Il nuovo esodo honduregno
di Luis Hernàndez Navarro (*); da: lahaine.org; 24.10.2018
L’Honduras, scrisse Gregorio Selser (giornalista e storico argentino, n.d.t.), è una repubblica affittata dall’impero, è la portaerei statunitense in America centrale.
Oggi è, oltretutto, una nave “distintivo” della narco-politica continentale che fa acqua.
Le migliaia di honduregni che formano la Carovana Migrante sono i passeggeri di questa nave che cercano la terraferma per sfuggire al naufragio.
Ironia della globalizzazione neoliberista, questi migranti che desiderano andare negli Stati Uniti fuggono dalla violenza e dalle esteorsioni delle bande criminali dell’Honduras formate dai deportati dello Zio Sam. Clicas (“cellule” delle bande criminali organizzate nel paese, n.d.t.) che spargono il terrore con armi contrabbandate dagli USA, che si dedicano ad esportare droga ai consumatori statunitensi.
Questi migranti sognano di attraversare le frontiere diretti verso la metropoli che li trasforma in vittime nella loro stessa terra, perchè là sperano di trovare un lavoro per guadagnarsi degnamente la vita che nel loro paese gli è negata dal capitale multinazionale, che succhia loro il sangue e li condanna al patibolo.
Secondo le cifre ufficiali (messe in discussione da vari osservatori della società civile), ogni giorno in Honduras vengono assassinate 14 persone. Il tasso di omicidi all’anno è di 56,7 ogni100.000 abitanti. San Pedro Sula - la seconda città dell’Honduras, capitale amministrativa e punto di partenza della Carovana Migrante lo scorso 12 ottobre – è stata, per anni, la città più violenta del mondo. Il tasso di omicidi è di 142 su 100.000 abitanti. La causa principale dei crimini è il narcotraffico.
L’ondata migrante che ha la sua cresta nella carovana è causata dalla violenza. Le bande criminali, l’insicurezza e la criminalità spingono a lasciare il paese gente con poche risorse e minori non accompagnati, che preferirebbero rimanere a vivere nella loro terra.
La Mara Salvatrucha e la Barrio 18 (organizzazioni internazionali di bande criminali associate, nate a Los Angeles e diffuse negli Statii Uniti, Canada, Messico, Centro America eanche in Italia e Spagna, n.d.t.) si disputano i quartieri, i territori, le strade per trasportare la droga. Sono bande multinazionali del crimine organizzato. Ogni anno migliaia di honduregni devono lasciare le loro case e le loro terre per fuggire dalle loro estorsioni e dalle minacce.
Queste clicas sono state alimentate e potenziate da gangsters deportati dagli USA. Sono figli della globalizzazione. Molti degli affiliati sono figli di coloro che migrarono per l’effetto combinato di disastri naturali e della politica di Washington che impoverì ed impedì la crescita economica del paese centroamericano. La mescolanza di discriminazione, segregazione, povertà e contatti con le bande statunitensi – in un paese che non conoscevano – ha spinto molti giovani latinoamericani a formare le proprie bande per difendersi.
Le bande honduregne sono alleate con i “cartelli” della droga messicani. Sinaloa, Jalisco Nueva Generaciòn, Los Zetas e il Golfo (gruppi del narcotraffico organizzato messicano, n.d.t.) hanno stretto patti con i gruppi criminali locali per trasportare cocaina, eroina, metanfetamine e precursori chimici. L’Honduras è, per questi cartelli, molto più di una zona di passo: è una base di operazioni. Questi cartelli partecipano anche al traffico di migranti verso gli USA.
L’Honduras è il secondo paese più povero dell’America Latina: il 68,8% della sua poolazione vive in miseria e il 44,2% in povertà estrema.
Le “maquiladoras” (Stabilimenti industriali posseduti o controllati da soggetti stranieri, in cui avvengono trasformazioni o assemblaggi di componenti temporaneamente esportati da paesi maggiormente industrializzati in un regime di duty free ed esenzione fiscale: fonte wikipedia) impiegano, con salari miserabili, 120.000 lavoratori, in maggioranza donne tra i 18 e i 30 anni. Dieci famiglie controllano l’immensa maggioranza della ricchezza nazionale. Gli USA sono i padroni e signori di questo territorio. Le zone economiche speciali aggravano la situazione.
Nel 2009 un colpo di Stato appoggiato da Washington rovesciò il presidente Manuel Zelaya, perché era vicino ai governi progressisti della regione. Nel 2013 e nel 2017 vennero commesse frodi elettorali per evitare la vittoria di candidati progressisti che volevano che il loro paese smettesse di essere una repubblica delle banane.
La Carovana Migrante risponde a questa drammatica situazione. É nata per auto-convocazione, non dalla convocazione di un partito politico. “Non ce ne vogliamo andare perchè lo vogliamo, sono la povertà e la violenza che ci espellono” dicono i suoi membri. “Non siamo criminali ma migranti, vogliamo lavorare”, assicurano.
Questa carovana è l’ultima onda di una tormenta che è cominciata con forme di spostamento massivo di migranti che attraversano le frontiere, almeno da due decenni. Ne fanno parte donne incinte, minori di età, giovani e non tanto giovani.
Invece di uscire dal loro paese di nascosto, da soli, esposti alla violenza criminale e alle estorsioni dei poliziotti messicani, dipendenti dai polleros (i trafficanti di carne umana, n.d.t.), i membri della carovana hanno deciso di viaggiare alla luce del giorno, in gruppo, accompagnati da gente uguale a loro. Come una valanga, il loro esempio comincia ad essere raccolto: oggi in Messico ci sono già 7.000 honduregni e molti altri aspirano ad unirsi ad essi.
Il vergognoso ruolo del governo messicano, trasformato in polizia migratoria degli USA, è un’offesa a tutto il paese ed un’ipoteca sulla sovranità nazionale.
Lo era già: ogni anno ritornano in Honduras circa 200 bare di cittadini assassinati in Messico ed altre migliaia sono scomparsi.
Il nuovo esodo honduregno ci ricorda che nessun essere umano è illegale.
(*) Scrittore e giornalista messicano, scrive su La Jornada e collabora con The Guardian e Carta Major. Negli anni ’70 partecipò all’organizzazione di sindacati indipendenti; è consigliere di organizzazioni contadine: Partecipò ai “dialoghi di San Andrès tra zapatisti e governo ed è stato segretario della Commissione di Verifica degli Accordi di Pace del Chiapas.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)