Umanità e odio di classe nella contraddizione capitale-lavoro
Ripristinare l’odio di classe – e la conseguente lotta senza quartiere - contro questo sistema barbaro è il più grande gesto a favore dell’umanità che si oggi si possa fare
Michele Michelino
Uno degli effetti più sconvolgenti e brutali della società capitalista è lo sfruttamento sempre più intensivo degli operai, della forza lavoro salariata: esseri umani costretti a produrre profitti per i padroni e, nonostante questo, espropriati della ricchezza che producono e considerati di serie b.
Morti sul lavoro, infortuni e malattie professionali non sono un caso del destino: sono – e sono sempre stati - il risultato di
un’intensificazione dello sfruttamento, di ritmi di lavoro inumani che provocano condizioni di vita e di lavoro insicuro in ambienti insalubri, senza adeguate protezioni per i lavoratori. Le
vittime del profitto e della brutalità del sistema capitalista di sfruttamento dell’uomo sull’uomo sono considerati incidenti di percorso, danni ed effetti collaterali considerati “normali” al di
sotto di una certa soglia. I padroni e i mass-media da loro controllati chiamano i morti sul lavoro “morti bianche”, come se i lavoratori assassinati fossero morti per caso, senza responsabilità
di alcuno; o se colpa c’è è imputabile all’errore “umano”, cioè alla disattenzione degli operai stessi. Pur di aumentare i profitti, i padroni risparmiano anche i pochi centesimi sulle misure di
sicurezza, sostenuti in questo da leggi che tutelano la proprietà privata dei mezzi di produzione. Anche nei pochi casi in cui sono inquisiti, se la cavano monetizzando la morte, la salute e la
vita umana degli sfruttati, o con la prescrizione.
In ogni caso, i loro delitti contro i lavoratori continuano a restare impuniti. Quanti padroni sono in galera nel nostro paese per aver assassinato ogni anno decine di migliaia di lavoratori sul
lavoro o con le malattie professionali?
I governi cambiano e si susseguono, ma gli operai continuano a essere sfruttati e a morire come prima, più di prima, e i padroni a godere dell’impunità, perché i lavoratori, nella democrazia borghese, sono solo merce, forza lavoro, carne da macello da usare quando l’industria tira e da licenziare quando non servono più a valorizzare il capitale.
Tuttavia l’ipocrisia borghese si evidenzia ogni qualvolta che i lavoratori muoiono in gruppo, come alla ThyssenKrupp, o uccisi stipati in un furgone mentre tornano trasportati dai campi di pomodoro dopo una giornata di lavoro di 12 ore a tre euro all’ora.
In questi casi il cordoglio verso le vittime si distingue non solo in base al colore della pelle e della nazionalità, ma dal fatto che le vittime sono poveri proletari.
Ben diverso, invece, è il comportamento che i borghesi riservano ai ricchi - arabi, neri, gialli o di qualsiasi colore e nazionalità - dimenticandosi che tutti, poveri e ricchi, sono appartenenti alla stessa umanità.
Ogni anno oltre mille persone muoiono sul posto di lavoro, altre decine di migliaia per malattie professionali, più di 4mila solo per malattie legate all’amianto (alle 4 morti sul lavoro giornaliero vanno aggiunte le 12 per amianto: 2 ogni ora). Tuttavia se i morti per malattia professionale sono invisibili agli occhi della popolazione, quelli sul lavoro generano comunque un moto di indignazione, rabbia e - raramente - dalla mobilitazione nelle fabbriche, nei cantieri, nelle campagne, nei luoghi di lavoro, contro lo sfruttamento. Lo stesso non avviene per tutti i morti causati dal profitto.
Privatizzazione della sanità, tagli e morti per il profitto
La Riforma Sanitaria del 23 dicembre 1978, (legge 883) ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale e, nello stesso anno, anche la Legge 180 sulla tutela della salute mentale. Ottenute anche grazie alle lotte dei lavoratori: la vita media della popolazione si allungò (anche se non quella degli operai esposti alle sostanze cancerogene e nocive e alla fatica fisica).
Oggi, con la privatizzazione di una serie di servizi - primi fra tutti la sanità - la salute dei proletari e delle classi sottomesse, della popolazione più povera o al limite dell’indigenza è invece diminuita.
Al di là delle chiacchiere dei governi che hanno aumentato l’età pensionabile cianciando di un’aumentata aspettativa di vita, cosa significa tagliare la sanità è stato dimostrato dalle conseguenze patite dall’America Latina e dalla Grecia. In Grecia i programmi di restituzione del debito imposti dalla Troika hanno comportato il taglio della metà delle spese sanitarie per conservare intatte, e anzi aumentarle, le spese per la difesa militare.
La più prestigiosa rivista di medicina del mondo, l’inglese The Lancet, ha pubblicato uno studio nel quale attestava come da questo calo degli investimenti sanitari era derivata la morte di 10.000 bambini: un aumento del 43% della mortalità infantile dopo i tagli alla sanità. Questi tagli sono una chiara scelta politica del capitale finanziario e industriale: per la sostenibilità economica, per ripagare il debito alle banche tedesche e francesi, i borghesi decidono di uccidere 10.000 bambini delle classi popolari.
Tutto questo è avvenuto e avviene tuttora senza alcuna reazione perché - a differenza dei morti sul lavoro che, se muoiono in gruppo, ne parlano i giornali e la tv - questi morti nessuno li vede. Se un politico, un gruppo finanziario o un padrone dicessero apertamente “io per il profitto mando a morte dei bambini, o degli esseri umani”, si solleverebbe un’indignazione generale. Invece tutto questo succede giornalmente anche nei paesi capitalisti-imperialisti nel più assoluto silenzio.
I morti per il profitto non dipendono dal fato, non sono inevitabili, non sono il frutto di una disgrazia, una catastrofe naturale imprevedibile, ma una scelta cosciente del capitalismo.
Lo stesso è successo in America Latina dove tutti i progetti di riforma e privatizzazione della sanità hanno provocato soprattutto danni alla salute infantile e degli anziani.
Questo è quanto sta succedendo anche in Italia, dove i tagli e la privatizzazione della sanità comportano la morte di migliaia di persone soprattutto anziani e bambini. Ormai, come denunciano senza vergogna anche alcune fonti borghesi, nel nostro paese milioni rinunciano a curarsi non avendo i soldi, o per la chiusura dei piccoli ospedali, poco… redditizi.
Dobbiamo denunciare forte e chiaro che questi sono veri sacrifici umani, veri omicidi.
Invece, nascondendo la verità, tutto è reso accettabile e il sistema capitalista (il sistema che legittima e legalizza lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo) può presentarsi come il migliore dei modi possibili.
Solo riconoscendo i morti per il profitto come nostri morti, riconoscendoci come appartenenti alla stessa classe sfruttata con interessi antagonisti da chi ci sfrutta è possibile aprire un discorso di unità che ci porti sulla strada dell’emancipazione.
La storia dell’umanità è costellata da un avvicendarsi di periodi di rivoluzioni, restaurazioni, pace, guerre, crisi, stagnazioni, progresso e decadenza.
Il capitale - rapporto sociale di produzione - usa la merce forza-lavoro dell’uomo sfruttandolo attraverso un lavoro non pagato o dal plusvalore di cui si appropria con l’aumento dei ritmi, della meccanizzazione e tutti quei sistemi che portano al prolungamento della giornata lavorativa (plusvalore assoluto o relativo).
La lotta del proletariato contro la borghesia si manifesta in forme diverse, inizialmente di resistenza nei luoghi di lavoro e nel territorio, ma inevitabilmente prima o poi diventa lotta politica che si pone il problema della conquista del potere politico per il proletariato cosciente, del potere operaio, cioè la dittatura del proletariato che, abolendo la proprietà privata attraverso l’espropriazione dei mezzi di produzione, socializza la produzione volta a soddisfare i bisogni degli esseri umani e non più per il profitto di pochi sfruttatori.
In tutto il mondo il capitalismo e i vari imperialismi hanno unificato gli interessi della classe sfruttata facendone una classe internazionale con gli stessi interessi, dimostrando che “gli operai non hanno patria”, ma attraverso i nazionalismi, il “sovranismo” e la concorrenza fra gli sfruttati cercano di spezzare quest’unità che è una delle prime condizioni di emancipazione del proletariato.
Agitando lo spettro di un “nemico straniero”, o contrapponendo i proletari immigrati a quelli locali le varie frazioni del capitale, gli imperialismi concorrenti distolgono il proletariato dal vero nemico di classe che sono la borghesia e l’imperialismo, a cominciare da quella del proprio paese che sfrutta entrambi.
Mettere gli operai e i proletari di una nazione contro l’altra è una vecchia tattica.
Il massacro degli operai parigini attuato dalla borghesia repubblicana nel giugno 1848 e quelli succedutisi negli anni in tutto il mondo dimostrano che la borghesia repubblicana, liberale teme l’organizzazione e l’indipendenza della classe operaia che lotta per il suo potere più di qualsiasi pericolo. La storia ha già dimostrato innumerevoli volte, a cominciare dalla Comune di Parigi del 1871, la brutalità del sistema capitalista contro i suoi nemici mortali il cui motto era la “lotta per la liberazione dai lavoratori di tutti i paesi dallo sfruttamento capitalistico”.
La borghesia, per difendere il suo potere e impedire il potere proletario, non ha mai esitato un secondo a mettersi d’accordo col nemico nazionale e con l’esercito “straniero” nonostante il saccheggio della “patria". Furono più di 30 mila i morti dei comunardi e degli operai parigini che osarono ribellarsi e instaurare la prima forma di potere proletario, questo fu il bilancio della repressione degli eserciti di Versailles nel maggio del 1871, cui si aggiunsero 50 mila prigionieri condannati all'ergastolo o a morte, e alcune migliaia di persone fuggite per sottrarsi alle persecuzioni poliziesche. Parigi perse circa 100 mila dei suoi figli e delle sue figlie migliori, per la maggior parte operai. La vendetta della borghesia continuò e i tribunali militari continuarono a emanare condanne fino al 1875.
La storia insegna - e noi operai coscienti di essere un'unica classe a livello internazionale, anche se rivoluzionari e comunisti, senza un’organizzazione unitaria internazionale o almeno nazionale in Italia, rischiamo di essere solo dei grilli parlanti. Nel porci gli obiettivi sulla base dei nostri interessi di classe, nelle lotte di difesa delle condizioni di vita e lavoro o per migliorarle, non dobbiamo dimenticare che queste lotte - per quanto necessarie e sacrosante - non sono altro che lotte per migliorare la nostra condizione di schiavi in regime schiavistico, senza intaccare il sistema che continua a riprodurre i borghesi come padroni e gli operai come schiavi.
La “pace sociale” - predicata e richiesta da tutte le frazioni della borghesia e dai suoi partiti di governo e opposizione, ma anche dai suoi agenti nel movimento operaio, i sindacati confederali - ha lo scopo di portare gli schiavi salariati a fare pace con il sistema schiavista.
Dimenticarsi di propagandare nella lotta economica, ambientale, rivendicativa anche gli obiettivi generali della società socialista, una società in cui lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo sia condannato come un crimine contro l’umanità, significa accettare di essere e rimanere classe subordinata. In una società divisa in classi, dove la lotta di classe vede il predominio di una classe sull’altra, nulla può essere imparziale.
L’esperienza e la lotta di classe ci hanno insegnato che tutta la società capitalista - l’organizzazione del lavoro, la scuola, la scienza, la medicina ecc. - difendono il sistema della schiavitù salariata, e che "giustizia" e "diritto" valgono solo per le classi dominanti.
Il capitalismo, l’imperialismo, hanno temporaneamente vinto in tutto il mondo aumentando la loro potenza e ricchezza sulla pelle, sulla miseria di miliardi di esseri umani, ma questa società profondamente ingiusta che produce sfruttamento, morte per fame e sete, guerre, su miliardi di persone, questo sistema sociale che vive continue cicliche crisi crea anche le condizioni per l’unita mondiale del proletariato e per la vittoria degli sfruttati organizzati sul capitale.
Oggi molti saccenti pseudo - dirigenti rivoluzionari che si dichiarano marxisti ma che si fermano all’apparenza dei fenomeni nascondono il loro fallimento addebitando l’apparente mancanza di coscienza di classe alla classe operaia e ai lavoratori, senza fare lavoro politico nella classe. Tuttavia essi dimenticano uno dei cardini della teoria di Marx: “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma al contrario è il loro essere sociale che determina la coscienza e che quindi come non si può giudicare un uomo dall’idea che ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento della coscienza che essa ha di se stessa”.
Certo non possiamo aspettare che il capitalismo crolli da solo. Dobbiamo creare ambiti di discussione, organizzazione per sperimentare pratiche unitarie di lotta su tematiche e obiettivi comuni anticapitalisti partendo dalla centralità della contraddizione capitale-lavoro, rimettere al centro il soggetto rivoluzionario, il proletariato, è imprescindibile per tutti i rivoluzionari.
“Diritti umani”, “umanità”, parole che sono diventate il cavallo di battaglia di questo sistema disumano, la bandiera che sventola davanti agli eserciti del capitale ogni volta che partono per una nuova, interminabile guerra. Parole dietro cui stanno milioni di esseri umani sfruttati, oppressi, cancellati dalla faccia della terra da quella classe borghese che, in modo sistematico e cosciente, distrugge gli esseri umani e la natura.
Ripristinare l’odio di classe – e la conseguente lotta senza quartiere - contro questo sistema barbaro è il più grande gesto a favore dell’umanità che si oggi si possa fare.