TERRORISMO?

 

Abu Bakr al-Baghdadi, creato e assassinato dalla CIA

di Marc Vandepitte (*); da: rebelio.org; 4.11.2019

  

Ora che il dirigente dello Stato islamico (EI), Abou Bakr al-Baghdadi, è stato eliminato, molti negli Stati Uniti e in Occidente esprimono la loro allegria e il loro sollievo. Quello che non dicono è che questo bestiale gruppo terrorista è un prodotto della loro stessa politica estera nella zona.

  

L’emergenza dell’E.I.

 Nel 2003 Stati Uniti e Gran Bretagna invasero l’Iraq. In quel momento al-Qaeda e altri gruppi terroristici avevano poco peso nella zona. L’esercito statunitense si scontrò con una violenta rivolta dopo l’invasione. Per schiacciarla vennero utilizzati squadroni della morte, esattamente come avevano fatto gli statunitensi in America Latina con la cosiddetta “Opzione El Salvador”. In più, in questa guerra sporca, si misero gli uni contro gli altri sunniti e sciiti, seguendo la tattica del “divide et impera”.

 In quest’orgia di violenza settaria provocata si impiantò al-Qaeda in Iraq, con il nome di “Stato islamico dell’Iraq” (EII).

 Poi venne la presunta “primavera araba” del 2011. Per rovesciare Gheddafi la NATO collaborò con il Gruppo di Combattimento Islamico Libico (GCIL), sotto la direzione di Abdelhakim Belhaj, ex dirigente di al-Qaeda in Libia. Quando cominciò la rivolta in Siria, Belhaj inviò nel paese centinaia di combattenti armati per scacciare Assad dal potere. I servizi di sicurezza degli USA e della Gran Bretagna cooperarono nel trasferire gli arsenali libici ai ribelli siriani.

  

Nel 2012 Stati Uniti, Turchia e Giordania costruirono un campo di addestramento per i ribelli siriani a Safawi, nel nord della Giordania. Vi partecipavano istruttori francesi e britannici. Parte di questi gruppi ribelli si sarebbe più tardi unita allo Stato islamico.

 

 

 Tra le file di al-Qaeda in Iraq c’erano molti siriani. Al principio della guerra civile in Siria molti di essi tornarono nel loro paese di origine per creare il Fronte al-Nusra. Nell’aprile 2013 Abou Bakr al-Baghdadi, dirigente dell’EII, dichiarò che il suo gruppo e Al-Nusra si erano uniti con il nome di Stato  Islamico dell’Iraq e del Levante (EIIL) e successivamente con il nome di Stato Islamico d’Iraq e Siria (EIIS, conosciuto con il nome di ISIS per la sigla in inglese). Ciò nonostante al-Qaeda si distanziò dalla nuova formazione e le due organizzazioni seguirono un diverso cammino.

  

E’ in questo vespaio che nacque e diventò potente l’ISIS, in seguito chiamato IS. Questa organizzazione terroristica crebbe rapidamente, conquistò molto terreno a partire dal 2014 e nel giugno dello stesso anno si proclamò “Califfato”.

 Da tempo i servizi di intelligence militare statunitensi (DIA) sapevano che era in gestazione il “Califfato”. Ma, secondo l’ex consigliere alla Sicurezza di Donald Trump, Michael Flynn, il governo  statunitense guardò da un’altra parte. Il Califfato costituiva un ottimo tappo sunnita per indebolire la Siria e ridurre l’influenza dell’Iran sciita.

 

Graham Fuller, uno dei più rispettati analisti del Medio Oriente ed ex agente della CIA, è molto chiaro: “Credo che gli Stati Uniti siano uno dei creatori chiave dell’ISIS. Gli Stati Uniti non avevano pianificato di creare l’ISIS, ma i loro distruttivi interventi in Medio Oriente e la guerra in Iraq sono stati le principali cause della nascita dell’ISIS”.

 

 

Niente di nuovo sotto il sole

 Non è per niente nuovo il flirt del Pentagono con gruppi islamisti estremisti. Ricordiamo che, a partire dal 1979, gli Stati Uniti reclutarono, addestrarono e armarono i mujahidin per rovesciare il governo comunista dell’Afganistan. Il film Rambo III di Sylvester Stallone è la versione hollywoodiana di questa collaborazione. Al-Qaeda e Osama bin Laden apparirono in seguito, a partire dai gruppi di mujahidin.

 

Nel decennio 1990 i talebani, gruppi di combattenti estremisti e ancor più violenti, diventarono i soci privilegiati di Washington in Afganistan. Questa cooperazione finì quando divenne evidente che i talebani non potevano più servire gli interessi degli Stati Uniti.

Durante la guerra civile in Yugoslavia (1992-1995) il Pentagono trasportò in Bosnia, con un ponte aereo, migliaia di combattenti di al-Qaeda per appoggiare i musulmani di quella zona.

 

Nel 1996 ufficiali di al-Qaeda crearono l’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK, la sua sigla in albanese), proprio all’altro lato della frontiera con l’Albania. Nello stesso momento, soldati britannici e statunitensi fornirono il loro aiuto.

  

Abbiamo già menzionato la cooperazione tra il gruppo di Combattimento Islamico Libico (GCIL) e la NATO per rovesciare Gheddafi. Dopo il 2011 questa organizzazione terroristica formò un’alleanza con i ribelli islamisti del Mali, che riuscirono a conquistare il nord del Mali per vari mesi con l’aiuto dei tuareg. Grazie ai bombardamenti della NATO il GCIL aveva potuto saccheggiare i depositi di armi dell’esercito libico, le stesse armi che gli yihaidisti utilizzano oggi in Siria, Iraq, Nigeria, Chad e Mali.

  

Il Financial Times mette in relazione questi fatti con la rivalità geopolitica con la Cina: “Per molto tempo la militarizzazione della politica statunitense in Africa dopo l’11 settembre è stata discutibile e considerata nella zona un tentativo di rafforzare il controllo statunitense delle risorse e di contrarrestare il grande ruolo commerciale della Cina”.

 

Non si può neppure escludere che i servizi di intelligence occidentali siano implicati, direttamente o indirettamente, nelle attività terroristiche dei ceceni in Russia e degli uiguri in Cina.

 

Di conseguenza, parliamo di una politica sistematica e deliberata da parte di Washington e dei suoi alleati per conservare il controllo della zona.

  

La strategia del caos

 La guerra contro il terrorismo si è trasformata oggi nel suo contrario: la propagazione del terrore.

 

Le operazioni fallite in Iraq, Afganistan, Libia e Siria dimostrano chiaramente che gli Stati Uniti e l’Occidente non sono più in gradi di modellare la zona del Medio Oriente a loro volontà.

 

Washington e i suoi alleati corrono il pericolo di perdere ogni volta di più la loro influenza e ricorrono ogni volta di più a sub-contrattisti della peggiore specie. Dicono che “se non possiamo controllare noi stessi la zona, non lo potrà fare nessun altro”.

 

E’ quella che si può chiamare la “strategia del caos” o, forse meglio, “il caos della strategia”. In ogni caso è il colmo dell’immoralità.

  

Una cosa è sicura: il terrore nella zona non verrà mai sradicato dalle stesse forze che l’hanno creato o, come afferma una fonte libera da ogni sospetto come l’ex ministro dell’Interno e degli Esteri francese Dominique de Villepin, “le guerre perse in Afganistan, Iraq e Libia favoriscono il separatismo, gli Stati falliti, la legge spietata delle milizie armate. Queste guerre non hanno mai permesso di vincere i terroristi che invadevano le zone, al contrario, legittimano i più radicali. […] Ogni intervento occidentale crea le condizioni per quello successivo. Dobbiamo fermarlo”.

  

(*) Filosofo ed economista belga

  

(traduzione di Daniela Trollio

 Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”

 Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

 

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