Fino a quando pioveranno le bombe su Gaza?
di Leandro Albani (*); da; lahaine.org; 2.4.2019
Le equazioni sembrano sempre risolversi perfettamente per Benjamin Netanyahu. Il primo ministro israeliano, accusato di corruzione dalla giustizia del suo paese, non ha esitazioni ad ordinare una cataratta di missili sulla Striscia di Gaza quando sente che la sua credibilità è in gioco. Ma Netanyahu non si muove solo per semplice istinto di sopravvivenza; la sua formazione all’interno del sionismo, un’ideologia di ultra-destra e razzista, lo definisce come un leader cosciente che uno dei suoi principali obiettivi è reprimere (se possibile anche fino allo sterminio) il popolo palestinese.
Negli ultimi giorni l’equazione a cui si attacca Netanyahu si è perfettamente risolta. Con la campagna elettorale per i comizi parlamentari del prossimo 9 aprile in Israele, il primo ministro – assediato dalle critiche interne ed esterne – ha ottenuto un nuovo trofeo: il governo di Donald Trump ha riconosciuto che le Alture del Golan sono territorio israeliano.
Questa regione –
siriana – fu strappata dall’esercito israeliano dopo la Guerra dei 6 Giorni del 1967. Negli ultimi anni le Alture del Golan si sono trasformate in una retroguardia di molti gruppi irregolari che
operano in territorio siriano, compresa Al Qaeda. In questa zona lo Stato israeliano ha assistito i mercenari che poi infiltrava in Siria, costruendo
persino ospedali da campo perchè venissero curati.
Lo stesso lunedì scorso quando Trump tendeva ancora una volta la mano per sostenere Netanyahu, l’aviazione israeliana scaricava una pioggia di bombe sulla Striscia di Gaza, una porzione di territorio palestinese di appena 360 chilometri quadrati in cui abitano due milioni di persone.
Gaza, che bagna la sua terra nel Mar Mediterraneo, è considerata la prigione a cielo aperto più grande del mondo. Bloccata economicamente ed assediata dalle forze militari israeliane, la Striscia sopravvive da anni tra i colpi mortali dei bombardamenti e l’indifferenza della comunità internazionale.
Alcune ore prima degli attacchi israeliani era stata data notizia della caduta di un missile artigianale nel nord di tel Aviv, con il ferimento di sette persone. L’equazione, come sempre, si è risolta a favore di Netanyahu. I bombardamenti che hanno demolito intere parti di Gaza erano la risposta che buona parte della società israeliana si aspetta dai suoi governanti.
Il Movimento di Resistenza Islamica Hamas (e quindi l’Iran, per la proprietà transitiva che il governo di Tel Aviv applica) era il responsabile del missile lanciato.
L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha fatto sapere martedì che gli attacchi aerei contro Gaza hanno danneggiato 500 case e distrutto altre 30. Il Ministro delle Opere Pubbliche e della Casa palestinese, Mofeed Al Hasayneh, ha confermato che 13 famiglie palestinesi sono rimaste senza casa e che centinaia di resuidenti di Gaza hanno dovuto abbandonare le loro. Al Hasayneh ha chiesto con forza alla comunità internazionale di fare pressione su Israele perchè fermi i suoi attacchi e che questi fatti, come molti altri, non rimangano impuniti.
Il CPDH (Consiglio Europeo per i Diritti Umani) avverte che “oltre alla distruzione causata dagli attacchi aerei contro il loro bersaglio e ai danni causati alle case e alle installazioni vicine, le esplosioni hanno causato panico e terrore tra la popolazione civile, in particolar modo tra i bambini, che rivivono l’esperienza traumatica vissuta nelle tre offensive israeliane del 2008-2009, 2012 e 2014”. “Con questa scalata generalizzata, i civili palestinesi della Striscia di Gaza sono tornati a soffrire attacchi aerei sproporzionati – che si inscrivono nella politica del castigo collettivo che applica Israele” ha sottolineato il CPDH.
Questi nuovi attacchi sulla Striscia sono anche una risposta alle Marce del Ritorno, che vengono effettuate dall’anno scorso tutti i venerdì. A fronte della messicce proteste dei palestinesi, Israele non ha cambiato la sua risposta: francotiratori e soldati fanno il tiro a segno su uomini, donne e bambini che reclamano la terra che gli appartiene e che gli è negata.
Durante le Marce del Ritorno israele ha assassinato 196 manifestanti, tra cui 8 persone handicappate, tre paramedici che assistevano i feriti e due giornalisti che ‘coprivano’ le proteste. A questi si aggiunga che più di 15.200 persone sono state ferite, compresi 3.300 minori, 177 paramedici e 154 giornalisti.
Dal Centro Al Mezan per i Diritti Umani ricordano che le mobilitazioni contro l’occupazione israeliana sono “un diritto di libera espressione ed un diritto fondamentale che va rispettato”.
Da parte sua la commissione indipendente creata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) per indagare sull’azione dell’Esercito e delle autorità israeliane durante le Marce per il Ritorno è arrivata alla conclusione che gli attacchi potrebbero costituire “crimini di guerra o contro l’umanità”.
“La situazione nella Striscia di Gaza è parte di una lunga campana di violenza e terrore che sta per essere lanciata contro il nostro popolo da Israele” ha denunciato recentemente l’ambasciatore della Palestina all’ONU, Riad Mansur. “Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve far ascoltare la sua voce e agire per impedire la continuazione della violenza e la scalata di questa grave situazione”, ha detto il diplomatico.
Mentre la distruzione colpisce Gaza per mano di Netanyahu e della guardia di ferro che lo asseconda, i palestinesi si preparano a raddoppiare le proteste il prossimo venerdì. Nella Striscia, un territorio dove la morte arriva con lo stesso suono dei caccia israeliani, nessuno è disposto ad abbassare le braccia.
(*) Giornalista e scrittore argentino.
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli)
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)