Confermato: gli Stati Uniti accerchiano militarmente il Venezuela
di Sergio Alejandro Gómez, Edilberto Carmona Tamayo (*); da: cubadebate.cu; 18.2.2019
I recenti movimenti di truppe statunitensi, registrati da fonti pubbliche e mezzi stampa, confermano che Washington si dispone ad accerchiare militarmente la Repubblica Bolivariana del Venezuela con la scusa di un presunto “intervento umanitario”.
Cuba ha assicurato, lo scorso 13 febbraio tramite una dichiarazione del Governo Rivoluzionario, che gli USA cercano di fabbricare “un pretesto umanitario per inizare un’aggressione militare contro il Venezuela” e ha denunciato voli militari nella regione dei Caraibi come parte dei preparativi.
Nonostante fonti di Washington e di alcuni dei paesi coinvolti abbiano subito negato le denunce cubane, le ultime informazioni disponibili dimostrano e ampliano le prove di un accerchiamento militare contro Caracas.
“Gli Stati Uniti accumulano silenziosamente la loro forza militare vicino al Venezuela” ha segnalato, sul quotidiano Washington Examiner, il giornalista ed esperto militare britannico Tom Rogan. “Un’importante presenza navale e marittima degli Stati Uniti sta operando vicino alla Colombia e al Venezuela. E, sia coincidenza o no, questi dispiegamenti forniscono alla Casa Bianca una serie crescente di opzioni”.
Secondo Rogan, in meno di una settimana il Pentagono è in grado di dispiegare 2.200 marines, aerei da combattimento, carri armati e di inviare due portaerei in Venezuela.
Le tre punte del tridente nordamericano sono i Caraibi, la Colombia e il Brasile. Non è casuale che l’ammiraglio Graig Faller, capo del Comando Sur, abbia visitato Bogotà, Brasilia e Curazao nelle ultime settimane, sotto la copertura di una presunta organizzazione per la consegna di “aiuti umanitari” al Venezuela.
I Caraibi: dalla portaerei Abramo Lincoln a Curazao
Con l’autorizzazione dell’Olanda, gli Stati Uniti organizzano un centro di distribuzione dei presunti aiuti nell’isola di Curazao, a pochi chilometri dalle frontiere con il Venezuela.
Ma la mobilitazione militare è molto più vasta nella regione dei Caraibi. Nella denuncia cubana si spiega come – tra il 6 e il 10 febbraio – siano stati effettuati voli di aerei da trasporto militare verso l’aeroporto Rafael Miranda di Porto Rico, la Base aerea di san Isidro, nella Repubblica Dominicana, e verso altre isole dei Caraibi ubicate strategicamente.
A questo si aggiunge l’annuncio che la Marina Militare degli Stati Uniti ha dispiegato un “Gruppo di Attacco con Portaerei” (CSG) nell’Oceano Atlantico di fronte alle coste della Florida. Il Gruppo è composto dalla partaerei USS Abraham Lincoln (CVN-72), un incrociatore dotato di missili e quattro ‘distruttori’, oltre ad una fregata della marina spagnola invitata a partecipare.
“I CSG dono dotati di multipiattaforma per operare in qualsiasi luogo e tempo venga richiesto. Oltre a possedere la flessibilità e la sostenibilità per operare in guerre su grande scala e assicurare la libertà dei mari, i CSG sono i simboli visibili e poderosi dell’impegno degli Stati Uniti verso i propri alleati, soci e amici” segnala una nota di stampa ufficiale della Marina statunitense.
A bordo della USS Abraham Lincoln, portaerei nucleare di classe Nimitz, opera lo Squadrone Aereo Imbarcato (CVW) 7, equipaggiato con i Lockheed F-35C Lightning II, il cacciabombardiere più avanzato dell’arsenale statunitense.
Il Gruppo ha iniziato il 25 gennaio le manovre COMPTUEX, destinate apparentemente a mettere a punto la formazione preventiva necessaria ad un dispiegamento militare.
Anche se la sua ubicazione attuale e il luogo del suo dispiegamento non sono noti, gli analisti specializzati in affari militari della Stratfor e della Southfront ritengono che il CSG si trovi in un punto dell’Atlantico di fronte alle coste della Florida. Negli ultimi giorni si è saputo che il Gruppo ha provato un attraversamento degli stretti, manovra necessaria per entrare nel Mar dei Caraibi, dal quale lo separano pochi giorni di navigazione.
In un altro articolo, Rogan segnala un ulteriore dato interessante. Gli Stati Uniti potrebbero avere non uno ma due portaerei nel raggio di operazioni sul Venezuela in una settimana. La portaerei USS Theodore Rooselvelt e la nave di sbarco anfibio USS Boxer si trovano “casualmente”, proprio ora, nel porto di San Diego, California, a meno di una settimana di navigazione dalla costa colombiana sul Pacifico.
“L’USS Boxer ha a bordo la 11° Unità di Spedizione dei Marines (MEU), una delle 7 MEU su cui conta l’Esercito USA. Questa unità di marines ha circa 2.000 uomini. Lo scopo di una MEU è di offrire una rapida capacità di dispiegamento”, spiega Rogan.
La Colombia, dove Bolton vuole inviare 5.000 soldati
Dai tempi del Plan Colombia, inaugurato nel 1999, la Colombia è uno dei principali alleati militari degli USA nella regione. Washington è stata sul punto di installare ufficialmente 7 basi militari in territorio colombiano durante il mandato di Alvaro Uribe, ma una decisione della Corte Costituzionale ha bloccato il progetto. Tuttavia Bogotà ha trovato il modo di aggirare i controlli e alla fine è stata autorizzata la presenza e il dispiegamento logistico statunitense nelle principali installazioni militari del paese andino.
Questa stretta alleanza è finita sui giornali alla fine di gennaio, quando il consigliere alla Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Bolton, ha mostrato “accidentalmente” un’annotazione sul suo notes, con la scritta “inviare 5.000 soldati in Colombia” come parte dell’operazione contro il Venezuela.
Lo stesso presidente Donald Trump non ha scartato l’idea e, quando gliel'hanno chiesto durante una riunione con il suo omologo colombiano, Ivàn Duque, si è limitato a dire: “Lo vedremo”.
Il presidente colombiano, invece, ha preferito non rispondere con un “si” o con un “no” rispetto alla possibilità che la Colombia permetta l’ingresso di truppe statunitensi, nonostante il giornalista Bricio Segovia, di La Voce dell’America, glielo abbia chiesto varie volte.
Durante l’intervista Segovia chiede a Ivàn Duque: “La Colombia sarebbe disposta a ricevere 5.000 soldati sul suo territorio?”. Il presidente colombiano risponde: “Non sono bravo a interpretare i notes di altre persone”. Segovia insiste: “Lei si è riunito con lui (John Bolton) recentemente”. “Quello che posso dire è che stiamo lavorando intensamente per la liberazione del popolo venezuelano e lo abbiamo fatto con un accerchiamento diplomatico di successo. Questo accerchiamento diplomatico non ha precedenti. Questo cerchio diplomatico ha isolato il dittatore. Questo accerchiamento diplomatico è irreversibile e la sua continuità viene dall’effetto domino che si deve attivare nelle Forze Militari del Venezuela” risponde Duque. “Ma la Colombia è disposta a ricevere truppe militari nel suo territorio?” replica Segovia. “Sono stato chiaro, la soluzione in cui credo è quella accerchiamento diplomatico. La continuità dell’accerchiamento avrà un effetto domino che si produrrà in Venezuela quanti più membri delle Forze Armate assicureranno la loro lealtà a Juan Guaidò” sottolinea Ivàn Duque. “Allora la Colombia non è disposta a ricevere truppe statunitensi sul suo territorio..” chiarisce Segovia. “Noi siamo stati chiari. La cosa più importante perché il Venezuela raggiunga la libertà è l’accerchiamento diplomatico” risponde Duque. “Allora ... è un si o un no?” insiste Segovia. “L’accerchiamento diplomatico è lo strumento più importante mai visto nella storia dell’America Latina. Allora, credo sia un grande trionfo da celebrare. La continuità di esso è rappresentata dal fatto che ci siano più militari, come quelli che l’hanno fatto negli ultimi giorni, ad assicurare la propria lealtà e il proprio giuramento a Juan Guaidò”. “Mi scusi, signor presidente, ma lei non ha risposto alla mia domanda. E’ disposta la Colombia a ricevere truppe statunitensi sul proprio territorio” torna a insistere Segovia. “Le torno a rispondere....” dice Duque, ma Segovia lo interrompe: “Si o no? é una domanda senza sfumature”. “Dato che non ha sfumature, le ripeto che credo fermamente nell'importanza dell’accerciamento diplomatico” conclude Duque. Segovia ha chiesto a chi lo segue su Twitter di trarre le proprie conclusioni dopo la risposta del presidente.
Anche se l’invio dei 5 mila effettivi militari non è ancora confermato, gli USA hanno già in funzione un ponte aereo dalla base militare di Homestead in Florida alla località colombiana di Cùcuta, a 2.600 km. di distanza. Per le operazioni si utilizzano almeno tre aerei da trasporto militare pesante a lunga distanza, i C-17 Globemaster III, fabbricati dalla Boeing e con una capacità di carico di 180 tonnellate e un equipaggio da 80 a 100 uomini. Homestead è, oltretutto, la sede del discusso Comanda Sur degli USA.
Il Comando Sur
Si tratta del Comando Unificato delle Forze Armate degli Stati Uniti che operano in America Latina e nei Caraibi, e uno dei 9 comandi che sono direttamente legati alla massima direzione del Dipartimento della Difesa USA. Opera in un raggio di azione di 32 paesi, 19 dei quali in Centro e Sud America e il resto nei Caraibi. Dal 1997 il suo quartier generale si trova nello Stato della Florida.
Precedentemente, dal 1947, si trovava a Panama. La sua storia riconosce quale antecedente “glorioso” proprio lo sbarco dei marines yankee in quel paese all’inizio del XX secolo. Il Comando Sur, conosciuto anche con la sigla in inglese di USSOUTHCOM, si è trasformato in un simbolo dell’ingerenza nordamericana nella regione ed è stato l’alleato delle forze militari e paramilitari che hanno lasciato nei popoli latinoamericani e caraibici una lunga scia di morti, torture e sparizioni per più di un secolo.
Negli ultimi anni il USSOUTHCOM ha armato, addestrato e addottrinato gli eserciti nazionali per servire gli interessi USA sotto la propria direzione. Il fine è evitare l’utilizzo di truppe statunitensi e in tal modo ridurre le proteste negli Stati Uniti. Il modello funziona così: Washington dirige e addestra gli eserciti latinoamericani mediante “programmi congiunti” estensivi e intensivi, e appalta a compagnie private di mercenari la fornitura di militari specializzati, tutti ufficiali “a riposo” dell’esercito nordamericano.
Il Brasile di Bolsonaro, un nuovo alleato del Pentagono
Il Brasile, il più grande paese del Sudamerica e quello con le maggiori forze militari, negli ultimi anni si è trasformato in un inaspettato alleato del dispiegamento del Pentagono nella regione.
I governi di Michel Temer (ad interim dopo un colpo di Stato parlamentare) e di Jair Bolsonaro vogliono cambiare la matrice di forte nazionalismo che si è consolidata durante i governi del Partito dei Lavoratori.
In una delle prime interviste dopo essere divenuto presidente, l’ultra-destro Bolsonaro ha assicurato al canale SBT di pensare alla possibilità di installare una base militare statunitense nel paese. Bolsonaro, un ex capitano di basso rango, ha poi ritrattato in parte l’idea dopo aver ricevuto forti critiche dai suoi stessi generali. Ma nessuno mette in dubbio la vicinanza del nuovo presidente brasiliano al suo omologo statunitense, né l’ammirazione di due dei suoi figli per il Mossad (i servizi segreti israeliani) e per l’Esercito di Israele.
Il Capo del Comando Sur USA è stato la settimana scorsa in Brasile, ricevuto dal cancelliere Araùjo con il quale ha discusso dell’ “affare Venezuela”. Bolsonaro si è impegnato ad utilizzare lo stato di Roraima come centro di raccolta dei presunti aiuti umanitari contro il Venezuela, e dunque del dispiegamento logistico statunitense.
Qualunque sia l’obiettivo della mobilitazione militare ordinata dalla Casa Bianca – dai preparativi per un’aggressione diretta ad altre misure di pressione psicologica contro le autorità legittime – quello che è innegabile in questo momento è che gli Stati Uniti muovono le loro pedine nella regione per accerchiare il Venezuela da ogni lato gli sia possibile.
A fronte di questo scenario, Cuba ha chiamato tutti i popoli e i governi del mondo a difendere la Pace e a opporsi uniti, al di là delle differenze politiche o ideologiche, per fermare un nuovo intervento militare imperialista in America Latina e nei Caraibi che danneggerà l’indipendenza, la sovranità e gli interessi dei popoli dal Rio Bravo alla Patagonia.
(*) Cubani, sono il primo un analista internazionale e il secondo un giornalista
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)