La Bolivia e il ritorno della questione militare per mano di Washington e della OEA
di Alvaro Verzi Rangel (*); da: rebelion.org; 14.11.2019
Il rovesciamento del governo popolare di Evo Morales in Bolivia conferma che la questione militare è tornata in America Latina come strumento dei piani degli Stati Uniti per il controllo civile e politico del suo “cortile posteriore” e garanzia per l’appropriazione delle enormi ricchezze naturali della regione.
In America Latina le lotte sociali in Cile o in Ecuador, il colpo di Stato in Bolivia, l’intervento statunitense in Venezuela, le elezioni in Uruguay, la prigione di Lula, le politiche del FMI, l’avanzata delle chiese evangeliche, il ritorno al militarismo, la violenza nelle città, le migrazioni, il razzismo, sono espressioni di questa guerra globale.
Questa guerra, anche se non lo si vuole accettare, è già parte di tutti gli ambiti della vita dell’essere umano e condiziona la sua stessa sopravvivenza come specie, segnala l’ex vice cancelliere ecuadoriano Kintto Lucas. Per questo è stato necessario minare tutte le istanze di integrazione regionale per poter coinvolgere le forze armate nei problemi di ordine pubblico, nella vita elettorale, nella violazione dei diritti umani, nella militarizzazione della presunta guerra alla droga, nella repressione delle migrazioni, in situazioni ispirate e stimolate dalla politica militare statunitense nella regione.
E’ stato necessario risuscitare il militarista Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR) per avere un altro fronte – questo militare – di attacco contro il Venezuela, la Bolivia, il Nicaragua o chiunque osasse opporsi alle politiche di Washington.
Donald Trump, il presidente statunitense, l’ha detto chiaramente: ora siamo di un passo più vicini ad un Emisfero Occidentale completamente democratico, prospero e libero. Questi eventi mandano un forte segnale ai regimi illegittimi in Venezuela e Nicaragua, ha detto. “Gli Stati Uniti applaudono l’esercito boliviano perché rispetta il suo giuramento di proteggere non solo una persona ma la costituzione boliviana (…) Dopo quasi 14 anni e il suo recente intento di annullare la costituzione boliviana e la volontà del popolo, l’uscita di Morales preserva la democrazia e spiana il cammino perché il popolo boliviano faccia ascoltare la sua voce”, ha detto Trump, mettendo in chiaro la partecipazione del suo governo nel golpe contro Morales.
In Brasile il presidente, il vice, numerosi parlamentari e più della metà del gabinetto presidenziale sono militari, legati strettamente agli USA: un militare brasiliano è oggi vice comandante dell’inter-operatività del Comando Sur. Il governo di Jair Bolsonaro ha approvato un accordo bilaterale per il lancio di satelliti, missili e navette dalla base di Alcàntara e ha firmato un accordo con la Guardia Nazionale dello Stato di New York. In Uruguay l’ex generale Guido Manini ha ottenuto con un partito di ultradestra – Cabildo Abierto – l’11% dei voti nelle elezioni di ottobre, ottenendo 3 senatori e 11 deputati.
L’influenza del Comando Sur statunitense in Centroamerica è decisiva e l’azione dei militari è chiave per la sicurezza interna, per la presunta lotta al narcotraffico, come freno alle immigrazioni verso gli USA e in materia di sicurezza interna e di difesa dei governi corrotti e controversi.
In Messico la creazione della Guardia nazionale per combattere il crimine organizzato non ha implicato la demilitarizzazione della “guerra contro la droga”.
In Colombia il lentissimo avanzamento da parte del governo dei patti per la pace firmati con le FARC e il fallimento del dialogo con l’ELN è in parte causato dalle forze armate, finanziate e addestrate dagli USA, preoccupati oggi per le crescenti denunce di sistematiche violazioni dei diritti umani e per la presentazione dei falsi positivi (contadini assassinati e vestiti poi come guerriglieri per mostrare i successi dei militari).
Il presidente Lenìn Moreno, in Ecuador, ha avuto bisogno dell’appoggio e della repressione delle forze armate per imporre il “pacchetto” di misure neoliberiste. La sua foto con i quattro rappresentanti delle forze armate ha messo in evidenza il ruolo dei militari nel sostegno ad un governo antipopolare.
In Cile Sebastián Piñera ha voluto imporre altre misure neoliberiste e ha ottenuto un’esplosione sociale. La sua risposta è stata la dichiarazione dello stato di emergenza e il via libera ad usare la mano dura dei Carabinieri e delle forze armate.
Per il vice rettore dell’Università argentina Torcuato de Tella, Juan Gabriel Tokatlian, quanto è successo domenica in Bolivia si inquadra in ciò che alcuni analisti chiamano “neogolpismo”, guidato apertamente da civili e con l’appoggio tacito o la complicità esplicita delle forze armate in modo che la violazione costituzionale sia meno evidente e si possa preservare una parvenza istituzionale, anche se è virtuale.
Scommettere contro la democrazia
Dallo scoppio della crisi economica del 2008, l’oligarchia finanziaria globale e la sua articolazione nelle élites regionali smisero di scommettere sulla democrazia, segnalano Matías Caciabue e Paula Giménez, ricercatori del Centro Latinoamericano di Analisi Strategica (CLAE). Fu proprio in quel momento, invece, che i popoli della regione riuscirono a consolidarla come strumento di organizzazione, con la capacità di fornire livelli di riparazione economica e di giustizia sociale per le immense maggioranze della regione più disuguale del pianeta.
Questo duro presente, caratterizzato come quello di una regione in lotta, cominciò con il golpe civile e militare contro Mel Zalaya in Honduras nel 2009.
A questo rosario si aggiungono il tentativo di golpe di Stato in Bolivia nel 2009, che il rapido intervento dei paesi della regione e degli organismi di integrazione bloccarono, e il rovesciamento giuridico/mafioso di Fernando Lugo in Paraguay nel 2012.
Ci si aggiunge il golpe continuo in Venezuela dalla morte di Hugo Chàvez nel 2013, che cominciò con le guarimbas e le sanzioni economiche statunitensi del 2015, e la guerra a carattere non convenzionale dalla seconda elezione di Nicolàs Maduro in questo 2019 (senza naturalmente dimenticare il golpe di aprile 2002 e lo sciopero petrolifero).
E non si può dimenticare l’abbattimento giuridico-mediatico del governo di Cristina Fernàndez nel 2015 e il successivo trionfo di Macri e della sua alleanza Cambiemos (e ricordare anche lo sciopero padronale agrario del 2008), né l’ impeachment (giudizio politico) contro Dilma Rousseff nel 2015 e la criminalizzazione della militanza del Partito dei Lavoratori. E neppure la successiva detenzione, per provati meccanismi del law-fare (guerra giuridica) contro Lula Da Silva che, se fosse stato in libertà, avrebbe vinto le elezioni del 2018 in Brasile, dove alla fine si è imposto l’ultra destro Jair Bolsonaro.
E bisogna ricordare i tradimenti di Lenìn Moreno in Ecuador e di Nayib Bukele in El Salvador, che esprimono la defezione dei settori borghesi dai programmi di trasformazione che avevano sottoscritto, oltre ai movimenti contro il Sandinismo in Nicaragua del 2018, a pochi mesi da un’elezione dove Daniel Ortega aveva ottenuto più del 72% dei voti.
Oggi, davanti ai nostri occhi, si sta costruendo in Bolivia una dittatura civico-militare che ha applicato una forte censura mediatica e ha cominciato ad arrestare attivisti sociali, dirigenti politici e funzionari del governo costituzionale, sotto l’ala degli Stati Uniti, della segreteria generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) e del gruppo di Lima, che sostengono le politiche di ingerenza degli USA.
Distruggere quanto costruito
Quello che tanto è costato al Movimento al Socialismo costruire in tre lustri (15 anni) può sparire in ore o giorni. I successi sociali, economici, etnici, culturali, di genero che hanno fatto della Bolivia un esempio nei programmi sulla salute, sull’educazione, sulla casa, verranno demonizzati e considerati le cause del colpo di Stato:
La Bolivia è passata dall’essere il paese più povero dell’America ad essere il paese con la maggiore crescita: il suo PIL è aumentato del 400%. Il salario minimo è cresciuto del mille per cento;
Si è messo fine alla discriminazione degli indigeni e si è creata la Repubblica Plurinazionale di Bolivia. Si sono promossi la cultura ed il rispetto per l’ambiente, l’amore per la Pachamama (la Madre Terra in quecha, n.d.t.);
Si è stesa una nuova Costituzione che ha dato diritti ai lavoratori, ai contadini, agli studenti, alle donne e agli indigeni;
Sono stati nazionalizzati l’acqua e il gas. Sono stati costruiti più di 25 mila chilometri di strade, 134 ospedali, 7.191 centri sportivi, 1.100 scuole;
L’analfabetismo è passato dal 22,7% al 2,3 per cento;
Sono state costruite 12 fabbriche per il litio, tre di cemento, due fabbriche di auto, 28 stabilimenti tessili e create 12.694 cooperative;
Sono state eliminate le 8 basi militari che gli USA avevano in Bolivia e sono state scacciate le missioni della DEA e della CIA;
La metà degli incarichi pubblici è occupata da donne, delle quali il 68% di origine indigena;
E’ stata creata la Pensione per gli Adulti Anziani a partire dai 65 anni ed è stato istituito un Bonus per tutti gli studenti boliviani;
La Bolivia ha lanciato il suo primo satellite, il Tupac Katarì (dal nome di un leader indigeno aymara, n.d.t.).
L’odio accumulato dalla plutocrazia in un paese dove la dominazione oligarchica si fonda sul discorso della superiorità etnico-razziale è l’agglutinante, dice Marcos Roitman (sociologo e saggista cileno, n.d.t.). Sindaci legati agli alberi, obbligati a camminare in ginocchio, insultati, gettati fuori dalle loro case, bastonati, minacciati di morte. E un popolo che scende disarmato a difendere la sua lotta, la sua storia.
La violenza per mano delle orde fasciste supplisce ed è di complemento all’azione delle forze armate e della polizia ammutinata. Una situazione nuova nella tecnica del colpo di Stato, senza dimenticare l’anticomunismo straniero, un fantasma fuori moda che però va sempre bene per manipolare la popolazione.
(*) Sociologo venezuelano, co-direttore dell’Osservatorio sulla comunicazione e la democrazia del CLAE
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)