Medio Oriente

 

Ricordando il massacro di Sabra e Chatila

 di Nasim Ahmed (*); da: lahaine.org; 23.9.2019

 

Proprio questa settimana di trentasette anni fa uno dei capitoli più sanguinari della storia palestinese fu scritto in un campo di rifugiati in Libano. Attorniati da ogni lato dalle forze israeliane, migliaia di rifugiati, privi di guida e della protezione della comunità internazionale, furono assassinati durante una mattanza durata due giorni nel campo di rifugiati di Chatila e in quello di Sabra, vicino a Beirut, dalla milizia falangista cristiana, i paramilitari alleati di Israele in Libano.

 Quando? Dal 16 al 18 settembre 1982.

  

Cosa successe?

15 settembre: le forze israeliane, che avevano invaso il Libano tre mesi prima, avanzarono verso Beirut e accerchiarono il campo di rifugiati palestinesi di Chatila. Gli USA avevano già negoziato un piccolo “cessate il fuoco” per permettere che la leadership dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), con più di 14.000 combattenti, abbandonasse il paese, devastato dalla guerra civile. La Risoluzione 520 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, datata 17 settembre, venne approvata all’unanimità e condannò “le recenti incursioni israeliane a Beirut in violazione degli accordi per il ‘cessate il fuoco’ e delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza”. Israele ignorò anche questa risoluzione.

  

Praticamente isolati dal mondo esterno dai carri armati israeliani, centinaia di combattenti  falangisti – un gruppo di miliziani cristiani ispirati da fascisti europei – furono istruiti dalle forze israeliane per eliminare i membri dell’OLP nell’area.  Quanto successe il giorno e mezzo dopo fece orrore al mondo.

 

 

 

 

La Falange era totalmente nemica dell’OLP. Avevano lottato su fronti opposti durante la guerra civile libanese, che fece 120.000 morti. La Falange voleva anche vendicare la morte dell’appena eletto presidente del Libano Bachir Gemayel. I falangisti ritenevano che i palestinesi avessero assassinato Gemayel il 14 settembre – accusa che risultò completamente falsa.

  

Nelle 38 ore in cui gli israeliani permisero che la milizia della Falange entrasse senza ostacoli nel campo dei rifugiati, i civili palestinesi cercarono di nascondersi in rifugi improvvisati e soffrirono orrori indescrivibili.

 I miliziani, rappresentanti di Israele, violarono, torturarono, mutilarono e uccisero più di 3.000 residenti palestinesi e libanesi di Sabra e Chatila. Aiutato da bengala sparati nel cielo notturno dalle truppe israeliane, che si trovavano nello stadio che si affacciava sull’area, il massacro continuò senza pause.

 

Nonostante testimoni oculari informassero sugli orrori che stavano accadendo, l’esercito israeliano permise che i rinforzi entrassero a Chatila e si dice che fornisse anche ai falangisti delle ruspe per sotterrare i cadaveri dei palestinesi morti.

 Deciso a distruggere la base dell’OLP in Libano e a installare un regime fantoccio a Beirut, l’allora ministro della Difesa di Israele – Ariel Sharon – fece finta di non vedere cosa stava succedendo. Si dice che il 17 settembre gli comunicarono i dettagli del massacro, ma l’uomo che sarebbe diventato Primo Monistro di Israele rimase impassibile, il che permise che il massacro continuasse per altre ore.

  

Che successe in seguito?

Seguirono commozione e indignazione, Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò la Risoluzione 521 all’unanimità, condannando il massacro. Il 16 dicembre 1982 l’Assemblea Generale dell’ONU dichiarò che il massacro era stato “un atto di genocidio”.

 

Israele iniziò la propria inchiesta il 28 settembre 1982 con la Commissione di Inchiesta Kahan. Questa arrivò alla conclusione che “la responsabilità diretta” ricadeva sui falangisti e che nessun israeliano si considerava “direttamente responsabile” anche se si riteneva Israele “indirettamente responsabile”. Ma si ritenne che il Ministro della Difesa Ariel Sharon avesse una “responsabilità personale” per aver “ignorato il pericolo di un massacro e di una vendetta” e per non “aver preso le misure adeguate per evitare il massacro”. Sharon fu rimosso dal suo incarico, ma questo non danneggiò la sua carriera politica: diventò Primo Ministro di Israele nel 2001.

  

Per gli USA, che garantivano la sicurezza dei civili rimasti dopo che i combattenti dell’OLP lasciarono il Libano, fu una profonda vergogna. Causò un danno immenso alla loro reputazione e portò alla decisione di dispiegare forze statunitensi nel paese, con risultati disastrosi. Il presidente Reagan ordinò ai marines statunitensi di ritornare in Libano  e, poco più di un anno dopo, il 23 ottobre 1983, 241 soldati statunitensi vennero assassinati quando due camion bomba distrussero le loro caserme a Beirut, fatto che portò Reagan a ritirare le forze statunitensi per sempre.

  

Per i palestinesi, la tragedia di Sabra e Chatile continua ad essere un grande promemoria del loro ciclo, apparentemente interminabile, di trasferimenti. E’ una conseguenza in più della pulizia etnica della Palestina nella Nakba del 1948 e successivamente nel 1967.

 

Circa mezzo milione di rifugiati palestinesi sono ancora ‘disumanizzati’ ed insicuri in Libano, con ben pochi diritti civili e politici. Circa 5,4 milioni si trovano dispersi nella regione in miserabili campi di rifugiati, con un’inquietante sensazione di permanenza.

 

 Nota del traduttore: chi volesse maggiori particolari sul massacro, può leggere l’articolo di Robert Fisk, uno dei primi giornalisti (allora del Times) ad entrare nel campo di Shatila, intitolato “Massacro di Sabra e Chatila: ce lo dissero le mosche..” che inizia così:

  “Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore. Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all’altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare.

  

(*) Giornalista arabo, scrive su Middle East Monitor

  

(traduzione di Daniela Trollio

 Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

News