Il giorno in cui Fidel se n’è andato per restare per sempre fra noi
di Paco Azanza Telletxiki (*); da: insurgente.org; 25.11.2019
Quando, nel 1991, l’URSS crollava, la controrivoluzione e l’impero che la alimentava davano per certo che a Cuba socialista rimanessero solo pochi giorni prima che le succedesse lo stesso.
A Miami i ‘gusanos’ cominciavano a preparare le valige per tornare “trionfanti” alla terra che avevano abbandonato perchè la nascente Cuba non permetteva loro di vivere come re a costo del lavoro degli altri. Ma, per loro disgrazia e non per quella del popolo cubano, dovettero disfarle e tornare alla routine quotidiana in quel putrefatto luogo chiamato ‘Little Havana”. E questo nonostante che il governo degli Stati Uniti avesse stretto ancor più il blocco approvando la legge Torricelli -1992 – e la Helms/Burton – 1996.
Il ridicolo bailamme di Miami si ridusse ad una ennesima frustrazione collettiva e Cuba, passato il momento più duro del Periodo Speciale, recuperò poco a poco.
In seguito successero molte cose, ma arrivò il luglio 2006 e Fidel si ammalò gravemente.
La controrivoluzione, che non impara mai dalle sconfitte e non sa cosa sia l’umiltà – e nemmeno il ridicolo – tornò di nuovo a sottovalutare il popolo cubano. Correvano voci che se il Comandante fosse morto o, almeno, se la sua malattia l’avesse costretto a lasciare il potere, la Rivoluzione sarebbe andata a gambe all’aria. Grosso errore perchè, anche se guarì abbastanza bene e anche se era stato rieletto delegato dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare – Fidel annunciò che non avrebbe più accettato gli incarichi che aveva fino ad allora. Prese la decisione perchè non non se ne sentiva in grado fisicamente.
Passarono gli anni e la Rivoluzione, con a capo Raùl, continuò la sua strada e la controrivoluzione fu di nuovo frustrata.
Arrivò il 26 novembre, ma del 2016, e ci colpì la triste e dolorosa notizia che il compagno Fidel era morto. Rallegrandosi per la sua morte, a Miami la ‘gusanera’ tornò nelle strade, in quell’occasione per festeggiare la morte del leader storico di una Rivoluzione cha mai avevano potuto sconfiggere e che sono anni luce dal poterlo fare. La loro grottesca e scomposta allegria li mostrò come sono: dei miserabili senza scrupoli, carenti di etica e di umanità.
Ma il tempo non si ferma e sono già passati tre anni senza che l’opera che Fidel guidò sia crollata.
La ragione è molto semplice: la Rivoluzione non è opera di una sola persona ma di tutto un popolo grandemente istruito che, pienamente cosciente di quello che faceva, da più di 60 anni ha seppellito il capitalismo per sempre.
Oltre che impresentabili, i controrivoluzionari sono così ignoranti che non si resero conto di quello che successe in quei giorni nell’Isola irredenta. Con infinito dolore, il popolo rese omaggio ad una persona eccezionale che, inevitabilmente, se ne andava fisicamente ma per restare per sempre, sempre insieme a loro. E questo è un fenomeno importante che nessuno dovrebbe dimenticare.
Il 26 luglio, insieme ai suoi compagni, Fidel gettò un seme a Santiago de Cuba con l’assalto alla caserma Moncada; un seme che, non senza difficoltà, germinò vigoroso il 1° gennaio 1959 con il trionfo della Rivoluzione. Il seme divenne quindi una pianta. E crebbe, crebbe .... fino a diventare gigante.
Fidel lasciò un albero robusto, piantato con cura e radicato in una terra molto fertile. Non ho alcun dubbio che, in sua assenza – fisica, solo fisica – i più di undici milioni di “giardinieri” che abitano l’isola, come hanno fatto fino ad ora, sapranno curarlo ogni giorno.
(*) Giornalista e scrittore basco
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)