Venezuela
“Solo il popolo mette, solo il popolo toglie”
Articolo di Pagina12, quotidiano argentino, dal Venezuela, 24.1.2019
Il leader dell’oppositrice Assemblea Nazionale del Venezuela, Juan Guaidò, si è auto-proclamato presidente
ad interim del Venezuela in un nuovo tentativo de delegittimare il governo di Nicolàs Maduro, che il governante venezuelano ha denunciato come tentativo di colpo di stato orchestrato dagli Stati
Uniti.
Guaidò è stato appoggiato dal presidente Donald Trump e dal gruppo di Lima, con eccezione del Messico.
Intanto il popolo venezuelano è sceso in piazza con due mobilitazioni. Una dell’opposizione convocata da Guaidò e l’altra in appoggio a Maduro. Secondo le informazioni del Ministero Pubblico, la
giornata è finita con sei morti.
Dal palazzo di Miraflores e con l’appoggio di migliaia di venezuelani, Maduro ha rotto le relazioni politiche e diplomatiche con il governo degli Stati Uniti e ha dato a Trump un ultimatum di 72 ore perché i diplomatici abbandonino il paese. “Oggi il governo degli Stati Uniti dirige un’operazione per imporre, con un colpo di stato, un governo fantoccio prono ai suoi interessi nella repubblica del Venezuela. Pretendono di eleggere e designare il prsidente del Venezuela per vie extracostituzionali” ha detto Maduro e ha continuato: “Se ne vadano, qui c’è dignità ed un popolo disposto a difendere questa terra!”. Intanto la gente nelle strade cantava “El pueblo unido jamàs serà vencido”.
Nel suo discorso dallo storico balcone del Palazzo, Maduro annunciava di aver ricevuto l’appoggio del presidente della Turchia, Recep Erdogan.
Ore prima e davanti a centinaia di venezuelani nell’est di Caracas, Guaidò si è attribuito le funzioni dell’esecutivo nel quadro di quella che ha chiamato la lotta contro l’usurpazione della presidenza, una riedizione di quanto ha fatto due settimane fa, alcuni giorni dopo la seconda investitura presidenziale di Maduro. L’opposizione considera illegittimo il governo del leader bolivariano perché afferma che le elezioni dello scorso 22 maggio non sono state trasparenti in quanto alcuni candidati dell’opposizione non vi hanno potuto partecipare. Tesi che il governo ha rifiutato fin dall’inizio, principalmente perché nei comizi Maduro ha ricevuto più del 60 per cento dei voti.
Nel suo discorso Maduro ha affermato che si tratta di un altro stratagemma degli Stati Uniti per continuare con la loro tradizionale politica interventista in tutta la regione americana. La risposta gli è giunta poche ore dopo, quando il Dipartimento di Stato gli ha negato l’autorità di rompere le relazioni.
Tra grida di giubilo e di euforia Guaidò ha detto che quello di ieri è stato un altro passo per instaurare un governo di transizione e fare elezioni libere. Messo in guardia sulle conseguenze delle sue decisioni, Guaidò ha chiesto al popolo che lo accompagni: “Sappiamo che non si tratta di una persona, che questo avrà delle conseguenze, che è necessario che rimaniamo nelle piazze del Venezuela fino ad ottenere la democrazia, non permetteremo che questo grande movimento di speranza e forza nazionale si sgonfi”. Ha anche giurato di impegnarsi sulla non violenza. “Ci stancheremo? No signori, continueremo fino alla democrazia, fino alla libertà, finche ogni venezuelano abbia il pane in tavola, finchè l’acqua e il gas torneranno nelle case del Venezuela, finchè i nostri figli torneranno nel nostro territorio nazionale, finchè otterremo definitivamente la prosperità” ha aggiunto, mentre attorno i simpatizzanti suonavano clacson e passavano auto e moto con le bandiere del Venezuela. Alcune ore più tardi, dopo che Maduro aveva annunciato la rottura delle relazioni diplomatiche con gli USA, Guaidò ha detto che manterrà tali relazioni: “Lo Stato del Venezuela desidera fermamente che mantengano la loro presenza diplomatica nel nostro paese.” Le manifestazioni dell’opposizione si sono svolte nei 23 stati del paese e in Australia, a Ginevra davanti alla sede dell’ONU, a Santo Domingo e a Miami.
Le mobilitazioni a favore di Maduro non sono restate indietro. Decine di migliaia di persone hanno marciato a Caracas e in altre città del paese per difendere il secondo governo del presidente venezuelano. A sera sono giunte davanti al Palazzo di Miraflores. “Dobbiamo difendere la decisione del popolo del 20 maggio 2018 di appoggiare il governo di Maduro e prevenire le manovre dirette dall’impero. Siamo in mobilitazione permanente e di vigilanza qui al Palazzo di Miraflores” ha detto a Telesur un manifestante, facendo eco a quanto detto da Diosdato Cabello, primo vice-presidente del partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). “Propongo formalmente qui che, a partire da questa notte, restiamo mobilitati davanti al Palazzo di Miraflores (…) do istruzioni al PSUV perché ci organizziamo e restiamo qui, di fronte al Palazzo” aveva detto Cabello.
Il discorso ufficiale ha avuto un altro interlocutore chiave: le Forze Armate. Dal balcone presidenziale
Maduro ha celebrato la fedeltà delle Forze Armate, due giorni dopo che 40 soldati ribelli hanno tentato n sollevamento. Ore più tardi il ministro della Difesa, Vladimir Padrino, ha confermato che
le Forze Armate difenderanno la Costituzione e saranno garanti della sovranità nazionale.
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Trump gioca col fuoco
di Atilio Boron(*); da: lahaine.org;
24.1.2019
L’imperatore ha emesso il suo ukase e ha unto quale presidente Juan Guaidò, un signor Nessuno della
politica venezuelana, sconosciuto alla stragrande maggioranza della popolazione ma costruito “pret à porter” dai media e dagli esperti di marketing nordamericani nelle ultime due settimane.
Dopo l’uscita di Trump, i governi che si svenano per trasformare i loro paesi in repubblichette neocoloniali – Argentina, Brasile, Colombia, Paraguay, Honduras e persino il degradato Canada –
sono cosi in massa a vedere chi arrivava primo a leccare gli stivali del magnate newyuorkino.
Tutto questo ‘circo’ giuridico – che sarebbe motivo di risate se non fosse che può finire in tragedia –
conta sulla benedizione di Luìs Almagro (”Quanto mi danno per buttar giù Maduro?”)(screditato segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani, n.d.t.) e, fino ad ora, sul rumoroso silenzio
del Segretario delle Nazioni Unite, il portoghese Antonio Guterres che, da buon socialdemocratico, soffre dei tic caratteristici dei suoi confratelli che lo portano a guardare da un’altra parte
ogni volta che la patata brucia in qualche angolo del pianeta.
Per questo, attraverso il suo portavoce, ha chiesto “negoziati politici inclusivi e credibili” per risolvere i problemi del paese, dimendicando forse che questi negoziati li condusse già con
successo José L. Rodrìguez Zapatero (ex premier spagnolo, n.d.t.) nei dialoghi che ebbero luogo a Santo Domingo e che, al momento di mettere la firma sugli accordi faticosamente raggiunti, i
rappresentanti della “opposizione democratica” venezuelana si alzarono dal tavolo e lasciarono lo spagnolo con la penna in mano. Il fatto è che avevano ricevuto una telefonata di Alvaro Uribe (ex
presidente della Colombia, n.d.t.), abituale galoppino della Casa Bianca che trasmetteva l’ordine di Trump di far abortire il processo.
Il tentativo golpista, esaltato dai sicari mediatici, inciamperà in molte difficoltà.
Non è la prima volta nella storia moderna del Venezuela che la Casa Bianca riconosce un presidente, come Pedro Carmona (che tentò un colpo di stato contro Hugo Chàvez, n.d.t.) l’11 aprile del
2002, che durò appena 22 ore al governo e finì in prigione.
Sarà diverso questa volta? Difficile fare un pronostico
Guaidò può rifugiarsi in un’ambasciata amica a Caracas e da lì emettere dichiarazioni che alzino la tensione e forzino un confronto con gli USA.
Ad esempio, a fronte dell’ordine del presidente Maduro che il personale dell’ambasciata USA abbandoni in paese nelle prossime 72 ore, la mezzacalzetta imperiale può ordinare loro di restare in
Venezuela.
Un’altra alternativa è che Guaidò si sposti in qualche città alla frontiera con la Colombia e da lì, con la benedizione di Trump, i puzzoni della OEA (Organizzazione degli Stati Americani,
n.d.t.) e le neocolonie latinoamericane proclamino una nuova repubblica, protetta dai “paramilitari” colombiani e dal narcogoverno di Duque, Uribe e compagnia ed esigano il suo riconoscimento
internazionale davanti all’OEA e all’ONU.
Ognuno di questi due scenari confermano, per l’ennesima volta, che se c’è qualcosa che né gli imperialisti
né la destra venezuelana vogliono è il dialogo e la subordinazone alle regole del gioco democratico.
E’ evidente che entrambi cercano lo scontro, applicando il modello libico o quello ucraino, diversi ma simili quanto alle migliaia di vittime e alle centinaia di migliaia di rifugiati che ci
furono in entrambi i paesi.
Ma, al di là delle fake news, le cose non saranno tanto facili per gli assaltatori del potere
presidenziale.
La base chavista è molto ferma e lo stesso può dirsi delle forze armate bolivariane.
Una “soluzione” militare richiederebbe un impopolare invio di truppe nordamericane in Venezuela, nel momento in cui nella Camera dei Rappresentanti prende slancio il progetto di sottomettere
Trump ad un giudizio politico.
E se i 26.000 uomini inviati a Panama nel dicembre 1989 per catturare Noriega e controllare la città dovettero lottare palmo a palmo per due settimane per ottenere il loro obiettivo, con un
popolo indifeso e a forze armate senza equipaggiamento, l’opzione militare implicherebbe, in Venezuela, un rischio enorme di ripetere un fiasco come Playa Giròn o, su scala più grande, come la
guerra del Vietnam, oltre a destabilizzare la situazione militare in Colombia con l’inasprimento della guerriglia.
L’aggressività di Washington contro il Venezuela è una risposta alla sconfitta militare che gli USA hanno
patito in Siria dopo sei anni di ingenti sforzi per rovesciare Bashar al Assad.
D’altra parte non è un dato senza importanza che paesi come Russia, Cina, Turchia, Iran, Messico, Cuba e Bolivia (tra decine di altri paesi) abbiano rifiutato di dare il loro riconoscimento
diplomatico al golpista e questo conta sulla scacchiera della politica mondiale.
Quindi non è escluso che Guaidò finisca per correre la stessa sorte di Carmona.
(*) Politologo argentino
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)