C’è donna e donna....
Capitalismo e imperialismo hanno bisogno delle loro donne ai vertici europei
di Daniela Trollio (*)
Nello scorso luglio alcune donne sono salite agli onori della cronaca, occupando per giorni le prime pagine dei giornali, tanto da far pensare che spirasse un nuovo vento “femminista”.
Cominciamo con le più conosciute.
Christine Lagarde e Ursula von der Leyen sono diventate, rispettivamente e per la prima volta in quanto donne, direttrice della Banca Centrale Europea e presidente della Commissione Europea.
La più nota, la francese Christine Lagarde, ex ministra nei governi conservatori di Chirac e Sarkozy, è stata presidente del Fondo Monetario Internazionale (FMI), ha avuto problemi giudiziari (per aver favorito un ‘grande elettore’ di Sarkozy) ed è stata riconosciuta colpevole di negligenza ma non ha ricevuto alcuna condanna perché – come ha stabilito il tribunale francese che l’ha condannata – “i fatti sono successi in piena crisi economica”: la regola “non disturbare il manovratore” vale sempre, in questi casi. Sotto la sua guida il FMI ha applicato una spietata politica di austerità fiscale verso i paesi sottosviluppati, condannando le loro popolazioni alla disoccupazione e alla povertà crescenti pur di garantire il pagamento del cosiddetto “debito estero” e il salvataggio delle banche e delle corporations in crisi.
Ursula von der Leyen, tedesca, è stata la prima donna nella storia della Germania ad occupare l’incarico di ministra della Difesa. E’ un’aristocratica, discende da una di quelle famiglie di industriali belgi del secolo XIX che fecero la propria fortuna con lo sfruttamento delle risorse naturali del Congo e con il traffico di schiavi.
Ha simpatie per Israele, tanto che ha partecipato alla riunione congiunta, e ai successivi festeggiamenti, tra governo tedesco e quello israeliano nel 2008 per il 60° anniversario della nascita dello Stato sionista. Come Ministra della Difesa ha al suo attivo grandi investimenti da parte del suo ministero nell’acquisto, nella fabbricazione e nell’esportazione di armi, tra cui la fornitura di sottomarini all’India, operazione per la quale è stata indagata per corruzione.
Insieme ad Angela Merkel, Lagarde e van der Leyer rappresentano la triade delle donne più potenti d’Europa, tanto da far scrivere, rispetto a Lagarde, che questa “avrà l’opportunità di dimostrare che le cose sono diverse quando la mano è femminile; e, se è possibile, che si fanno meglio”.
Domanda: il percorso di queste tre donne, pilastri della politica neo-liberista che ha affondato nella miseria più nera la Grecia (con 10.000 bambini morti per i tagli alla sanità, secondo la prestigiosa rivista medica inglese Lancet), che ci ha condannato alla disoccupazione strutturale, che favorisce frontiere – ricordate la retorica della caduta del “Muro”? oggi l’Europa è orgogliosamente piena di muri – per respingere e causare la morte di migliaia di migranti nel Mediterraneo, fa patti vergognosi con Israele e Arabia Saudita, alimenta il commercio di armi e le guerre in Medio Oriente ...... e via di questo passo, ci fa sperare che “la mano femminile” renda le cose migliori?
Femminismo d’accatto, come se bastasse la condizione biologica e non la comprensione della radice della propria oppressione e sfruttamento per essere “femminista”. Il volto femminile del capitale e del suo potere non ha nulla a che spartire con le donne proletarie e lavoratrici, anzi, è il loro primo nemico.
Ecco una breve lista di questi volti: Margaret Thatcher, l’affossatrice dei minatori inglesi; Golda Meir, uno dei primi boia del popolo palestinese; Madeleine Albright, che affermava che “era valsa la pena la morte di 1 milione di bambini iracheni”; Condoleeza Rice, Hillary Clinton, ecc. e, per quanto ci riguarda, mettiamoci pure Elsa Fornero. Dietro di loro, come dietro le facce degli uomini che le hanno precedute, c’è il potere del grande capitale, dell’imperialismo, che non ha sesso né cuore ma solo l’anelito al massimo profitto, a qualsiasi costo.
Le fanfare del “femminismo” non hanno invece suonato per Carola. Parliamo di Carola Rackete, la capitana tedesca del Sea Watch-3 (o per la meno conosciuta Pia Klemp, che ha anch’essa sfidato leggi disumane emanate da governi che si richiamano ai “diritti umani” e ai “nostri valori cristiani” per salvare migranti in mare). Il suo gesto le è valso non solo l’arresto, ma insulti di ogni genere. In un’intervista rilasciata appena arrestata, Carola – che probabilmente deve anche scontare il fatto di essere “una” capitana, professione finora eminentemente maschile – ha fatto una perfetta analisi di classe di se stessa dicendo: “Sono bianca, nata in un paese ricco e con il passaporto giusto” e quindi ha sentito di dovere qualcosa a quei nostri fratelli disperati che rischiano la vita per sfuggire alla miseria, alla fame e alle bombe (le “nostre” bombe, quelle delle guerre umanitarie). Diventata il simbolo della resistenza e della lotta alle politiche anti-migratorie non solo di Salvini ma di tutta la fortezza Europa - dove possono liberamente circolare i capitali ma non le persone, soprattutto se sono povere - Carola non ha avuto peli sulla lingua. “L’Unione Europea sta finanziando i guardacoste libici e un regime che permette la tortura ed il traffico di esseri umani. L’Unione Europea non dovrebbe cooperare con tali organizzazioni. Finanziano dei criminali sapendo che sono tali. Mi vergogno che il mio governo, che un paese come la Germania, e l’Unione Europea diano appoggio a quei criminali” (intervista al quotidiano spagnolo El Paìs). E questo con buona pace di quanti affermano (a destra come Diego Fusaro, ma anche a “sinistra”) che persone come Carola sono complici dei trafficanti di uomini, facendo finta di ignorare dove stanno queste mafie e che esse vengono finanziate, tra l’altro, con le nostre tasse.
Carola ha commesso anche un altro peccato, pericolosissimo di questi tempi. Non ha aspettato che “qualcuno” – il solito qualcuno che deve cominciare a fare qualcosa e poi noi .... forse ... gli andremo dietro – facesse qualcosa ma, in piena coscienza di quello che rischiava, ha deciso che non valeva la pena di aspettare questo fantomatico “qualcuno” ed ha agito in prima persona.
Ha fatto quello che il grande scrittore Eduardo Galeano definiva così: “Sono cose piccole. Non mettono fine alla povertà, non ci fanno uscire dal sottosviluppo, non socializzano i mezzi di produzione e di scambio, non espropriano la caverna di Alì Babà. Ma chissà che non scatenino l’allegria del fare e la traducano in azioni. E, alla fin fine, agire sulla realtà e cambiarla, anche di poco, è l’unico modo di dimostrare che la realtà è trasformabile”.
E veniamo ad un’altra donna, la poco conosciuta in Europa ma notissima e amata in America Latina Marta Harnecker, che se n’è andata il 15 giugno scorso. Cilena, laureata a Parigi, nel 1968 tornava nel suo paese dove divenne professoressa di Materialismo Storico ed Economia Politica all’Università Cattolica del Cile, collaborando anche con il governo di Salvador Allende. Dovette abbandonare il suo paese dopo il colpo di Stato di Pinochet nel 1973 e si rifugiò a Cuba, dove ha trascorso il resto della sua vita. E’ stata anche consigliera del Comandante Hugo Chàvez e del Ministero del Potere Popolare venezuelano.
Per tutta la vita ha studiato, dal punto di vista marxista, i processi di lotta popolare e di trasformazione dell’America Latina, che formano la materia delle sue opere. Così la definiva Samir Amin: “In questo senso lei è un’autentica marxista, che ha continuato il lavoro iniziato da Marx, senza timore di arricchirlo, assumendo permanentemente quanto di nuovo c’è nella realtà del mondo, del capitalismo, dell’imperialismo, delle lotte, rinnovando così la concettualizzazione, le proposte teoriche e quelle relative alle strategie di azione”. Tra i suoi circa 80 libri ricordiamo “Il capitale: concetti fondamentali”, “Popoli in armi”, “Rendere possibile l’impossibile: la sinistra sulla soglia del secolo XXI”, con cui diede al marxismo vivo una dimensione latinoamericana.
Una donna, una teorica marxista, che ha vissuto, studiato e lavorato fuori e contro il mondo sempre più barbaro che ci dicono essere l’unico possibile. Vogliamo salutarla con le parole di chi crede - e lavora - invece per un mondo dove non ci sia più sfruttamento e oppressione dei lavoratori e dei popoli. Il boliviano Evo Morales ricorda che “con la forza delle sue idee ha ispirato la liberazione dei popoli dallo sfruttamento capitalista” e il venezuelano Nicolàs Maduro dice “la sua eredità è grande per l’importanza, la profondità e il carattere propositivo delle sue opere, dedicate alla causa dei popoli della Nostra America. Vola alto, compagna!”.
(*) Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” via Magenta 88, Sesto San Giovanni (Mi).
Dalla rivista nuova unità