Venti di guerra
A chi giova? A Israele e agli Stati Uniti, non all’Iran
di Augusto Zamora R. (*)
Colui che beneficia del crimine è l’autore. E chi guadagna dagli attacchi contro le petroliere? L’Iran no, naturalmente, perché oltre a non guadagnarci nulla è il principale danneggiato.
Vince Israele, ovvio, con l’aggiunta fondamentale del fatto che gli attacchi si incastrano alla perfezione nella politica anti-iraniana di Tel Aviv, appoggiata alla lettera dall’Amministrazione Trump che – guarda caso – non ha dubitato un attimo ad accusare l’Iran. Cui bono (a chi giova, dal latino)? Lo ripetiamo: a Israele, a Israele e agli USA.
Ricordando il proverbio che il pesce muore dalla bocca, il segretario di Stato USA, Mike Pompeo, ha accusato l’Iran con i seguenti argomenti: “Questa conclusione si basa sull’intelligence, sulle armi utilizzate, sul livello di esperienza necessario per eseguire l’operazione, sui recenti attacchi iraniani ad altre imbarcazioni e sul fatto che non esista alcun gruppo ‘proxy’ operante in zona che disponga delle risorse e delle capacità per agire con un simile grado di sofisticazione”.
Andiamo per punti. Mr. Pompeo sbaglia, apposta, perché nella zona degli attacchi c’erano almeno tre gruppi ‘proxy’ oltre all’Iran: quello saudita, quello statunitense e quello israeliano. Tutti questi gruppi hanno l’intelligence, l’armamento, l’esperienza e i mezzi per eseguire l’operazione che – sia detto en passant – è così semplice che non richiede alcuna arma particolarmente sofisticata. Basta un sottomarino o una lancia torpediniera per eseguire attacchi come quelli successi. Durante la guerra Iran-Iraq alcuni semplici barili-bomba di fabbricazione casalinga erano sufficienti per colpire una petroliera. Perché queste sono inermi.
Gli attacchi, oltretutto, sembrano calcolati; non danneggiano il carico né colpiscono gravemente le navi stesse. Lo fanno giusto quel tanto che serve per montare uno scandalo politico e giustificare ulteriori misure contro l’Iran.
Si potrebbe dire che Israele non ha una presenza militare nel Mare di Oman. Sicuro? Qualcuno metterebbe la mano sul fuoco che l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi Uniti – che cooperano ‘segretamente’ con Israele – non abbiano autorizzato la presenza di commandos israeliani sul proprio territorio?
Non ci sarebbe bisogno che rimanessero per molto tempo. Potrebbero essere inviati per, precisamente, realizzare attacchi come questi, incolpando l’Iran e dare munizioni agli USA perché continuino a strozzare la repubblica islamica.
Gli israeliani sono specialisti in operazioni di questo tipo. I sauditi possiamo scartarli perché, se inviassero dei commandos, questi affogherebbero.
Oltretutto Israele non ha bisogno di basi terrestri per operazioni di questo tipo. Gli bastano i suoi sottomarini di classe Dolphin, regalati dalla Germania, per operare nel Mare di Oman.
I sommergibili Dolphin hanno un’autonomia operativa di oltre 7.000 km. e sono parte essenziale del sistema di difesa israeliano, dato che alcuni di essi sono dotati di missili nucleari. Secondo la rivista statunitense National Interest, questi sottomarini sono costruiti per muoversi senza essere rilevati lungo le coste dei paesi arabi e, naturalmente, di fronte alle coste dell’Iran.
I Dolphin possono ‘sparire’ per mesi, seguendo rotte classificate di profondità fino ai 400 metri. Sono dotati – informazione cortesemente fornita dal Mossad, tra una mattanza e l’altra di palestinesi – di dieci tubi lanciamissili a prua, sei tubi standard e quattro torpedini di 650 mm., con tecnologia fornita dagli USA e dalla Germania, oltre a quella israeliana. In altre parole, i Dolphin possono realizzare attacchi come quelli contro le petroliere.
Da ultimo, Israele sta usando l’oceano Indiano come sito di operazioni segrete, come gli esprimenti nucleari degli anni ’70 con il regime razzista del Sudafrica o le prove dei missili Popeye (non è uno scherzo) nell’anno 2000 in Sri Lanka, secondo informazioni USA.
Gli attacchi si sono verificati (coincidenza?) durante la visita in Iran del primo ministro del Giappone, Shinzo Abe, paese interessato ad acquistare petrolio iraniano e latore di richieste di Sua Maestà il presidente Trump, nonostante il governo iraniano abbia rifiutato categoricamente la possibilità di negoziati con Trump.
L’Iran ha innumerevoli ragioni per non prendere seriamente le proposte del presidente statunitense.
Possiamo finire questo esercizio ricorrendo al nostro amato Sherlock Holmes di illustre e indimenticabile memoria. In “L’avventura del costruttore di Norwood” il giovane MacFarlane è accusato di aver assassinato che, la notte precedente, l’aveva nominato suo erede.
Non racconteremo il finale dell’avventura perché questo spetta all’irrinunciabile Watson. Dopo aver esaminato le prove raccolte dalla polizia, Holmes chiede al commissario Lestrade: “se lei fosse capace di mettersi per un attimo al posto di questo giovane, sceglierebbe –per commettere il suo crimine - proprio la notte successiva alla redazione del testamento?.. sceglierebbe la notte in cui è rimasto nella casa perché un servitore le ha aperto la porta?
E, infine, farebbe tutta questa fatica per disfarsi del cadavere e lascerebbe proprio il suo bastone come prova che lei è un criminale?”.
A chi giova? A Israele o agli USA, o a entrambi. Elementare, mio caro Watson!
(*) Professore di Diritto e Relazioni Internazionali all’Università Autonoma di Madrid. E’ stato l’avvocato del Nicaragua sandinista contro gli USA davanti alla Corte Internazionale di Giustizia; da: rebelion.org; 19.6.2019
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)