né calco né copia: o creazione eroica o non sarà".
Ogni tanto è lecito fare un esercizio di fantasia, rovesciando i termini dell'esistente. E allora domandiamoci dove sarebbe arrivata Cuba se non avesse dovuto affrontare quanto sopra. Solo un
esempio: nel 2016 nel paese c'erano 90.161 medici, tra i quali circa 25.000 lavoravano all'estero all'interno del cosiddetto Programma Integrale di Salute che fornisce aiuto gratuito destinato a
27 paesi poveri come Haiti, Bolivia, El Salvador, Guatemala, Nicaragua, Honduras, Etiopia, Congo, Tanzania e Zimbabwe tra altri. Senza parlare della ELAM, la Scuola Latinoamericana di Medicina
frequentata gratuitamente da 2.300 studenti circa per i sei anni del corso. Dovremmo allora chiederci, noi che assistiamo al fenomeno di sempre più persone che rinunciano a curarsi per mancanza
di soldi, in un paese che rifiuta i 629 (629, non 6.200 o 62.000) migranti dell'Aquarius (salvati tutti da mercantili di passaggio, alla faccia dei diritti umani e dei vari, costosissimi,
programmi di monitoraggio della Marina militare): dov'è la tanto sbandierata superiorità del capitalismo? Cuba dimostra invece ogni giorno che l'educazione, la salute, la cultura e la scienza non
sono privilegi riservati all'élite. La parola chiave non è "denaro" ma "umanità".
Certo, il nuovo Presidente – o meglio sarebbe dire la Rivoluzione cubana – ha di fronte a sé grandi sfide, esterne ed interne. A cominciare dalla presidenza Trump, uno dei cui primi atti è stato
l'inasprimento del bloqueo e una sequela di minacce. Ma la Rivoluzione ha visto passare, e tramontare, ben 11 presidenti nordamericani dal 1959. Deve affrontare le conseguenze della crisi
economica che tocca tutto il mondo da quasi 10 anni. Ha bisogno di crescere economicamente per assicurare standard di vita più elevati al suo popolo. Deve fare i conti con la lenta sparizione di
molti dei governi progressisti dell'America Latina. La lista è lunga ma "l'isola fiorita" ha cinquant'anni di esperienza nell'affrontare sfide peggiori e ha dimostrato di saper fare tesoro
dell'esperienza, propria e altrui.
Una cosa è certa e diamo ancora la parola a Miguel Dìaz-Canel: "Diciamolo
chiaramente, la Rivoluzione cubana continua ad essere verde olivo, disposta a tutti i combattimenti. Il primo, per vincere le nostre stesse indiscipline, errori e imperfezioni. E allo stesso
tempo per avanzare 'senza fretta ma senza pausa' -saggio avvertimento del compagno Raùl - verso l'orizzonte, verso la prosperità che ci meritiamo e che dovremo, più presto che tardi, conquistare
tra le turbolenze di un mondo minato dall'incertezza, dall'ingiustizia, dalla violenza dei potenti e dal disprezzo verso le piccole nazioni e verso le grandi masse impoverite".
Così, come scrive il politologo olandese Mark Vandepitte, non è affatto necessario precipitarsi a comprare un biglietto aereo per andare a Cuba prima che tutto cambi.
*) In Nuova
unità n.4/2018, CIP G.Tagarelli, via Magenta, 88 Sesto San Giovanni