Oppio e colonia per Hong Kong
di Higinio Polo (*); da: lahaine.org; 6.11.2019
Le proteste di Hong Kong nascono da diversi motivi: i problemi economici di una parte della popolazione lavoratrice, eredità della colonia britannica; la difficoltà di ottenere un’abitazione a causa della speculazione edilizia e degli alti prezzi; l’esistenza di contingenti di giovani che hanno assunto i valori del capitalismo e odiano il socialismo cinese; l’esistenza di coloro che, per rompere con la Cina, parlano della presunta e falsa “differenza” di Hong Kong; l’assurda paura di un settore delle classi medie davanti all’equiparazione progressiva del livello di vita di Hong Kong con il resto della Cina, inquietudine che proviene da un’incomprensibile xenofobia (i cinesi di Hong Kong sono come il resto degli abitanti del sud del paese) per l’assurda convinzione che gli abitanti di Hong Kong siano “superiori” al resto dei cinesi per la loro maggiore ricchezza e benessere economico.
Questo cocktail esplosiva viene utilizzato dagli USA per creare il caos e la secessione e per accendere un fuoco permanente di crisi contro il governo di Pechino: non per niente i dirigenti dell’opposizione trattano con la diplomazia occidentale, ad Hong Kong, negli USA e in Germania.
A settembre numerosi manifestanti chiedevano “protezione” alla Gran Bretagna perchè salvaguardasse la ‘libertà’ del territorio che aveva controllato con mano di ferro durante un secolo e mezzo di colonia, e cantavano il “God Save the Queen”, inno a maggior gloria della monarchia britannica, accompagnandolo con denunce verso la “dittatura comunista”, con il rogo di bandiere rosse e l’incendio di installazioni e stazioni del metrò da parte dei manifestanti (per la stampa conservatrice occidentale, “il popolo”).
I manifestanti, con scarsa memoria o nostalgici della servitù della colonia, attaccano il governo cinese e speculano sull’ipotesi che tutti gli abitanti di Hong Kong ottengano la nazionalità britannica, in virtù della decisione di Londra di concedere passaporti speciali ai “cittadini britannici dell’estero”, mentre più di cento parlamentari di Westminster pubblicavano un ‘manifesto’ chiedendo al loro governo e ai paesi del Commonwealth di concedere la cittadinanza agli abitanti di Hong Kong che abbandonino il territorio. Utilizzando la retorica della “democrazia”, che magnifici risultati per l’Occidente ha conseguito in Ucraina e in Libia, coloro che consigliano l’opposizione vogliono proporre una petizione al Congresso nordamericano perchè tuteli Hong Kong e approvi una legge perchè il governo statunitese certifichi ogni anno la sua autonomia: una grottesta petizione di ingerenza negli affari del governo cinese.
Perchè per presentare la Gran Bretagna e gli USA come garanti del rispetto dei diritti umani e della democrazia, è necessario chiudere gli occhi, cancellare la storia, annegare la memoria.
La Gran Bretagna si installò in Cina e si arricchì favorendo il commercio della droga, come fanno oggi i più sinistri narcotrafficanti. Mentre Pechino voleva impedire il commercio della droga, Londra impose le “guerre dell’oppio”, ignorando la catastrofe economica, il veleno sociale, la enorme mortalità causata dalla droga introdotta dai britannici con l’appoggio esplicito del loro governo. La distruzione di carichi di oppio a Canton servì da scusa alla Gran Bretagna per occupare la città e altri territori, imponendo il “Trattato di Nanchino” del 1842 che obbligava la Cina a cedere perpetuamente l’isola di Hong Kong. Il cinismo britannico si spinse così lontano che Londra obbligò il governo imperiale cinese a riconoscere che la Gran Bretagna era stata “obbligata” a inviare le truppe, e a indennizzarla per la perdita dell’oppio con 12 milioni di dollari, una somma enorme allora.
In seguito sarebbero venute altre “guerre dell’oppio”, altri ingiusti trattati sottoscritti dalla Cina con i cannoni puntati alla testa, per favorire l’entrata di prodotti occidentali e far fallire le manifatture cinesi; arrivò l’apertura forzata dei porti e la creazione delle “concessioni”, territori cinesi controllati da diversi paesi occidentali (Gran Bretagna, USA, Francia, Italia, Belgio, Giappone, Russia zarista e Impero Austroungarico) a Shanghai e Pechino, a Tianjin e a Canton e in altre città: territori dove era vietata l’entrata “ai cani e ai cinesi”. La soldataglia occidentale distrusse anche l’antico Palazza d’Estate di Pechino, un gioiello dell’arte cinese.
E’ l’epoca dell’infamia imperialista: in quegli stessi anni, 1846, gli USA dichiaravano la guerra al Messico e gli rubavano il nord del suo territorio – due milioni di chilometri quadrati.
La banca britannica HSBC (Hong Kong and Shanghai Banking Corporation, oggi una delle più importanti del mondo) fu creata per tutelare e favorire i profitti del traffico di oppio in Cina. Le umiliazioni e i saccheggi non finirono lì: nel 1898 la Gran Bretagna obbliga la Cina a cedere il territorio di Kowloon per 99 anni per aggiungerlo a Hong Kong, e poco dopo lo scontento per la voracità imperialista sbocca nella ‘rivolta dei Boxers”, una protesta schiacciata dalla Gran Bretagna con migliaia di soldati: essi assassinarono decine di migliaia di cinesi, saccheggiarono Pechino compresa la Città proibita; si resero colpevoli di massacri ignominiosi e distrussero paesi, oltre a buona parte delle ricchezze artistiche cinesi; invasero il Tibet e imposero a Pechino il pagamento di nuovi “indennizzi” per un valore di centinaia di migliaia di dollari.
Con parte della popolazione cinese ridotta a forza a condizioni di schiavitù (questa fu una delle cause che spiegano la grande migrazione cinese di quegli anni verso gli USA e l’Australia), Hong Kong passò ad essere il gioiello dello sporco e miserabile commercio britannico. Per questo, che le torbide proteste ad Hong Kong ignorino la storia e presentino Gran Bretagna e USA come garanti della libertà è inalare di nuovo l’oppio e sospirare per i giorni della colonia, della servitù, dell’umiliazione dei soldati stranieri che impongono la schiavitù del papavero.
La Cina ha rispettato l’accordo con la Gran Bretgna entrato in vigore nel 1997: mantiene l’autonomia e applica la formula “un paese, due sistemi”; questa situazione durerà fino al 2047, nonostante i manifestanti la considerino nulla.
Ma ciò che è in gioco è un’altra cosa: mentre si celebra il 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, gli USA e i loro alleati impongono la guerra commerciale, divulgano informazioni che presentano la Cina come un pericolo strategico, un rivale commerciale che gioca sporco e come un paese che calpesta i diritti dei suoi cittadini.
Mark Esper, capo del Pentagono, ha accusato la Cina di “destabilizzare la regione dell’Oceano Indiano e del Pacifico”, di rubare la proprietà intellettuale nordamericana e di sviluppare una “economia depredatrice”, e Trump l’ha definita “manipolatrice di valute”. Nel frattempo la minacciano con aggressivi pattugliamenti nel Mar della Cina meridionale, con la vendita di armi a Taiwan e con la promozione del caos a Hong Kong, e l’appoggio a movimenti nazionalisti in Tibet e nello Xinyang. E anche con l’aiuto a grupppi armati in Beluchistan, che attaccano i luoghi dove vivono gli ingegneri cinesi che lavorano alla costruzione del grande porto di Gwadar, uno dei nodi della ‘nuova via della seta’ in Pakistan, proprio come Washington ha fatto in alcuni paesi africani per mettere in difficoltà la cooperazione economica con la Cina.
Con la scusa della democrazia, promuovendo azioni violente, gli USA vogliono utilizzare a loro convenienza Hong Kong come strumento per sabotare il progetto della ‘nuova via della seta’ e contenere il pacifico rafforzamento cinese. Per la Cina la Gran Bretagna fu l’oppio, la colonia, l’umiliazione e la schiavitù; gli USA la menzogna, il caos e la guerra.
(*) Scrittore e analista spagnolo
(traduzione di Daniela Trolllio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)