Imperialismo e guerra
Bambini a perdere
di Daniela Trollio (*)
Se la prima vittima delle guerre (e quando parliamo di guerre ci riferiamo a quelle imperialiste) è la verità, la seconda sono certamente i bambini, nonostante la loro uccisione sia vietata dal diritto internazionale. Proprio nel periodo storico in cui tutti parlano e sparlano dei “diritti umani”, Save the Children (di cui utilizzeremo i dati ben sapendo che sono parziali ma sono gli unici a disposizione e che queste organizzazioni hanno anche loro “interessi” particolari) calcola che i bambini che vivono in aree di conflitto siano 420 milioni, uno su cinque al mondo. I dati del 2017 indicano che siano almeno 10.000 i bambini uccisi o mutilati a causa dei bombardamenti e che circa 100.000 neonati perdano la vita ogni anno per cause dirette o indirette delle guerre, come malattie e malnutrizione.
Nel 2018 4,5 milioni di bambini hanno rischiato di morire per fame nei 10 paesi più coinvolti in conflitti: Afganistan, Yemen, Sudan del Sud, Repubblica Centroafricana, Repubblica democratica del Congo, Siria, Iraq, Mali, Nigeria e Somalia.
I bambini, da sempre, rappresentano il futuro del genere umano. Ma non tutti siamo uguali e alcuni sembra abbiano meno diritti di altri ad avere un futuro.
Così come ci sono attualmente molti modi di chiamare le guerre – intervento militare, intervento “umanitario”, guerra ibrida, guerra di 5° generazione ecc. ecc. – così ci sono molti modi per uccidere i bambini. Vediamone alcuni esempi, anche per fare un sano esercizio di memoria.
Cuba e Venezuela
Due paesi che hanno – e stanno – sperimentando molte forme di guerra. Dall’invasione armata (Playa Giròn 17-19 aprile 1961 a Cuba al tentativo di invasione al ponte di Cùcuta al confine tra Colombia e Venezuela l’11 febbraio di quest’anno al ‘bloqueo’, che è forse l’arma più spietata di cui l’imperialismo dispone. Più spietata perché non viene considerata un’azione di guerra.
Come agisce quest’arma sulla vita, la salute, la morte dei bambini?
Il bloqueo, ad esempio, impedisce attualmente a Cuba di acquisire attrezzature e prodotti fondamentali per curare i piccoli pazienti affetti da cardiopatie. Nel 2007 il Dipartimento del Tesoro USA ha inserito il Centro Nazionale di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica “William Soler” dell’Avana nella lista dei nosocomi non riconosciuti. Così l’ospedale, che ha curato circa 10.000 piccoli pazienti dalla sua fondazione nel 1986, deve sottostare a severe restrizioni nell’acquisto della tecnologia e dei medicinali di ultima generazione necessari, obbligando i medici ad utilizzare tecniche chirurgiche diverse poiché Cuba non può comprare sul mercato nordamericano sonde vescicali, tracheali, cateteri e stent.
Il Venezuela aveva recentemente stabilito un accordo con il nostro paese – sì, proprio con l’Italia – in base al quale un gruppo di bambini, malati di leucemia, avrebbero ricevuto trapianti di midollo osseo. Peccato che, come ha denunciato qualche settimana fa il cancelliere venezuelano Jorge Arreaza, su richiesta nordamericana il Novo Banco, una banca portoghese , ha bloccato i fondi venezuelani là depositati a questo scopo.
Striscia di Gaza
Non parleremo qui delle vittime dirette dei bombardamenti, dei feriti o di coloro che subiscono amputazioni, o dei bambini incarcerati in spregio a tutte le norme internazionali, oltre che alla morale comune. Solo una cifra: dal marzo al maggio dell’anno scorso, durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno, sono morti oltre 1.000 bambini negli scontri (secondo l’Unicef).
Vogliamo invece segnalare altri fattori.
L’acqua, fonte di vita, è diventata per i bambini palestinesi una causa di morte. L’assedio economico, i continui e ripetuti bombardamenti di Israele sulle infrastrutture idriche e fognarie hanno causato un enorme aumento delle malattie trasmesse dall’acqua contaminata: diarrea, epatite, salmonella e febbre tifoide, che colpiscono principalmente i più piccoli.
A Gaza il 95% dell’acqua, secondo l’Unicef, non è adatta al consumo umano. La mortalità infantile palestinese è di 7 volte maggiore di quella israeliana. L’85% delle risorse idriche palestinesi sono state dirottate dagli israeliani verso gli insediamenti dei coloni sionisti e così questa risorsa, nel più grande campo di concentramento a cielo aperto del mondo, è diventata la principale causa della mortalità infantile.
In tutta la Palestina, 8.000 bambini e 400 insegnanti hanno bisogno ogni giorno di essere protetti per andare a scuola perché devono attraversare insediamenti ebraici e checkpoint.
Yemen
La guerra più “dimenticata”, di cui non parla mai nessuno nonostante sia stata definita come la più grande catastrofe umanitaria al mondo. Iniziata nel 2015, vede una coalizione di 9 paesi arabi guidati dall’Arabia Saudita e sostenuti dagli Stati Uniti contro i ribelli del nord, gli Houti. Oltre alla guerra dichiarata contro il paese più povero del Medio Oriente – che ha però una posizione strategica perché da lì passa il controllo del Golfo di Aden - la coalizione ha messo subito in atto un blocco economico feroce e l’Arabia Saudita si è sempre opposta anche alla creazione di corridoi umanitari per soccorrere i civili. Risultato: il ritorno di una malattia quasi debellata come il colera, che ha fatto 500.000 vittime, la maggior parte di esse bambini.
Qui viene utilizzata un’altra arma di guerra: la fame, nell’indifferenza dell’opulento mondo capitalista e delle istituzioni nonostante Ban Ky Moon (ex segretario ONU) avesse affermato nel 2016 che “la morte per fame utilizzata come arma rappresenta un crimine di guerra”. Sempre le “stime prudenti” di Save the Children riferiscono che circa 85.000 bambini sono morti di fame o di malattia dall’inizio del conflitto. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, a causa della guerra in corso, l’80% dei bambini ha bisogno di assistenza umanitaria. Un ultimo dato: ogni 10 minuti nello Yemen muore un bambino per denutrizione.
Ci siamo dilungati su questa guerra dimenticata perché, tra le bombe fornite alla coalizione, spiccano quelle prodotte nel nostro paese, più precisamente quelle della Rwm Italia S.p.A., la filiale italiana del conglomerato tedesco Rheinmetall, con sede a Ghedi e fabbrica a Domusnovas, in provincia di Carbonia. “L’Italia rifiuta la guerra” dice la nostra Costituzione, ma gli affari delle multinazionali non vanno fermati.
Afganistan e Iraq
Afganistan. L’ONU ha iniziato il conteggio dei civili morti solo nel 2009 (la guerra NATO iniziò nel 2001) e riporta la cifra di 28.000 morti e 52.000 feriti. E’ quindi ben difficile stabilire la conta dei morti, anche se stime indipendenti calcolano che in Iraq e in Afganistan siano morti almeno 4 milioni di persone. Comunque i bambini, secondo l’ONU, costituiscono l’89% delle vittime civili da residuati bellici, vittime che aumenteranno visto che Donald Trump ha dichiarato fin dall’inizio del suo mandata che la strategia nordamericana si sarebbe basata sull’incremento degli attacchi aerei. Una pesante ipoteca anche sul futuro, visto che tutti ritengono impossibile lo sminamento del paese.
Iraq. Cifre dell’Onu mai contraddette stimano che in Iraq solo le sanzioni occidentali abbiano causato la morte di circa 1,7 milioni di civili: la metà delle vittime erano bambini. Del resto Madeleine Albright, segretaria di Stato della democratica amministrazione Clinton, alla domanda: “Abbiamo saputo che sono morti più mezzo milione di bambini, più di quanti ne uccise la bomba di Hiroshima. Valeva la pena far pagare un simile prezzo?” rispose candidamente, evidentemente certa dell’impunità, “Credo che sia stata una scelta molto difficile, ma quanto al prezzo, pensiamo che ne valesse la pena".
Oltre alle vittime dirette della guerra, vanno conteggiate quelle causate dalla distruzione delle infrastrutture, soprattutto quelle dell’acqua e dalla distruzione mirata di ospedali e scuole.
Per entrambi i paesi (non dimentichiamo il precedente vicinissimo a noi: la guerra in Yugoslavia) c’è anche una pesantissima eredità lasciata alle generazioni future: l’uso di armi all’uranio impoverito, uranio arricchito, fosforo bianco e altre, non solo vietate ma sconosciute alla letteratura scientifica, con il loro carico di aborti, deformazioni congenite, aumento esponenziale dei tumori, ecc..
Lasciamo ora questo (ridottissimo e limitatissimo) catalogo degli orrori – a cui andrebbero aggiunti i caduti della guerra in atto oggi contro i rifugiati, oltre che ad altre guerre come quella contro la Siria - per farci una domanda.
Perché questo accanimento contro i bambini? Non solo perché oggi la guerra è cambiata: lo scenario principale non sono più – ormai dalla 2° guerra mondiale - i campi di battaglia, ma le città e i centri di vita sociale, le infrastrutture, tutto ciò che si è costruito in anni e anni. Ma soprattutto, perché sono cambiate le forme della rapina imperialista.
Sempre più cieca, la logica del profitto mira solo ad impadronirsi delle risorse di altri popoli e, date le continue crisi di sovrapproduzione, ha sempre meno bisogno dell’esercito di riserva, che rimane comunque – grazie a quanto abbiamo detto sopra – sterminato.
Quindi non ha più bisogno di investire le poche briciole del passato sul futuro dei popoli e delle classi che sottomette, rappresentato dai bambini.
Le guerre imperialiste depredano le loro vittime di quello che hanno, di quello che sono e di quello che potrebbero essere: in questa ottica ricordiamo la resistenza palestinese, tre generazioni di giovani che continuano la battaglia dei loro nonni e padri, diventando un pericoloso esempio come lo sono le giovani generazioni di cubani che, pur isolati in un mondo a maggioranza capitalista e castigati con il più lungo embargo della storia, continuano a resistere e a costituire un esempio del fatto che “si può” lottare e vincere.
Le vittime, quindi, non sono affatto un “danno collaterale” ma un elemento essenziale delle guerre imperialiste. Ma non è carino e provoca problemi nell’opinione pubblica dire che i governi imperialisti fanno la guerra per il petrolio o per altre risorse vitali per i capitalisti: così i bambini iracheni dovevano essere protetti dal tiranno Saddam Hussein quando si affermava che “staccasse le spine delle incubatrici”, ma non meritano neanche una parola quando muoiono sotto le “nostre” bombe. Le vittime hanno solo un valore strumentale, sono il pretesto preferito per attuare la rapina selvaggia di paesi e popoli.
Lo stesso vale per la lunga lista di “tiranni” costruiti a tavolino, ultimo della serie Nicolàs Maduro, legittimo presidente del Venezuela, a cui si pretende di portare “aiuti umanitari” mentre si rubano le riserve finanziarie del paese depositate all’estero.
Due parole ancora su quello strumento delle guerre imperialiste particolarmente infame che sono le sanzioni, gli embarghi ed i “bloqueos” che, in quanto rivolti non certo contro i governi che si vogliono abbattere ma contro la popolazione civile ed i bambini in particolare (di solito infatti vengono bloccati per primi cibo e medicine). Come ben sanno i cubani, i palestinesi, gli iracheni, i venezuelani e forse domani anche gli iraniani, queste misure sono solo uno strumento di castigo dei popoli che non si ribellano ai “tiranni” costruiti dall’Occidente imperialista.
Molte volte abbiamo ripetuto su queste pagine le parole di Rosa Luxemburg, “Socialismo o barbarie”. Se il socialismo a molti sembra essere uno scenario lontanissimo – ma noi continuiamo a pensare, ogni giorno di più, che sia l’unico sbocco possibile per mettere fine, oltre che allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, anche agli orrori della guerra e alla probabile distruzione del nostro stesso pianeta – la barbarie è qui, ogni giorno. Continueremo inerti a farci derubare anche del futuro?
(*) Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto San Giovanni (/Mi)
(da nuova unità n. 3/20129)