Imperi che combattono
L’insolita coalizione
di Rafael Poch (*)
Lunedì 24 settembre è successo qualcosa di curioso a New York: quattro dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU si sono riuniti con la commissaria europea agli Affari Esteri, Federica Mogherini, e con il ministro degli Esteri dell’Iran, Javad Zarif, per prendersi gioco di Donald Trump.
Il problema era l’accordo con l’Iran.
Il governo iraniano sta eseguendo quanto previsto da quell’accordo, firmato da tutti loro nel 2015. Questo lo riconosce persino Theresa May. Ciò nonostante gli Stati Uniti, sostenuti da Israele e dai membri più dementi della sua amministrazione guerrafondaia, si sono ritirati dall’accordo per tornare a quella che era stata la loro politica da quando la rivoluzione iraniana rovesciò lo Scià: il cambio di regime.
A coloro che pretendono di rispettare quanto firmato e fare scambi con Teheran, Trump promette sanzioni attraverso il suo controllo dei canali bancari e commerciali di cui il suo paese è padrone.
I ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito, Russia e Cina, più la commissaria europea e il ministro
iraniano, si sono ribellati a Trump, dichiarando la piena vigenza dell’accordo: coloro che stanno da più tempo all’ONU non ricordano niente di simile.
“I partecipanti sottolineano la loro determinazione a proteggere la libertà dei loro operatori economici per realizzare legittimi affari con l’Iran” segnala la dichiarazione. E sul punto ottavo aprono all’Iran la Banca Europea di Investimenti come canale per i suoi affari commerciali con il mondo. Si metterà in marcia “un meccanismo speciale per facilitare i pagamenti relazionati alle esportazioni dell’Iran, compreso il petrolio, e le importazioni, il che aiuterà e tranquillizzerà gli operatori economici che facciano affari legittimi con l’Iran.”. Mogherini ha chiarito che questo sistema potrebbe aprirsi ad altri paesi al di fuori dell’EU, e ha sottolineato che tutti i firmatari attuali del patto atomico lo appoggiano.
Dopo che Trump aveva affermato davanti all’Assemblea Generale dell’ONU che “i dirigenti iraniani seminano il caos, la morte e la distruzione” nel mondo e sottolineato come le sue sanzioni
(che da aprile hanno fatto perdere più di due terzi del suo valore alla moneta locale e che il 5 novembre si rafforzeranno ancor più) siano un mezzo per difendersi dalle “sanguinarie intenzioni di Teheran”, la dichiarazione dei quattro+due è suonata forte. Nel caso dell’Unione Europea quasi come una vera dichiarazione di
indipendenza. Davvero?
Da quando Trump ha disdetto l’accordo e annunciato le sanzioni per le società che facciano affari con l’Iran, le maggiori compagnie europee con aspettative nel paese se ne sono andate di corsa: PSA, Total, Renault VolksWagen, Daimler e diverse banche europee. Non sembra che l’annuncio di lunedì possa cambiare le cose, perché gli affari di queste compagnie con gli Stati Uniti pesano molto di più di quanto esse possano guadagnare in Iran. Solo le piccole imprese senza affari con gli Stati Uniti potranno correre il rischio.
Anche così, finché gli europei non disporranno del loro Swift – cioè di un sistema monetario indipendente di transazioni finanziarie fuori dalla portata del dollaro e delle banche americane, come ha fatto notare il ministro tedesco degli Esteri Heiko Maas – la sfida sarà polvere da sparo bagnata.
Sarebbe un’altra cosa se i governi europei della UE fossero capaci di proteggere in modo effettivo le loro
imprese dall’abuso rappresentato dall’extraterritorialità delle leggi degli Stati Uniti.
Ma anche senza questo, l’insolita coalizione del lunedì stabilisce un piccolo precedente. Quello che oggi non esiste e trasforma quelle dichiarazioni in qualcosa di simile a carta straccia, può esistere domani. Nessuna moneta ha dominato eternamente l’economia mondiale e il dollaro non farà eccezione. Di più, il tentativo di Trump di ricattare gli altri con la sua moneta e il suo controllo delle reti commerciali internazionali gli si può rivoltare contro. E qui ci troviamo.
P.S.: Il 22 settembre l’Iran ha patito il più mortifero attentato dei suoi ultimi 10 anni: 25 morti, metà dei quali civili compreso un bimbo di 4 anni, in un attacco ad una parata militare nella città di Ahwaz. Si ricordava l’inizio della guerra contro l’Iraq, una guerra durata 8 anni (1980-1988) favorita dall’Occidente in risposta alla rivoluzione del 1979 che lasciò un saldo di un milione di morti in Iran. La gravità dell’attentato equivale a quelli successi a Parigi, Londra o Barcellona. Lo ha rivendicato lo Stato islamico.
Ma, in vista dell’arrivo del presidente iraniano Hassan Rohani
alle Nazioni Unite (dove ha pronunciato un discorso pieno di buon senso), non si poteva permettere che un attentato presentasse come vittima l’Iran, che viene fatto passare come il principale
fattore del terrorismo nel mondo. Così – sulla stampa - si sono scelti titoli che hanno “sfumato” quanto successo, come “I guardiani rivoluzionari
obiettivo in una parata militare ad Ahwaz” e simili. La compassione è selettiva.
(*) Giornalista spagnolo, è stato per vent’anni corrispondente a Mosca del quotidiano La Vanguardia; da: ctxt.es; 26.9.2018
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)